Nasce a Milano
il 21 ottobre 1928 da Alfredo e Rosa Malacarne. Nel 1944, sedicenne, partecipa
alla Resistenza antifascista come staffetta della BGT Franco, collaborando con
un gruppo di partigiani anarchici, che costituiscono il suo primo tramite con il
pensiero libertario. Nel 1954 entra nelle ferrovie come manovratore. Nel 1955
si sposa con Licia Rognini. Nei primi anni ’60 si costituisce a Milano un
gruppo di giovani anarchici (Gioventù libertaria). Nel 1965 dopo una decina di
anni senza sede, se ne apre una in viale Murillo, Pinelli è tra i fondatori del
circolo Sacco e Vanzetti. In seguito ad uno sfratto, gli anarchici milanesi
cambiano sede e il primo maggio del 1968 viene inaugurato il circolo anarchico
Ponte della Ghisolfa, sito in piazzale Lugano, nel periferico quartiere operaio
della Bovisa. Siamo nel ’68 e il vento della contestazione che soffia dalla
Francia arriva anche a Milano. L’ambiente anarchico milanese è in pieno
fermento, in molte scuole superiori nascono nuclei libertari, anche nelle
fabbriche ci sono operai anarchici e frequenti sono i volantinaggi di primo
mattino. Gli anarchici milanesi sentono la necessità di una seconda sede,
questa volta nella zona Sud di Milano. Tra i più impegnati nella sistemazione e
nell’apertura del Circolo di via Scaldasole c’è il Pinelli. Il 25 aprile 1969
due attentati colpiscono la Stazione Centrale e la Fiera. Le indagini si
indirizzano verso ambienti libertari e alcuni anarchici vengono arrestati: è
l’inizio di una campagna di criminalizzazione, che trova nuova linfa in agosto,
quando alcuni attentati ai treni vengono ancora attribuiti agli anarchici.
Pinelli e il gruppo Bandiera Nera danno vita sull’esempio della Black Cross
inglese di quei mesi e della Croce Nera russa degli anni ’20, alla Crocenera anarchica,
specificatamente dedita alla solidarietà concreta con i compagni detenuti, ma
anche alla pubblicazione di un bollettino di controinformazione. Pinelli è
l’anarchico più in vista e frequentemente è in questura per richieste di
autorizzazione ecc. il suo interlocutore è perlopiù un giovane commissario di
polizia, informale nei modi: Luigi Calabresi. Così, quando nel tardo pomeriggio
del 12 dicembre 1969, subito dopo l’attentato di piazza Fontana, Calabresi si
presenta al Circolo di via Scaldasole e invita Pinelli a recarsi in questura,
questi acconsente senza problemi.
In questura
Pinelli incontra, in un grosso salone, gran parte degli anarchici milanesi,
fermati come lui per chiarire il proprio alibi. Entro 48 ore, limite massimo
concesso dalla legge di allora per il fermo di polizia, molti fermati vengono
rilasciati, alcuni spostati nel carcere di San Vittore. Pinelli invece viene
trattenuto in questura aldilà del limite legale. Viene interrogato. Poi intorno
alla mezzanotte tra il 15 e 16 dicembre, il suo corpo vola da una stanza
dell’Ufficio politico al quarto piano e si sfracella a terra. Pinelli muore a
Milano all’Ospedale Fatebenefratelli nella notte tra il 15 e 16 dicembre 1969.
La vicenda politico giudiziaria del suo assassinio, intrecciata con l’intera
storia della strage di piazza Fontana, in particolare con il caso Valpreda,
diventerà negli anni un vero e proprio boomerang per il potere. I maldestri
tentativi di mettere a tacere il tutto, culminati nella tesi del malore attivo
proposta dal giudice Gerardo D’Ambrosio, non faranno che evidenziare quella
verità che non hanno ancora trovato spazio nelle carte ufficiali.
