Quando il lavoro
prende il posto della raccolta delle risorse che la terra, l'acqua, le foreste,
il vento, il sole, la luna, le stagioni offrono all'ingegnosità umana, esso sostituisce
alla relazione simbiotica degli uomini e della natura un rapporto di violenza. L'ambiente
e la vita che ne deriva scadono al rango di paesi conquistati e da riconquistare
senza sosta. Il produttore li tratta da ribelli da subdoli nemici.
La natura ha conosciuto
la stessa sorte della donna, ammirabile come oggetto, disprezzabile come soggetto.
E' stata violentata, strapazzata, saccheggiata, spezzettata in proprietà, mortificata
giuridicamente, esaurita fino alla sterilizzazione. Il corpo allenato al va e vieni
dei muscoli e alle ridondanze dello spirito non è forse il trionfo della civiltà
sui "bassi istinti!, cioè sulla ricerca dei piaceri?.
È risaputo come tante
virtù che governano la felicità abbiano propagato il gusto di distruggere e di distruggersi.
Quando la fabbrica del lavoro universale non assorbiva l'energia libidica, l'eccedente
si sfogava in conflitti di interesse e di potere che le grandi Cause, tanto diverse
quanto sacre, portavano a passeggio di bandiera in bandiera. Tuttavia anche la natura
umana si consuma e l'edonismo. che riduce la soddisfazione dei desideri al consumo
di piaceri surgelati, è buon contemporaneo delle foreste moribonde, dei fiumi senza
pesci e dei miasmi nucleari.
Il lavoro ha talmente
separato l'uomo dalla natura e dalla sua natura che ormai niente di vivente si può
investire nell'economia senza che prenda il partito della morte. È concepibile
che appaiono altre direzioni e che la gratuità, un tempo tacciata di irrealismo
sia ormai la sola realtà da creare.