
Non si tratta
quindi di uno scontro di civiltà né di religioni, è qualcosa che va molto al di
là dell’Islam e dell’America, su cui si tenta di focalizzare il conflitto per
darsi l’illusione di un confronto visibile e di una soluzione di forza. È un
antagonismo fondamentale, ma un antagonismo che designa, attraverso lo spettro
dell’ America (che è forse l’epicentro, ma non certo l’incarnazione della
mondializzazione) e attraverso lo spettro dell’islam ( che non è certo, per
parte sua, l’unica incarnazione del terrorismo), la mondializzazione trionfante
alle prese con se stessa. In questo senso, possiamo si parlare di guerra
mondiale, ma non della terza, bensì della quarta, l’unica veramente mondiale,
poiché a essere in gioco è la mondializzazione stessa. Le prime due guerre
mondiali corrispondevano all’immagine classica della guerra. La prima ha posto
fine alla supremazia dell’Europa dell’era coloniale. La seconda al nazismo. La
terza, che ha già avuto luogo, sotto forma di guerra fredda e di dissuasione
nucleare, ha posto fine al comunismo. Dall’una all’altra, si è andati ogni
volta più avanti, verso un ordine mondiale unico. Oggi, quell’ordine,
virtualmente giunto al termine, si trova alle prese con forze antagonistiche diffuse
ovunque nel cuore stesso del mondiale, in tutte le convulsioni attuali. Guerra
frattale di tutte le cellule, di tutte le singolarità che si ribellano
sottoforma di anticorpi. Scontro talmente inafferrabile che diviene necessario
di tanto in tanto salvare l’idea della guerra con messe in scena spettacolari,
come la guerra del Golfo o quella dell’Afghanistan. Ma la quarta guerra
mondiale è altrove. È ciò che incombe su ogni ordine mondiale, su ogni dominio
egemonico – se a dominare il mondo fosse l’islam, il terrorismo prenderebbe
l’islam a bersaglio. Perché è il mondo stesso che resiste alla
mondializzazione.