Voi sapete bene
che siamo degli sfruttatori. Sapete bene che abbiamo preso l'oro e i metalli,
poi il petrolio dei «continenti nuovi» e li abbiamo riportati nelle nostre
vecchie metropoli. Non senza risultati eccellenti: palazzi, cattedrali, città
industriali; e poi, quando la crisi minacciava, i mercati coloniali erano lì
per estinguerla o stornarla. L'Europa, satura di ricchezze, accordò l'umanità a
tutti suoi abitanti: un uomo, da noi, vuol dire un complice, giacché abbiamo
approfittato tutti dello sfruttamento coloniale. Questo continente grasso e
smorto finisce per incorrere in quel che Fanon chiama giustamente il
«narcisismo ». Cocteau s'irritava di Parigi, «città che parla continuamente di
se stessa». E l'Europa, che altro fa? E quel mostro supereuropeo, l'America del
Nord? Che cicaleccio: libertà, uguaglianza, fratellanza, amore, onore, patria,
che so io? Questo non c'impediva di tenere nello stesso tempo discorsi
razzisti, porco negro, porco ebreo, porco arabo. Spiriti buoni, liberali e
delicati — neocolonialisti, insomma — si pretendevano urtati da questa
incongruenza; errore o malafede: niente di più congruo, da noi, che un
umanesimo razzista, poiché l'europeo non ha potuto farsi uomo se non
fabbricando degli schiavi e dei mostri. Fintanto che ci fu un indigenato,
quella impostura non fu smascherata; si trovava, nel genere umano, un'astratta
postulazione d'universalità che serviva a coprire pratiche più realiste; c'era,
dall'altra parte dei mari, una razza di sottouomini che, grazie a noi, tra
mille anni forse, sarebbe arrivata al nostro stadio. Insomma, si confondeva il
genere con l'élite. Oggi l'indigeno rivela la sua verità; di colpo, il nostro
club così chiuso rivela la sua debolezza: non era altro che una minoranza. C'è
di peggio: poiché gli altri si fanno uomini contro di noi, si vede chiaro che
noi siamo i nemici del genere umano; l'élite rivela la sua vera natura: una
banda di malfattori. I nostri cari valori perdono le ali; a guardarli da
vicino, non se ne troverà uno che non sia macchiato di sangue. Capite bene che
non ci si rimprovera d'aver tradito non so qual missione: per la bella ragione
che non ne avevamo alcuna. È la generosità stessa ad esser in causa; questa
bella parola sonante non ha che un senso: statuto elargito. Per gli uomini di
fronte, nuovi e liberati, nessuno ha il potere né il privilegio di dar niente a
nessuno. Ognuno ha tutti i diritti. Su tutti; e la nostra specie, quando un
giorno si sarà fatta, non si definirà come la somma degli abitanti del globo ma
come l'unità infinita delle loro reciprocità. Basta guardare in faccia, per la
prima e l'ultima volta, le nostre aristocratiche virtù: esse stanno crepando;
come sopravviverebbero all'aristocrazia di sottuomini che le ha generate?
Alcuni anni or sono, un commentatore borghese — e colonialista — per difendere
l'Occidente non ha trovato altro che questo: «Non siamo angeli. Ma noi, almeno,
abbiamo rimorsi». Che confessione! Un tempo il nostro continente aveva altre
tavole di salvezza: il Partenone, Chartres, i Diritti dell'Uomo, la svastica.
Si sa adesso quello che valgono: e non si pretende più di salvarci dal
naufragio se non col sentimento molto cristiano della nostra consapevolezza. È
la fine, come vedete: l'Europa fa acqua da tutte le parti. Che è dunque
successo? Questo, molto semplicemente, che eravamo i soggetti della storia e
che ne siamo adesso gli oggetti. Il rapporto delle forze si è rovesciato, la
decolonizzazione è in corso; tutto quel che i nostri mercenari possono tentare
è ritardarne il compimento.
(Prefazione di Jean Paul Sartre 1961 - I dannati
della terra - Fanon)