Un altro uomo è caduto, colpito a morte,
in questa truce mischia che è la vita sociale. E molti, più o meno
sinceramente, piangono, e molti gridano e molti imprecano.
Chi piangete: Umberto o il re? Se
piangete il cittadino, il padre, lo sposo, se le vostre lacrime son per l’uomo
ucciso dall’uomo, se ciò che della tragedia di Monza vi ha commosso è solamente
il sangue versato, voi ne avete diritto. […] Ma se è sopra una vita troncata
che piangete, se è solo un senso di umanità che vi spreme dal ciglio codeste
lacrime, perché non ne versate di altrettanto amare sui cadaveri insanguinanti
che la plebe, urlante pure in nome del suo diritto alla vita, lasciò per la
città e per i campi sotto la gragnola del piombo fratricida durante
quest’ultimo ventennio nel reame d’Italia?
[…] Noi non seminiamo che le speranze di
redenzione, ridestando le coscienze assopite del proletariato misero e
vilipeso, alla coscienza dei suoi diritti e dei suoi destini. Ma credenti nella
vita e nell’inviolabilità di essa, non solo contro il piombo e il ferro, ma
anche contro le torture della fame, della persecuzione e della violenza, noi la
difendiamo in tutti, perché a tutti vogliamo assicurato il benessere,
l’istruzione, gli affetti dolci e gentili, in una intensità comune e fraterna
di gioia e libertà.

[…] Noi attendiamo che la storia, la
schietta, la vera, scriva anche le pagine sanguinose di quest’ultimo ventennio
di monarchia in Italia: Villa Ruffi, Conselice, Caltavuturo, e le stragi
siciliane del ’94 e quelle milanesi del ’98 superanti le borboniche e le croate;
e la pagine infami di Porto Ercole e delle isole ove credevasi relegare il
pensiero, tormentando i corpi e avvelenando le anime; e le truci commedie dei
tribunali di guerra, disseminanti la indigenza e il rancore in migliaia e
migliaia di famiglie innocenti, e le ruberie sfacciate delle banche, coperti di
onori e di cariche i ladroni maggiori, e tuta la putredine di un basso impero,
avido solo di piaceri e di prepotenze a danno delle classi più umili e più
laboriose.
Cotesti erano pure delitti, anche se commessi
col manto della legge e col pretesto dell’ordine.
Manifesto diffuso a Buenos Aires e datato agosto
1900
Sottoscritto da un gran numero di anarchici tra cui
Pietro Gori