1962, rinnovo
del contratto nazionale dei metalmeccanici. Torino, 5 luglio: gli operai della
città della Fiat si preparano allo sciopero di categoria indetto per il 7-8-9
di quel mese da Fiom, Fim, Uil; si prevede una partecipazione alta, soprattutto
per l’adesione allo sciopero della Uil che alla Fiat conta sul 63% degli operai
iscritti a qualche sindacato. Tra il 5 e il 6 luglio i dirigenti Fiat e quelli
della Uil e del Sida (un sindacato giallo) si accordano per un aumento
salariale tanto che La Stampa, il quotidiano degli Agnelli-Fiat, il 6 luglio
potrà titolare: Uil e Sida si accordano con la Fiat e invitano gli operai a non
scioperare. L'indomani mattina lo sciopero è totale. Non solo totale, ma anche
duro. I crumiri che vogliono lavorare devono superare minacce, ingiurie e
botte. Le macchine dei dirigenti che tentano di entrare vengono prese a
sassate. I lavoratori, soprattutto quelli iscritti alla Uil, sono sbigottiti e
furiosi per come quattro burocrati sindacali siano riusciti a rendere nulle,
per pochi spiccioli, le ben più importanti richieste di diminuzione dei ritmi,
orario di lavoro, norme disciplinari. Un tradimento.
Al pomeriggio,
verso le 14.30-15, tre, quattrocento operai in gran parte iscritti alla Uil, ma
anche a Cisl e Cgil, sono assembrati davanti alla sede della Uil in piazza
Statuto: urlano, fischiano. Un centinaio di agenti con le jeep e due
auto-idranti presidiano la sede del sindacato socialdemocratico. La tensione
aumenta rapidamente; in un bar vicino, due sindacalisti Uil, riconosciuti,
vengono picchiati; sono messi in salvo a fatica; volano le prime pietre contro
le finestre del sindacato. Il numero di dimostranti aumenta, così la tensione e
gli scontri. Inizia una vera e propria battaglia che si protrarrà senza
momenti di sosta fino alle 4 di mattina del giorno dopo. Tra le 21,30 e le 23
c'è abbastanza calma e la polizia ne approfitta per far evacuare i dirigenti
Uil dalla sede in cui sono asserragliati da ormai otto ore; travestiti da
dimostranti: ognuno su di una camionetta in mezzo a tre poliziotti a forte
velocità verso la "centrale".
La domenica alle
11 piazza Statuto è affollata da centinaia di operai, qualche tensione, ma
sostanzialmente la situazione è più calma. Come la notte che scorre tranquilla,
con la piazza presidiata da un enorme schieramento di polizia e carabinieri
arrivati dal Veneto, dall'Emilia e dalle altre province piemontesi, anche in
vista dello sciopero di lunedì.
L'indomani,
però, davanti ai cancelli delle fabbriche, di operai ce ne sono ben pochi; solo
polizia carabinieri e sindacalisti di professione. Le direzioni di tutte le
aziende, sull'esempio della Fiat, hanno invitato i lavoratori a restare a casa.
I sindacati non sono stati da meno: Cgil e Cisl hanno sospeso ogni tipo di
manifestazione e in particolare la Uil "ha invitato tutti i lavoratori a
proseguire lo sciopero restando però a casa e lasciando l'azione di
picchettaggio davanti alle fabbriche ai responsabili e agli attivisti sindacali".
Il bilancio complessivo dei tre giorni di scontri, come lo riporta la cronaca,
è questo: 1215 fermati, 90 arrestati e rinviati a giudizio per direttissima, un
centinaio i denunciati a piede libero; 169 i feriti fra le forze dell'ordine.
Per quanto riguarda i dimostranti, La Stampa parla di 9 persone che sono
costrette a ricorrere alle cure ospedaliere. Non dice che i feriti per le botte
ricevute in fase di fermo, in Questura o nelle caserme, sono centinaia.
Finiva la
rivolta di piazza Statuto, ma nulla nel movimento operaio sarà più come prima.
La rivolta simultanea contro le dirigenze padronali e sindacali segnerà una
svolta nella coscienza di quei giovani operai immigrati - anima e braccia di
quelle giornate – che qualche anno dopo daranno vita, a partire dall’autunno
1969, a una lunga stagione di lotte autorganizzate, autonome, lontane e
contrarie alle gerarchie e alle logiche sindacali.