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sabato 21 luglio 2012

Disobbedienza civile (concetto)

La disobbedienza civile è un mezzo di protesta sociale che consiste nel rifiuto di obbedire alle leggi e ai decreti di qualsiasi governo. La disobbedienza può essere pacifica o anche violenta, in entrambi i casi però mantiene la sua "vena" radicalmente contestatoria dell’autorità. In sostanza è una pratica di lotta attraverso la quale il diritto individuale viene anteposto al diritto legislativo, quando questo entra in conflitto con "la propria coscienza".
Quando in Europa si fa strada l'idea della "disobbedienza civile" come mezzo di opposizione ad una legge ingiusta, negli Stati Uniti tale concetto era già ben conosciuto per merito H.D.Thoreau. Questa metodologia di lotta è stata utilizzata da Ghandi (Ghandi fu notevolmente influenzato dal pensiero di Thoreau e Tolstoj) nella sua lotta contro l'imperialismo inglese, da Martin Luther King contro la segregazione razziale e negli "anni 60" da molti contestatori della guerra in Vietnam.

La Disobbedienza civile di Thoreau

La "bibbia" della disobbedienza civile può essere considerata il saggio del 1849 di H.D.Thoreau intitolato appunto "Disobbedienza Civile".
Thoreau fu un convinto antischiavista. Questa sua convinzione lo portò a rifiutarsi di pagare le tasse al governo americano. Per questo venne imprigionato e successivamente rilasciato solamente perché un parente decise di pagare per lui le tasse.
Ecco alcuni interessanti stralci del saggio:
«La massa degli uomini serve lo stato in questo modo, non come uomini soprattutto, bensì come macchine, con i propri corpi [...] Uomini del genere non incutono maggior rispetto che se fossero di paglia o di sterco [...] Le leggi ingiuste esistono: dobbiamo essere contenti di obbedirle, o dobbiamo tentare di emendarle, e di obbedirle fino a quando non avremo avuto successo, oppure dobbiamo trasgredirle da subito? [...] Se mille uomini non pagassero quest'anno le tasse, ciò non sarebbe una misura tanto violenta e sanguinaria quanto lo sarebbe pagarle, e permettere allo Stato di commettere violenza e di versare del sangue innocente. Questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica, se una simile rivoluzione è possibile. Se l'esattore delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto, "Ma cosa devo fare?" la mia risposta è: "Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni". Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l'ufficiale ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico, allora la rivoluzione è compiuta [...] Capii che lo Stato era uno stupido, che era timido come una donna nubile tra i suoi cucchiai d'argento, e che non sapeva distinguere i suoi amici dai suoi nemici, e persi tutto il rispetto che m'era rimasto nei suoi confronti, e lo compatii. Lo Stato dunque non si confronta mai intenzionalmente con il sentimento d'un uomo, intellettuale o morale, ma solo con il suo corpo, con i suoi sensi. Esso non è dotato d'intelligenza od onestà superiori, ma di superiore forza fisica. Non sono nato per essere costretto. Respirerò liberamente. Vediamo chi è il più forte. Che forza ha una moltitudine? Possono costringermi soltanto ad obbedire ad una legge che sia più alta della mia. Essi mi costringono a diventare come loro...»

La disobbedienza civile come mezzo e non come fine

Come si è visto, i principi della disobbedienza civile non sono un'esclusività degli anarchici. Tuttavia, il pensiero anarchico gli attribuisce una valenza molto particolare che lo contraddistingue da tutte le "altre disobbedienze". Infatti gli anarchici ritengono questo principio "un valido mezzo, ma non un fine".
La disobbedienza civile è quindi, per l'anarchismo, un mezzo non-violento per mettere in discussione l’esistenza stessa dello Stato, delle istituzioni e di tutto il sistema basato sullo sfruttamento capitalistico.