Tra il 20 e il
21 Luglio 1919, in diversi paesi europei migliaia di persone si mobilitarono
contro i dettati imposti dal trattato di pace firmato a Versailles dalle
potenze vincitrici della prima guerra mondiale e in nome della solidarietà tra
i popoli, per la difesa delle rivoluzioni in Russia e in Ungheria e contro il
sostegno degli eserciti "bianchi" offerto dall'Intesa.
Erano stati
alcuni dirigenti socialisti e laburisti italiani, francesi e britannici a
promuovere l'agitazione.
In Italia
l'iniziativa si concretizzò in uno sciopero generale, che assunse grande
rilievo e cadde in un momento critico per la vita del paese, tanto da spingere
il governo a modificare aspetti essenziali della politica estera.
Ma la capacità
di reazione mostrata da Nitti e dalle forze contrarie a uno sciopero definito
"politico", la mancata partecipazione di alcune importanti categorie
di lavoratori e di alcuni sindacati, l'assenza di una mobilitazione altrettanto
significativa in Francia e Gran Bretagna trasformarono quella grande
dimostrazione di forza in una sostanziale sconfitta politica per tutti coloro
che l'avevano sostenuta.
Con questa
immagine fallimentare, ma solo parzialmente vera, la storia dello
"scioperissimo" è giunta fino ai giorni nostri, tanto da diventare un
tipico esempio degli errori del massimalismo durante il cosiddetto
"biennio rosso".
In realtà, le
cose furono assai più complesse. Rileggendo fonti d'archivio e periodici,
memorie e pubblicazioni ufficiali, ci accorgiamo infatti che lo sciopero ebbe
un notevole successo nell'Europa centrale e balcanica, oltre che in Italia; in
Inghilterra non si scioperò, ma ci furono manifestazioni, e in Francia fu
proprio in reazione all'annullamento dello sciopero che scoppiarono tumulti
annonari.
Per quanto
parziale, e ritenuto insoddisfacente dai promotori, quello del 1919 riuscì ad
essere il primo sciopero internazionale del "secolo breve", con una
mobilitazione politica nelle piazze europee capace di coinvolgere migliaia di
persone.