..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 31 maggio 2017

Quella volta che Jacob si travestì da commissario

Il 1° aprile 1897, a Marsiglia, quattro individui piuttosto giovani ma dal portamento austero entrano nella sede del Monte di Pietà in rue Petit-Saint-Jean. Uno di essi porta la fascia tricolore sul petto e si presenta come commissario di polizia: esibisce un mandato di perquisizione sostenendo che, da informazioni sicure, nel banco dei pegni si trova la refurtiva di un colpo in cui e stato commesso un quadruplo omicidio. L’allibito direttore si inchina all’autorità, è imbarazzato e soprattutto preoccupato per i prestiti  ad alto interesse che concede privatamente sulle polizze, e certo non può escludere che tra i molti gioielli incamerati non vi sia della refurtiva. Il commissario ordina di sprangare le porte e comincia subito l'inventario. Per tre ore i quattro individui sequestrano tutti i pezzi di maggior valore infilandoli nelle valigette, dopo aver annotato le caratteristiche in una lista. Il direttore tenta ogni tanto di discolparsi per l’attività di usuraio, la moglie piange, il suo impiegato maledice il superiore tra i denti per avergli causato una simile vergogna...
Ultimata la requisizione, i tre complici si allontanano con le valigette colme di preziosi mentre il “commissario” infila le manette ai polsi del direttore e dell’impiegato: “Spiacente, ma dovrete chiarire la vostra posizione al magistrato inquirente”, e li fa salire su una carrozza, dando al vetturino l’indirizzo del Palazzo di giustizia.
L’accompagna quindi davanti alla porta del procuratore della Repubblica, intimando ai due di sedere sulla panca del corridoio mentre lui va a “prendere ordini”. L’individuo entra nell’ufficio, richiude la porta, vi resta qualche istante per chiedere un’informazione, torna fuori e toglie le manette al direttore, dicendogli: “La questione è molto, davvero molto grave... Il procuratore in persona vi interrogherà, aspettate qui, verrete chiamati entro breve tempo”. E si allontana tranquillamente, uscendo dal palazzo.
Qualche ora più tardi, il direttore-usuraio e io suo malcapitato impiegato guardano con crescente disperazione i dipendenti che se ne vanno, finche il Palazzo di giustizia resta completamente deserto. Ma non osano chiedere nulla, temono di suscitare le ire del procuratore disobbedendo agli ordini del “commissario”… L’usciere, andando a chiudere il portone, si accorge dei due e chiede cosa diamine stiano facendo lì. Al direttore cedono i nervi: si alza di scatto, piagnucola di non aver fatto nulla di grave, si protesta innocente per quanto riguarda la refurtiva e minimizza i guadagni come usuraio, implora, grida, si dispera. L'usciere, stupefatto, corre ad avvertire il giudice istruttore, l'ultimo rimasto nel palazzo. Questi, già in ritardo per una cena con ospiti a casa sua, va su tutte le furie e ordina di sbattere in cella i due sventurati: qualche reato devono pur averlo commesso se si trovano in quella situazione, tanto vale che meditino una notte dietro le sbarre, l’indomani si deciderà. Condotti in prigione singhiozzanti e prostrati, il direttore e l’impiegato saranno più tardi interrogati da un brigadiere della gendarmeria, che dal magma di assurdità e discorsi incoerenti proferiti, tra i quali emergono comunque stranezze da chiarire, intuisce qualcosa di bizzarro, che assomiglia a una colossale beffa. Avverte le autorità, e solo il giorno dopo il mistero è svelato: mai in città si era ordita un'impresa criminosa più sfrontata e audace, con indubbi risvolti esilaranti. Tutta Marsiglia ne riderà per mesi.
Un'azione degna di Arsenio Lupin. In realtà si chiama Alexandre-Marius Jacob, anarchico francese votato a gabbare l’autorità e i ricchi borghesi derubandoli con astuzia e spettacolarità, senza rinunciare ad un tocco di eleganza in ogni gesto. Quando lo scrittore Maurice Leblanc presenterà nel giugno del 1905 il personaggio di Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo, descrivendolo come “l'uomo dai mille travestimenti, di volta in volta autista, tenore, prelato, antiquario o ufficiale degli ussari, che colpisce castelli e salotti e che una notte, penetrato nella dimora del barone Schorman, ne uscì a mani vuote lasciando un biglietto: 'Tomerò quando mobili e gioielli saranno autentici’..", molti in Francia conoscevano il personaggio a cui si era ispirato, quell'Alexandre-Marius Jacob che tre mesi prima era comparso davanti al tribunale di Amiens, accusato di essere il capo dei Travaílleurs de la nuit, i "Lavoratori della notte”, la banda di anarchici che aveva ridicolizzato polizia e alta società per anni. Al processo, magistrati, avvocati e pubblico erano rimasti allibiti (o affascinati) dalla verve oratoria di Jacob, ironico e cortese, sferzante e sicuro di sé fino all’irriverenza. In un articolo su “L'Aurore" si legge: “Non è più la società, rappresentata da giudici e giurati, che giudica Jacob, il principe dei ladri: è Jacob che fa il processo alla società. È lui, in realtà, a condurre il dibattimento. È sempre lui di scena. È sempre lui a dire l’ultima parola. Formula domande e risposte, presiede, giudica! Ai suoi lati ci sono i gendarmi, ma la loro presenza perde importanza non appena Jacob prende la parola per interrogare il presidente. Va tutto a rovescio!