
Nascere a Cinisi, un paese del
hinterland palermitano, e vivere in una famiglia legata ai clan mafiosi può
portare due reazioni: quella solita che vede l’assoggettamento a certi sistemi,
oppure la ribellione. Ribellarsi in un’organizzazione in cui l’OMERTÀ è la
parola d’ordine, diventa un gesto ancor più rivoluzionario. Peppino Impastato è
stato la rivoluzione, il cambiamento e la voce della denuncia. E la denuncia
colpisce dritta al cuore della mafia che, invece, reagisce con i suoi modi
beceri e vigliacchi. Peppino Impastato è stato ucciso da Cosa Nostra e mandante
dell’assassinio è stato Gaetano Badalamenti, definito ironicamente da Peppino,
Don Tano Seduto, capo clan ed uno dei maggiori trafficanti di eroina in
Sicilia.
“Io
voglio scrivere che la Mafia è una montagna di merda … noi ci dobbiamo
ribellare, prima di abituarci alle loro facce, prima di non accorgerci più di
niente” (da I Cento Passi).
Peppino viveva a cento passi dalla casa
del boss Badalamenti e questo vivere a “braccetto” con l’anti-Stato porta la
gente comune a crederlo come la normalità, a non riconoscere le anomalie di
certi soprusi, di continue arroganze, di prepotenze ingiuste. Lui, nato in una
famiglia di impostazione contadina in cui la riverenza verso Cosa Nostra era la
quotidianità, prende le distanze da tutto e da tutti ed ha il coraggio di
denunciare, cominciando da suo padre fino ad arrivare al nome di Badalamenti.
“Mio
padre, la mia famiglia, il mio paese … Io voglio fottermene! Io voglio urlare
che mio padre è un leccaculo!” (da I Cento Passi).
Nel 1965 entra in politica e la utilizza
come modo per contrastare la mafia. Vivrà direttamente il periodo di
cambiamento sessantottino, tra scioperi, rivoluzioni ed incertezze per il
futuro, approdando, nel 1973, a «Lotta Continua» e legandosi a Mauro Rostagno,
altro importante giornalista ucciso dalla mafia. Tra Peppino e Mauro ci sarà un
sodalizio ideologico e politico che li vedrà uniti nella lotta contro Cosa
Nostra, usando radio e televisioni per arrivare al popolo e far conoscere la
politica mafiosa. Così nel 1976 con la collaborazione di Peppino ed altri
compagni, nacque Radio Aut, un’emittente di contro informazione, autofinanziata
dai giovani e quindi libera da qualsiasi potere. La libertà di Radio Aut
diventò lo strumento di Peppino per denunciare quello che definiva un western
mafioso facendo nomi e cognomi, senza paure. Continuo bersaglio era Gaetano
Badalamenti ma anche il sindaco di Cinisi, Geronimo Stefanini che si era
venduto a Cosa Nostra creando quel sistema che Peppino ironicamente definiva
mafiopoli. Tutti i venerdì sera andava in onda la trasmissione Onda Pazza in
cui Peppino sparava a zero sugli “intoccabili” siciliani e parlava dei maficidi,
con un linguaggio ironico e satirico che nascondeva dietro una grande rabbia ed
una voglia di cambiamento. Su questa natura nasceva anche l’altro programma
Cretina Commedia, una parodia della Divina Commedia di Dante, in cui ai vari
gironi infernali c’erano i mafiosi di Cinisi.
Peppino Impastato denunciava ad alta
voce per permettere al popolo di riconoscere la vera bellezza della società,
che non era nella mafia.
Chiaramente era un personaggio scomodo e
così è stato ucciso, imbottito con 5 chili di tritolo e fatto esplodere sulla
tratta ferroviaria Palermo-Trapani. L’intento era quello di far cade i sospetti
su un suicidio oppure su un atto terroristico compiuto dai suoi compagni
durante la campagna elettorale del ’78, visto che Peppino era candidato nel partito
di «Democrazia Proletaria». I suoi compagni Giovanni Riccobono, Faro Di Maggio,
Andrea Bartolotta ed altri, insieme alla madre Felicia Bartolotta Impastato,
non si stancarono mai di accusare Gaetano Badalamenti. All’inizio le indagini
propendevano per il suicidio e per la pista politica. Stranamente nessuno aveva
mai pensato di perquisire le case dei mafiosi di Cinisi, nonostante in un
rapporto scritto da un sottoufficiale, in maniera esplicita, si definiva il
tritolo che aveva ucciso Peppino “come esplosivo da cava” e le cave di Cinisi e
dintorni erano tutte di proprietà mafiosa. Ci vollero anni per arrivare alla
pista di Cosa Nostra. Nel 1988 si cominciò ad indagare su Tano Badalamenti per
il caso Impastato e iniziò un lunghissimo processo fatto di rinvii, depistaggi,
testimonianze fasulle, conclusosi nel 2002 con la condanna all’ergastolo per il
boss mafioso, morto in seguito.