Nell’universo
spettacolarizzato della vita sostenibile, tutto serve sempre ad illudere, a
condizionare, a stroncare ogni possibile germe di pensiero veramente critico
nei confronti dell’ordine esistente. Così, anche quando ci si misura con un
livello di nocività arrivata ormai fin dentro i nostri corpi, tutto sembra
sempre scontato, giustificato. Il concetto di sostenibilità rientra a tutti gli
effetti nel gioco delle parole utilizzato per illudere e convincere.
Sostenibilità significa, materialmente, contenimento della nocività, e rincorrere
la prospettiva della limitazione dell’avvelenamento vuol dire darlo per
scontato per poi delegare alle istituzioni costituite il potere di stabilire i
parametri di tollerabilità. Circostanza che non soltanto toglie dalle mani
della gente ogni possibilità di opposizione diretta, ma consente alle
istituzioni stesse di fare il bello e il cattivo tempo sull’argomento, alzando
i limiti legali d’inquinamento ogni volta che la tossicità sarà in aumento.
La mesta realtà
in cui viviamo parla proprio in questo senso: più aumentano le
regolamentazioni, le autorizzazioni, le certificazioni e i rigidi disciplinari
“bio”, più la vita si contamina; più si intensificano le normative di tutela
dei consumatori, più i consumatori sono vessati e costretti a fare di necessità
virtù. Nel mondo delle Dichiarazioni Universali dei Diritti Umani, delle
Convenzioni di Ginevra e delle Nazioni Unite sono i pezzi di carta che contano,
e i poteri forti, ben protetti da questi incartamenti che dispensano a piene
mani per ammutolire i sudditi, possono continuare a fare tutto ciò che
vogliono: anche le guerre, i genocidi mirati, le eco-devastazioni. Inventare
soluzioni formali, ossimori e carte degli intenti per far fronte a problemi
concreti, vuole dire non voler affrontare i problemi concreti. La forma non è
la sostanza, e sistemare le cose in modo puramente formale significa solo darsi
una parvenza di risoluzione.