Difficile da credere di fronte alla lunga teoria di massacri del
secolo breve. Massacri etnici, politici, sociali. Massacri programmati e
realizzati con metodo e macellerie brutali ma senza un luogo, uno spazio.
I lager nazisti stupiscono per la
loro fisicità. I muri, le baracche, i trasporti, i mucchi di denti, capelli,
scarpe, abiti, le divise di stracci. Umano, sin troppo umano, il sistematico
ridurre a cosa uomini, donne, bambini.
La giornata della memoria, che
cristallizza in un momento la storia dei lager nazisti, è davvero un viatico
per il ricordo o è già, essa stessa, tradimento?
Il 27 gennaio è il giorno in cui
l’armata rossa entrò ad Auschwitz e mostrò al mondo l’orrore dei campi? Fu
davvero una “scoperta”? Oggi sappiamo che tanti sapevano ma non dissero né
fecero nulla.
A Churchill venne chiesto di
bombardare Auschwitz ma non lo fece.
Tante testimonianze dai campi prima
di quel 27 gennaio restarono inascoltate. Il 27 gennaio non segna l’inizio
della memoria ma il primo giorno del suo tradimento. Le immagini di Auschwitz
diventano la prova vivente della cattiveria del “nemico”. Il nazista cristallizzato
da tanta filmografia dei vincitori, che quasi subito lo distinguono dal popolo
tedesco, che non sapeva, dagli alleati che non potevano immaginare quanto
feroce, disumano fosse il mostro che combattevano.
Un mondo dipinto in bianco e nero
diventa il fondale perfetto per il quadro del male assoluto, il male che come
un cancro si annida in un corpo sano, che lo amputa e se ne libera per sempre.
Ottima propaganda, pessimo esercizio
di memoria.
Non per caso restano sullo sfondo le
vicende dei tantissimi che non passarono subito per il camino, quelli che
vennero sterminati con il lavoro forzato in fabbriche i cui nomi conosciamo
bene: Siemens, Krupp, Bayer. Il sogno capitalista del lavoro che non costa
nulla, nemmeno il mantenimento dello schiavo, usato sino alla distruzione, poi
gettato via e sostituito con uno nuovo.
I sette operai che a Torino sono
bruciati vivi alla Thyssenkrupp, l’acciaieria destinata a chiudere senza
sicurezza, perché la vita di sette lavoratori vale meno di un estintore, ci
racconta come la memoria di Auschwitz, Dachau, Ravensbruck sia stata tradita
sin dal primo giorno, sin da quel 27 gennaio del 1944.
I campi rom che bruciano nelle
periferie del nostro paese ci narrano di una memoria che non c’è. Ci raccontano
della lunga notte di oblio che ha avvolto il porrajmos, lo sterminio di 500.000
rom e sinti europei. Ci raccontano una banalità.
La memoria viva, la memoria che fa
argine all’orrore, è quella di chi si batte per estirpare le radici del
razzismo, della discriminazione, del fascismo, della logica feroce del
profitto.
Nella consapevolezza che quello che è
successo torna e torna ancora in altre forme e altre latitudini.
Occorre vedere il
nostro presente per non tradire la memoria del passato.