Nelle città la maggior parte delle
persone non riesce a vivere come vuole; l’ambiente urbano, così com’è, non
permette che nascano e si sviluppino le loro personalità; è inadatto a
soddisfarne i bisogni, organizzato com’è a vantaggio di qualcos’altro.
L’attività di ognuno, che sia lavoro, uso del tempo libero, dormire, cucinare,
studiare, eccetera, è di norma organizzata in spazi che solo in minima parte
possono essere creati, modificati e gestiti da chi li abita. Gli ambienti sono
concepiti in modo tale che l’abitare sia funzionale non alla vita di ciascuno,
ma agli interessi di persone estranee ad essa. Così la scuola è costruita
primariamente per educare alla disciplina, la fabbrica o l’ufficio per creare
profitto, i condomini per spezzare la socialità, il cubo in cui viviamo per
ammansirci; difficilmente possono essere modificati. Se si vuole cambiare
qualche cosa nella propria casa si deve chiede il permesso a qualche autorità. Regolamenti
edilizi e burocrazie di ogni genere hanno criminalizzato ogni intervento
creativo all’esterno, ma anche all’interno delle abitazioni.
Nell’intimo delle mura domestiche la
possibilità di gestire lo spazio si limita a poche cose, per lo più intese a
isolare all’interno delle quattro mura le persone che ci abitano.
L’unico ambito in cui si ha il permesso
di organizzare la propria casa è confinato alla disposizione dei mobili, alla
tinteggiatura delle pareti: tutto il resto è precluso, dove si abita e come si
abita sono sotto stretto controllo.
Per cambiare tutto ciò, l’individuo deve
evolversi, liberarsi dalla delega, diventare cittadino a tutti gli effetti fino
a trovare il proprio posto e mettere le radici. Questo cambiamento spetta a
coloro che nel territorio vivono, non a coloro che ci investono, e l’unico
ambito in cui ciò è possibile è quello offerto dall’autogestione territoriale
generalizzata, cioè la gestione del territorio da parte dei suoi abitanti attraverso
assemblee comunitarie. La città deve generare un’aria che renda liberi gli
abitanti che la respirano.