Se, il tessuto urbano concentra
dinamiche di trasformazione e di conflitto sociale, altrettanto determina
tattiche che concretamente oppongono spazialità non più soggette ai criteri del
mercato e del consumo. Proprio tali dispositivi di contro-cultura intervengono
nel sistema città come luoghi non certo utopici, bensì come zone effettive e
compiute di contro-dominio che sfuggono, seppure per un tempo limitato, alle
regole del controllo biopolitico. Sono frammenti occupati che non possono
essere interpretati dunque come spazi etero topici, secondo il concetto
foucaultiano, perché s’inseriscono come luoghi radicali per culture e
interazioni attive capaci di formulare un produttivo e processuale diritto alla
vita urbana. Per quanto episodici o addirittura temporanei, questi posti
occupati ribaltano il valore mercificato dello spazio metropolitano attuale, in
valore d’uso congruente con un vivere ed un abitare autonomo lontano dagli
ordinamenti neoliberisti. Costruiscono piuttosto nuove modalità di scambio
culturale e di interrelazione sociale, stabilendosi, malgrado la loro
disseminazione rizomatica, come organismi propulsivi di contro-cultura o più
precisamente come bacini produttivi che compongono e diffondono non
semplicemente modalità diverse del vivere, ma contingenti stili di vita
radicati entro i tessuti della città globalizzata.
La capacità di interferire nel programma
o nell’ordinamento del territorio neoliberale esprime una rivendicazione alla
vita urbana in grado altresì di opporre percorsi di cultura e comunicazione non
assoggettati a criteri economici dettati dal mercato. Non più quindi la
riduzione e semplici esperienze contingenti e locali, piuttosto
l’assimilazione, tramite tali pratiche di appropriazione e partecipazione, che
il diritto alla città prerogativa assoluta per collettività e culture
spontanee, libertarie, autonome, ed universalmente urbane.