«Nel corso dei
quindici anni rappresentati simbolicamente dalla data del ‘68, apparve una
differente prospettiva: il rifiuto della forma-partito e dell’organizzazione
sindacale; il rigetto di qualsivoglia fase di transizione volta a creare le
basi del comunismo, considerate già pienamente esistenti; l’esigenza di una
trasformazione della vita quotidiana – del nostro modo di mangiare, abitare,
spostarci, amare etc.; il rifiuto di ogni separazione tra rivoluzione
«politica» e rivoluzione «sociale» (o «economica»), cioè della separazione tra
la distruzione dello Stato e la creazione di un nuovo genere di attività
portatrice di rapporti sociali differenti; la convinzione, infine, che ogni
forma di resistenza al vecchio mondo che non lo intacchi in modo decisivo e
tendenzialmente irreversibile, finisca inevitabilmente per riprodurlo. Tutto
ciò può essere riassunto con un’espressione ancora insoddisfacente, ma che
adottiamo a titolo provvisorio: la rivoluzione come comunizzazione».
(Karl Nesic, L'appel du vide,
2003).
«(...) la
rivoluzione non ricerca il potere, ma ha bisogno di poter realizzare le sue
misure. Essa risolve la questione del potere perché ne affronta praticamente la
causa. È rompendo i legami di dipendenza e di isolamento che la rivoluzione
distrugge lo Stato e la politica, appropriandosi di tutte le condizioni
materiali della vita. Nel corso di questa distruzione, sarà necessario portare
avanti misure che creino una situazione irreversibile. Bruciare le navi,
tagliarsi i ponti alle spalle. La vita nova è la posta in gioco e, al contempo,
l'arma segreta dell'insurrezione: è dalla capacità di sovvertire le relazioni
materiali e trasformare le forme di vita che dipende la vittoria.
«La violenza
rivoluzionaria sconvolge gli esseri, e rende gli uomini artefici del proprio
divenire. Essa non si riduce a uno scontro frontale, reso improbabile
dall'evidente squilibrio di forze esistente; e gl'insorti scivolerebbero sul
terreno del nemico se adottassero una logica militare tout court. La guerra
sociale mira piuttosto a dissolvere che a conquistare. Non temendo di mettere
in gioco passioni, immaginazione e audacia, l'insurrezione si fonda sulla
dinamica dell'autogenesi creativa.»
(«NonostanteMilano»)