Sul finire dell’Ottocento la situazione
in Italia è particolarmente drammatica. La fantomatica unificazione del Paese
ha impoverito sempre di più le aree del sud, favorendo lo sviluppo in alcuni
grandi centri del nord, ha riempito sempre di più le tasche dei benestanti e
dei padroni a svantaggio delle tasche sempre più vuote dei ceti inferiori, dove
la fame e il malessere regna. In più ci si mette pure la scellerata politica
coloniale ed espansionistica dei governi Depretis e Crispi, che vuole occupare
le poche terre africane rimaste ancora libere dalle fauci delle potenti nazioni
europee. Così i soldi delle casse del giovane Stato italiano, riempite con le
tasse pagate dal popolo sfruttato, vengono spesi in armamenti e nelle spedizioni
per conquistare Somalia, Etiopia ed Eritrea, aride terre da bonificare,
coltivare e da industrializzare, dimenticando che il sud Italia di terre da
coltivare, e spazi per costruire industrie ce ne sono in abbondanza. Tutto
questo a discapito del popolo che ha sempre più fame e non ha lavoro.
Hanno inizio così gli anni della prima
grande emigrazione di massa, che non riguarderà solo, come si potrebbe credere,
le povere regioni del Meridione, ma tutta l’Italia, e in particolare il Veneto,
le Romagne, il Piemonte e vaste zone della Lombardia. Destino comune a milioni
di italiani che, costretti a cercare altrove la soluzione ad una vita di
stenti, si troveranno esuli in terra straniera perché la patrie non è più in
grado di sfamarli né di garantirgli i diritti civili più elementari.
Oggi secondo i razzisti nostrani, privi
di memoria e inclini alla demagogia, gli italiani non sono più i protagonisti
disperati, ma piuttosto la vittime degli attuali flussi migratori: gli
emigranti, infatti, non siamo più noi, e il fenomeno migratorio porta in Europa
“orde di barbari” provenienti dai paesi poveri e del tutto simili a quelle
masse che andavano ad “invadere” i civili paesi del nord, quando i bravi
borghesi americani si chiedevano seriamente se gli italiani fossero davvero
esseri umani, e, in caso affermativo, se appartenessero alla razza bianca o a
quella “negra”. Anni lontani di cui si è perso il ricordo, quelli in cui i
nostri lavoratori, super sfruttati nelle miniere del Belgio e nelle officine
tedesche, venivano chiamati i cinesi
d’Europa, per la loro inclinazione ad accettare qualsiasi lavoro, anche il
più umiliante e il meno garantito, pur di liberarsi da una miseria atavica.
Quando i figli dei nostri emigrati “clandestini” dovevano vivere rinchiusi in
case dalle finestre sbarrate per nascondere ai bravi cittadini svizzeri la loro
molesta e illegale presenza. Bambini non solo siciliani o calabresi, ma
bergamaschi, vicentini, cuneesi, di pura, purissima razza padana.