Una società folle si propone di
predisporre il suo avvenire generalizzando l’uso di camicie di forza
individuali e collettive tecnicamente perfezionate (case, città, territorio
pianificato), che ci impone come rimedio ai suoi mali. Noi siamo invitati ad
accettare, a riconoscere come nostro questo “corpo inorganico” prefabbricato;
il potere medita di rinchiudere l’individuo in un altro sé, radicalmente altro.
Al fine di adempiere a questo compito, effettivamente vitale per lui, oltre ai
cortigiani (urbanisti, pianificatori del territorio), può contare sui fuorviati
che fanno attualmente gli straordinari nelle scienze cosiddette umane. I
servitori, segnatamente, di un’”antropologia” non più speculativa ma
strutturale ed operativa, si adoperano attivamente ad estrarre una “natura
umana” in più, ma questa volta direttamente utilizzabile, a somiglianza di una
scheda della polizia, attraverso le diverse tecniche di condizionamento. Il
risultato ultimo del processo così iniziato (ammesso che la crescita delle
forze della nuova contestazione che l’accompagna dappertutto gliene dia il
tempo) si denuncia fin d’ora come la versione modernizzata di una soluzione già
sperimentata, il campo di concentramento, qui decentrata sull’insieme del
pianeta. Le persone vi saranno assolutamente libere, soprattutto di andare e
venire, di circolare, ma interamente prigioniere di questa libertà futile di
andare e venire nei viali del potere.
Bisogna dirlo, non è possibile
riorganizzare l’alienazione e l’oppressione nella società, in nessuna delle
loro varianti, ma solo respingerle in blocco con questa stessa società.
Il compito di riunificare lo spazio e il
tempo in una costruzione libera dello spazio-tempo individuale e sociale
appartengono alla rivoluzione che viene: la disfatta dei “pianificatori”, essa
coinciderà con una trasformazione decisiva della vita quotidiana, sarà questa,
sarà questa trasformazione.