
Quando entra in prigione, ė apatica e assente. Ha un attimo di guizzo quando un agente di custodia le chiede le generalità. Alla domanda "professione", risponderà "antifascista"; alla domanda "dove sei nata", risponderà "sul pianeta terra, sono cittadina del mondo". Più tardi, quando le chiederanno di precisare i suoi rapporti con Mahler, risponderà: "Horst per me ė un fratello, ma voi volete sapere solo se siamo stati a letto insieme. L'amor come lo concepite voi ė consumismo che noi respingiamo".
Poi ė il treacollo: disturbi semantici, stato di confusione e assenze: in giro se ne sa poco, ma tutto viene alla luce quando Heinrich Böll precisa che sia Ulrike che i suoi difensori sono contrari e definisce l'esperimento aberrante e sovialmente pericoloso. Alberto Moravia a Roma dichiara: "Il ragionamento dela corte federale di Karlsruhe sembra essere il seguente: il sistema sociale contro il quale la Meinhoff s'è ribellata, ė il migliore possibile sia secondo ragione e sia perchè accettato dalla maggioranza di cittadini. Inoltre, per la sua protesta la Meinhoff disponeva di normali mezzi di dissenso (partiti, stampa, piazza, eccetera) creati positamente dal sistema medesimo. Ha fatto ricorso invece al terrorismo: dunque, non può essere che pazza".
Questa identificazione del dissenso, sia pure terroristico, con la pazzia ė intollerabile e dovunque, in Germania, sorgono comitati contro la sentenza di Karlsruhe definita da Böll "di lesa umanità".
"Per fortuna," scrive dal carcere Horst Mahler "i nostri avversari compiono errori direttamente proporzionali alla loro volontà di repressione." La sentenza dei giudici di Karlsruhe ha infatti come effetto un revival dlle gesta della RAF: non sono solo i giovani che si richiamano a Jurgen Horlemann che parlano di guerriglia, ma ė il vecchio gruppo di tupamaros della RAF che si riorganizza per riprendere la lotta con Margrit Schiller e Ilse Stachowiak, ancora alla macchia.
Enrico Nassi
"La banda Meinhoff"
Fabbri Editori 1974