
Ma anche gli zar muoiono. Quando Nicola I scompare, nel
1855, l'ascesa
al trono di Alessandro II fa sperare in
un regime più tollerante. La madre di Mikhail torna alla carica. Il prigioniero si fa promettere da un fratello che gli porterà il veleno se la supplica non avrà successo. Ma non
ci fu bisogno del veleno: dopo 6 anni di fortezza Bakunin venne liberato, a patto
che se ne andasse in esilio per sempre. Per un tipo come Bakunin la libertà è una medicina miracolosa. Che importa
se lo scorbuto ha fatto cadere tutti i denti, se la dieta zarista ha fiaccato le
ossa? La fede non crolla. Un lontano congiunto di idee decabriste, governatore della
Siberia orientale, gli procurò un lavoro in una società commerciale che gli permetteva di viaggiare. Dopo quattro anni
Bakunin era uccel di bosco. Il «romanzo» aveva ripreso a funzionare nell'esistenza
del rivoluzionario. La fantasia ha la meglio sulle distanze immense, sull'occhiuta
polizia. Bakunin convince nella primavera del 1861 un mercante siberiano a pagargli
le spese di viaggio fino alle foci del fiume Amur. Si era fatto fare una lettera per i comandanti dei battelli in navigazione
sul fiume. E qui Bakunin realizzò un altro dei suoi capolavori: riuscì a convincere
capitani e funzionari, e di battello in battello raggiunse Yokohama. Di là un piroscafo
americano lo portò a San Francisco. Il fascino
personale del rivoluzionario continuava a esercitare la sua influenza su chiunque. Un sacerdote inglese con
cui aveva fatto amicizia a bordo gli prestò
trecento dollari. Ed ecco Bakunin attraversare
Panama e raggiungere New York. A New York scrisse a Aleksandr Herzen, che si trovava
a Londra, pregandolo di inviargli del denaro. Alla fine di novembre Mikhail raggiungeva Londra. Con una frase
felice Herzen disse che Bakunin tornò in Europa come i decabristi reduci dall'eslio,
più giovani dopo la galera che i giovani
rimasti a casa a subire l'oppressione zarista. Aggiunge Herzen che sofferenze e
prigionia sembrano avere preservato anziché distrutto Bakunin.
In effetti, egli
non aveva vissuto, come i
rivoluzionari occidentali, la reazione internazionale degli anni 1850-1860. Essa aveva prostrato gli esuli di Londra, mentre
negli occhi di Bakunin erano rimaste le rivolte del fiammeggiante biennio 1848-1849.
Non appena era scoppiata l'insurrezione polacca (1863), egli era stato in grado
di organizzare una legione russa (per l'ostilità di vari elementi non poté portare
a termine l'impresa). Sono gli anni in cui la polemica con Marx per la guida dell'Internazionale
sta emergendo ma non è ancora scoppiata. Bakunin accorre in Svezia, Italia e Svizzera,
ovunque una causa rivoluzionaria si profili. Ma è nell'Italia meridionale che il
suo cuore ardente trova un ambiente congeniale. E ormai maturato dai giorni in cui
aveva voluto soccorrere i polacchi pur di mettere in imbarazzo la Russia (i polacchi
nazionalisti sono altrettanto reazionari dello zar). Ora Bakunin è convinto che
la rivoluzione deve essere sociale, e che per essere sociale deve essere internazionale.
Nel 1867 fa inserire nel programma per gli «Stati Uniti d'Europa» della Lega per la Pace e la Libertà
(organizzazione di intellettuali borghesi che cerca di strumentalizzare) un paragrafo
a sostegno della liberazione delle classi operaie e per l'eliminazione della condizione sociale più
sfruttata e emarginata: il proletariato.