L’unico e la sua proprietà è un testo che affonda le
sue radici nel clima culturale della filosofia hegeliana. In particolare si può
dire che esso rappresenti l’espressione forse più radicale delle istanze anti-universalistiche
e anti-idealistiche di tutta la Sinistra hegeliana, tanto che la sua critica è rivolta
non solo alla filosofia di Hegel, ma si estende addirittura a quella degli stessi
esponenti della Sinistra hegeliana cui egli in qualche modo apparteneva. Secondo
Stirner infatti il nuovo sapere antropologico di Feuerbach, così come anche il pensiero
socialista e liberalista, non sono altro che nuove religioni, nuovi idealismi, con
la sola differenza formale per cui al posto di Dio si ha ora l’Umanità, piuttosto
che la Società o la Razionalità, vale a dire sempre degli ideali, delle divinità,
per dirla con Stirner, che in quanto tali si pongono al di sopra della realtà di
ogni singolo individuo e che dunque – e questo è il punto che interessa a Stirner
– configurano una condizione di dipendenza da parte degli individui rispetto a tali
esseri superiori. Si tratterebbe quindi di una nuova forma di alienazione, in quanto
ogni ideale, religioso o meno, si contrappone inevitabilmente a un reale concreto,
determinando una situazione di tensione tra quello che è l’individuo reale in carne
e ossa e una sua presunta essenza superiore, cioè quell’ideale verso il quale sente
di doversi conformare e che per forza di cose lo mantiene in una condizione di inadeguatezza,
dato che nessun ideale, per definizione, è realizzabile. Ecco che nel denunciare
questa nuova forma di alienazione, in realtà Stirner denuncia un intero paradigma
esistenziale, che è sì il paradigma idealista, ma che allo stesso tempo è però un
paradigma di natura gerarchica, che esprime cioè un ordine di dipendenza per il
quale i singoli individui si vedono costretti a sacrificare se stessi e tutta la
loro vita a un interesse ritenuto superiore. Che questo interesse sia poi un vero
e proprio Dio, piuttosto che la Nazione, la Società o persino l’Umanità nel suo
insieme, non cambia nulla: il rapporto di dipendenza infatti resta immutato. Di
qui, per Stirner, l’esigenza di quella che egli chiama rivolta, cosa ben diversa
dalla rivoluzione: se la rivoluzione infatti si può definire come la semplice sostituzione
di un determinato ordine con un altro ordine (ad esempio, rispetto all’ordine statale,
il passaggio da una monarchia a una repubblica), la rivolta si configura invece
come la negazione di ogni ordine, poiché consiste nella negazione radicale di qualsivoglia
ideale, di qualsivoglia valore dalle pretese universali. L’unico valore che viene
riconosciuto e salvaguardato è quello che fa riferimento non a qualche ideale astratto
ma all’individuo in carne e ossa nella sua incommensurabile unicità, cioè nel suo
essere assoluto nel vero senso del termine. Ecco allora che la rivolta invita non
solo a negare tutto quanto possa porsi al di sopra degli individui, ma soprattutto,
nella sua accezione positiva, invita ogni singolo individuo a prendere coscienza
della propria unicità e quindi ad assumersi anche le responsabilità che tale consapevolezza
comporta. E in questo consiste la nuova concezione di vita proposta da Stirner,
in una concezione che egli stesso definisce di tipo egoistico e che si contrappone
a quella di tipo idealistico.
..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione