
Stringiamo i denti, serriamo i ranghi, teniamo la linea
Dopo la
carneficina, il numero del circo degli idioti, dei razzisti e degli
scappati-di-casa è lanciato. In funzione del grado di porcheria o di perdizione
degli uni e degli altri, ognuno farà le sue condoglianze più o meno sincere per
le vittime, omaggerà il coraggio delle forze dell’ordine, poi in funzione del
grado di razzismo e di autoritarismo intimerà ai musulmani di scusarsi e
reclamerà un inasprimento delle leggi. Dopodiché verrà il tempo della reazione
dei potenti per mantenere il loro ordine sociale violento.
Noi non
omaggiamo le forze dell’ordine, cani da guardia di un sistema che ogni giorno
distrugge vite. Non siamo il tipo di persone che si scusa per ciò che non ha
fatto. Per contro, il nostro pensiero va ai nostri fratelli e sorelle che si
sono messi/e in prima linea per salvare delle vite. Ai fratelli del Bataclan:
Kayana e Camille, siete degli eroi che con le vostre braccia e il vostro cuore
avete salvato delle vite facendo salire delle persone sul tetto... dall’abbaino
con la forza delle vostre mani... la fratellanza operaia del roading.

Il governo,
in un remake dell’11 gennaio, ripete in loop le stesse parole: “autorità”,
“fermezza”, “la Repubblica è in pericolo”. Tanto blaterare per niente: cosa
possono fare di più e che non hanno già fatto dato che non vogliono affrontare
le cause di questa cieca violenza politica? E rispetto alle conseguenze: sono
chiari. Le loro forze di sicurezza sono già pronte. La polizia e l’esercito
sono già dappertutto nelle nostre strade a piantonare gli edifici. Questo
venerdì 13 novembre 2015 è la dimostrazione che tutto ciò non serve a niente.
Non c’è un solo tizio in uniforme con un fucile d’assalto sulla strada dei
tak-tak. I soldati della NATO non sono là per proteggerci, sono là per
prepararci al fatto che “noi” siamo in guerra.
La loro
guerra, i nostri morti
La Rèpublique
è in guerra contro chi? In ogni caso, non contro coloro che finanziano,
addestrano e indottrinano i tak-tak. Stasera i principi Wahabiti del Qatar,
dell’Arabia Saudita o i sultani turchi dormiranno ben tranquilli nel cuore di
Parigi dentro i loro ricchi hotel o dentro i palazzi, mentre le loro creature
astiose e degenerate prodotto della globalizzazione capitalista seminano morte
per le strade di Parigi come hanno fatto ieri per le strade di Beirut e il
giorno prima ad Ankara. Il nostro dolore è identico per tutte le famiglie dei
martiri della periferia del sud che sotterrano le 47 vittime dell’attentato di
ieri a Bourj e le 102 di Ankara, quelle di Parigi e quelle che muoiono in Siria
ostaggio di un gioco mortifero tra delle potenze imperiali e un tiranno. Questi
morti, da Damasco a Beirut, a Parigi, sono i morti della globalizzazione
capitalista, di una corsa ai profitti completamente caotica e disgustosa.
Invece di
cercare di punire coloro che finanziano, addestrano e indottrinano i soldati di
un califfato fantasma, assistiamo a un’ondata di odio razzista, di stupidi
amalgami per impedire al nostro popolo di connettere le conseguenze alle cause.
Allora,
dobbiamo restare calmi. Continuare a proteggere i più vulnerabili tra noi.
Lasciamo che gli eccessi della febbre razzista si sfoghino nei commenti su
Facebook, il nostro campo d’azione non è quello. Astrologi e altri ciarlatani
della geopolitica invaderanno il web e le televisioni per venderci le loro
teorie e i loro prodotti derivati che servono a mantenere questo ordine sociale
e legittimare una cieca repressione. Lasciamoli su quel terreno. Teniamoci il
nostro, quello del quotidiano nei nostri quartieri, sui nostri posti di lavoro.
Conosciamo dove sta il nostro nemico. Teniamo la linea. Vivremo dei periodi in
cui la storia accelererà. Prepariamoci.
Quartiers
libres (collettivo di militanti della banlieu di Parigi)