Una volta, le strutture di base del patriarcato era la famiglia nucleare e a chiedere la sua abolizione è stata una richiesta radicale. Ora le famiglie sono sempre più frammentate: nonostante questo, quanto, di fondo, si è ampliato il potere delle donne o l’autonomia dei bambini?
Una volta, si poteva parlare di una cultura sociale e culturale tradizionale e la stessa sottocultura pareva sovversiva. Ora, per i nostri capi la diversità è un bene prezioso, e la sottocultura un motore essenziale della società dei consumi: quante più identità, tanti più mercati.
Una volta, la gente cresceva nella stessa comunità di genitori e nonni, e viaggiare poteva essere considerato una forza destabilizzante, capace di interrompere configurazioni sociali e culturali statiche. Oggi la vita è caratterizzata da un costante movimento nel quale la gente lotta per stare al passo con le richieste del mercato; al posto di configurazioni repressive, abbiamo una transitorietà permanente e l’atomizzazione universale.
Una volta, i lavoratori si fermavano per anni o decenni nel solito impiego, sviluppando legami sociali e punti di riferimento comuni tali da rendere possibili i sindacati vecchio stile. Oggi, l’occupazione è sempre più temporanea e precaria, e sempre più lavoratori passano dalle fabbriche alla flessibilità obbligatoria e i sindacati al settore dei servizi.
Una volta, il lavoro salariato era una sfera distinta della vita, era facile riconoscerlo e ribellarsi contro i modi in cui veniva sfruttato il nostro potenziale produttivo. Ora, ogni aspetto dell’esistenza sta diventando lavoro, nel senso di attività che produce valore per l’economia capitalistica: guardando il proprio account di posta elettronica si aumenta il capitale di coloro che vendono pubblicità. Al posto di ruoli distinti e specializzati nell’economia capitalistica, vediamo sempre più la produzione collettiva e flessibile di capitale, in gran parte non pagata.
Una volta, il mondo era pieno di dittature nelle quali il potere era dichiaratamente esercitato dall’alto e poteva essere contestato in quanto tale. Ora stanno cedendo il passo a democrazie che sembrano includere più persone nel processo politico, legittimando così i poteri repressivi dello Stato.
Una volta, l’unità essenziale del potere statale era la nazione, e le nazioni competevano tra loro per far valere i propri interessi individuali. Nell’era della globalizzazione capitalista, gli interessi del potere statale trascendono i confini nazionali e il modello dominante di conflitto non è la guerra, ma il controllo poliziesco. A volte viene utilizzato contro le nazioni canaglia, ma è attuato continuamente nei confronti delle persone.
Il punto non è condannare il corso della storia o lagnarsi del fatto che ci hanno rubato le invenzioni, ma capire come alcune delle nostre stesse forme di resistenza siano diventate parte del mondo che cerchiamo di cambiare.