Nel corso degli
anni Settanta dell’Ottocento, Carlo Cafiero ed Errico Malatesta furono più
volte a Roma al fine di allargare alla neo capitale del regno la rete
organizzativa dell’Associazione internazionale dei lavoratori (AIL),
svolgendovi un ruolo di educazione e organizzazione tale da caratterizzare in
senso libertario gli sviluppi futuri del socialismo romano. Un primo passaggio
di Cafiero in città è segnalato nel novembre 1871 durante i lavori del XII
congresso nazionale delle Società operaie affratellate. In questa occasione,
egli non entrò in contatto diretto con il nascente movimento sindacale
capitolino ma, attraverso i rapporti stabiliti durante l’assise con alcuni
esponenti della sinistra repubblicana (Cesare Sterbini e Salvatore Battaglia),
contribuì alla rottura tra le associazioni economiche cittadine e gli ambienti
moderati fino ad allora prevalenti. Il cambio di orientamento fu segnato dalla
nascita, avvenuta il mese successivo, di un primo raggruppamento d’area
internazionalista, la Società della democrazia sociale, che contò fin da subito
un centinaio di aderenti “tutti appartenenti alle infime classi”. Nella
capitale, Cafiero tornò a metà giugno dell’anno seguente, in preparazione del
congresso fondativo dell’AIL in Italia, che si sarebbe svolto a Rimini in
agosto. Qui partecipò ad alcuni incontri con i garibaldini reduci della
battaglia dei Vosgi tra cui Osvaldo Gnocchi Viani, il quale si fece promotore
della prima sezione internazionalista cittadina, la Lega operaia d’arti e
mestieri industriali, sorta il mese successivo.
In questo
periodo, Cafiero sembrava intenzionato a trasferirsi in città per seguire più
da vicino lo sviluppo dell’AIL nella capitale, ma il suo proposito fu
vanificato dall’azione repressiva del prefetto che decretò lo scioglimento
della Lega operaia e l’arresto di pressoché tutta la direzione, Viani compreso.
Nuovi incontri si svolsero tra la primavera e l’inizio dell’estate del 1874 in
vista dei moti di agosto cui, insieme a Cafiero, parteciparono anche Andrea
Costa ed Errico Malatesta. Dopo alcune riunioni, fu quest’ultimo a seguire gli
internazionalisti capitolini, con i quali organizzò un colpo di mano che,
nell’ambito della preannunciata sollevazione, prevedeva di impossessarsi di
3.000 fucili della guardia nazionale custoditi all’Aracoeli e altri 400
custoditi in un deposito ai Castelli. L’esproprio delle armi fu tuttavia
impedito dall’azione preventiva della pubblica sicurezza; ciò nonostante, le
attività di Malatesta contribuirono a una maggiore definizione in chiave
anarchica e insurrezionale del socialismo romano, con una prima presa di
distanza all’impostazione evoluzionista caldeggiata da Viani.
Insieme a Emilio
Covelli, Cafiero e Malatesta tornarono nell’Urbe all’inizio del 1876 con lo
scopo di trasferirvisi in maniera definitiva avendo in animo di organizzare in
città un convegno nazionale dell’AIL e costituirvi il centro del Comitato
italiano per la rivoluzione sociale. Ospitati dapprima nell’abitazione
dell’antiautoritario Emilio Borghetti, in via dei Pontefici, Malatesta si
trasferì poi in via dell’Impresa, tra Montecitorio e Palazzo Chigi, mentre
Cafiero si spostò all’inizio della Cassia, per stabilirsi infine nella centrale
via del Pellegrino, trovando lavoro come bibliotecario alla Biblioteca
“Vittorio Emanuele” per una paga di 3 lire al giorno (grossomodo quella di un
muratore). Durante il loro soggiorno, entrambi – ma soprattutto Malatesta – si
mossero per la possibile unificazione con i garibaldini e la parte più radicale
del movimento repubblicano, ipotesi tuttavia vanificata dalla netta opposizione
della massoneria, contraria alla fusione dei democratici con i socialisti.
Rotta la possibilità di una collaborazione tra gli ambienti sovversivi,
Malatesta partecipò alla costituzione del Circolo operaio, un raggruppamento
distinto dalla proposta di Viani fino a quel momento prevalente, che giocò un
certo ruolo nelle lotte dei disoccupati scoppiate in quei mesi. Le attività dei
due esponenti sollevarono le apprensioni della pubblica sicurezza, oltremodo
preoccupata per il possibile radicamento dell’anarchismo nella capitale
politica del regno. La loro permanenza durò infatti assai poco: in seguito a
una serie di arresti, Cafiero fu costretto a partire il 30 maggio, mentre
Malatesta lasciò la città in fretta e furia il 18 giugno, mantenendo comunque i
rapporti con gli ambienti romani che lo delegarono al congresso internazionale
di Berna di fine ottobre. Cafiero e Malatesta tornarono a Roma all’inizio
dell’anno successivo in vista dell’iniziativa insurrezionale del Matese
prevista per la primavera seguente. Malatesta partecipò a una serie di riunioni
riservate che si svolsero nelle campagne e nelle osterie fuori Porta Maggiore,
all’epoca estrema periferia della città.
Le discussioni
non furono affatto facili; egli dové infatti affrontare le perplessità che serpeggiavano
tra gli ambienti romani che, in seguito al fallimento dei moti del 1874, pur
confermando la loro adesione alla linea antiautoritaria si mostrarono in un
primo momento poco disponibili a nuove sortite sediziose. Superati gli indugi,
sotto la supervisione di Cafiero e Malatesta venne infine organizzato un gruppo
armato che avrebbe dovuto raggiungere gli insorti del Matese, ma le cose
andarono male: la spedizione fu intercettata dalla polizia all’uscita dalla
città con l’arresto dei suoi componenti. Fu un duro colpo per i socialisti
capitolini che, solo in novembre, poterono riorganizzarsi dando vita al Circolo
internazionalista di Roma, un organismo dal carattere esplicitamente anarchico.
Quello del 1877 fu un passaggio delicato, che si risolse in una più piena e
convinta adesione dell’insieme dell’internazionalismo romano alla proposta
libertaria. Negli anni seguenti, le altre correnti sorte in seno all’AIL, come
quella socialista rivoluzionaria di Costa o quella operaista di Gnocchi Viani,
trovarono infatti serie difficoltà a radicarsi nel tessuto sociale cittadino
non riuscendo mai ad aprire una propria sezione locale. Grazie al lungo lavorìo
di Cafiero e Malatesta, l’anarchismo continuò invece ad allignare tra il
proletariato capitolino rappresentandone una tensione culturale, ancor prima
che politica, che negli anni successivi si sarebbe rivelata lungamente egemone
e chiaramente riconoscibile.