..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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sabato 6 dicembre 2025

6 dicembre 2005 – Venaus

Squilla il telefono: “Stanno arrivando!”.

Abbiamo poco tempo. Ecco le luci e le sirene blu in lontananza, l’atmosfera è surreale.

Sotto i fari accecanti saliamo sulla barricata per capire cosa sta succedendo, c’è una ruspa della polizia! Ma che fa?! Avanza! Urliamo per fermarli per avvisare che c’è gente sulle barricate, ma nulla.

Intanto ai lati, partono due squadre di carabinieri e polizia. Si sentono legni spezzarsi, la paura sale, le grida sono più forti, la ruspa sta sfondando la barricata, la gente cade, si appende a ciò che trova ma il mezzo non si ferma. Sopra c’è il vice questore che continua ad urlare con gli occhi fuori dalle orbite “SCHIACCIATELI, AMMAZZATELI!”.

Arriviamo fino al Presidio e a calci alcuni celerini ci dicono di andare alla baracca, altri ci spingono sul prato. Lo spintonamento continua, si divertono, alcuni ridono e nel mentre ci filmano.

Chi è rimasto al presidio se l’è vista peggio: la polizia è arrivata dai campi e ha massacrato chiunque fosse presente, senza curarsi di nulla: anziani, ragazze, donne inermi e chi dormiva nelle tende.

Li hanno poi chiusi nel presidio. Lo spazio era troppo piccolo per la gente che c’era e li han sbattuti contro i vetri della baracca, volevano farli passare attraverso le finestre, alcune si sono rotte e la gente è caduta dentro. Intanto altre squadre si davano da fare per spaccare tutto, questi erano gli ordini che si sentivano gridare, e così han fatto. Hanno rotto le tende e le strutture presenti, hanno massacrato a manganellate chi dormiva. Quel poco che avevamo lasciato (zaini, documenti, portafogli, oggetti personali) è stato spazzato via.

 Questo fu quello che accadde in Valle, il 6 dicembre del 2005.

Affinché Nessuno dimentichi.

Affinché tutti sappiano che NESSUNO DI NOI - chi era presente e chi non lo era - PERDONA.



mercoledì 3 dicembre 2025

La vita addomesticata

 

L’addomesticamento è il processo usato dalla civiltà per indottrinare e controllare la vita secondo la sua logica. Questi meccanismi di subordinazione collaudati nel tempo comprendono: la doma, l’allevamento selezionato, la modificazione genetica, l’addestramento, l’imprigionamento, l’intimidazione, la coercizione, l’estorsione, la speranza, il controllo, la schiavizzazione, il terrorismo, l’assassinio... l’elenco continua e comprende quasi tutte le interazioni sociali del mondo civile. Questi meccanismi e i loro effetti si possono osservare e percepire nell’intera società, e sono imposti attraverso istituzioni, riti e costumi. L’addomesticamento è anche il processo attraverso il quale popolazioni umane precedentemente nomadi passano a un’esistenza sedentaria tramite l’agricoltura e la zootecnia. Questo tipo di addomesticamento comporta un rapporto totalitario sia con la terra che con le piante e gli animali da addomesticare. Se allo stato selvatico tutte le forme di vita condividono le risorse e competono per adoperarle, l’addomesticamento distrugge questo equilibrio. Il paesaggio addomesticato (per esempio i terreni tenuti a pascolo, i campi coltivati e, in minor misura, l’orticoltura e il giardinaggio) esige la fine della libera condivisione delle risorse che esisteva in precedenza: ciò che una volta “era di tutti”, adesso è “mio”. Nel suo romanzo Ishmael, Daniel Quinn spiega questa trasformazione dalla condizione dei Leavers (coloro che accettavano ciò che la terra offriva) a quella dei Takers (coloro che pretendevano dalla terra ciò che volevano). Questa nozione di appropriazione gettò le fondamenta per la gerarchia sociale con la comparsa della proprietà e del potere. Non solo l’addomesticamento trasforma l’ecologia da ordine libero a ordine totalitario, ma schiavizza anche tutte le specie addomesticate. In generale, quanto più un ambiente è controllato, tanto meno è sostenibile. L’addomesticamento degli stessi esseri umani richiede molte contropartite rispetto al modo di vita nomade basato sulla raccolta di ciò che si trova in natura. Merita rilevare che gran parte dei passaggi dal modo di vita nomade all’addomesticamento non sono avvenuti autonomamente, ma sono stati imposti con la lama della spada o la canna del fucile. Se solo 2000 anni fa la maggioranza della popolazione mondiale era costituita da raccoglitori-cacciatori, oggigiorno la cifra è scesa allo 0,01%. La traiettoria dell’addomesticamento è una forza colonizzatrice che ha portato con sé una miriade di patologie per le popolazioni conquistate e per gli stessi iniziatori della pratica. Tra i vari esempi si possono citare il declino della salute per carenze nutritive dovute all’eccessivo ricorso a diete non diversificate, quasi 40-60 malattie trasmesse e integrate nelle popolazioni umane per ogni animale addomesticato (l’influenza, il comune raffreddore, la tubercolosi, eccetera), la comparsa di un surplus che si può usare per nutrire una popolazione sbilanciata e che invariabilmente comporta la proprietà e la fine della condivisione incondizionata.

domenica 30 novembre 2025

I primi passi verso l’a-normalità

 

Come psichiatrizzati in lotta abbiamo compreso che il tutto sociale ha per fulcro la Norma. La relazione dei soggetti con questa comincia durante i primi anni di vita e non solo attraverso le istituzioni della scuola e della famiglia, ogni giorno la medicalizzazione con psicofarmaci è più precoce: non è affatto raro vedere medici prescrivere tranquillanti come fossero caramelle ai bambini più “rivoltosi”. Senza dubbio, sappiamo che esiste un punto chiave (che frequentemente si produce intorno all’adolescenza, ma che necessariamente non deve essere sempre così) quando gran parte delle persone si rendono conto che c’è qualcosa nella Realtà che non li convince fino in fondo. Spesso si giunge a questa situazione coll’osservare i propri genitori… Ciò suole mostrare che questo mondo non è così stupendo, che la vita non è necessariamente questo dono così meraviglioso come tante volte ci hanno ripetuto. Quando il dubbio va prendendo forma a suon di schiaffoni, di sofferenze varie, disillusioni, mazzate e disperazione, solitamente si aprono due strade: da una parte l’autodistruzione con tutte le sue varianti (droghe, suicidio, ostracismo volontario, ecc.), dall’altra l’immersione nella rete del Sistema di Salute Mentale. Così ti ritrovi, senza renderti conto come, in un ambulatorio della pubblica sanità, nello studio di qualche terapeuta tra i mille tipi che offre il mercato o direttamente legato a una barella nella sezione psichiatrica di qualche ospedale. Arrivato qui, possono succedere due cose: o uno viene sottomesso con la medicina e torna a incorporarsi nel funzionamento sociale come se quasi nulla fosse accaduto (il che suole essere più difficile quanto più duro è stato lo scontro con la Norma), oppure uno si introduce in quella spirale cronica (come abitualmente si incaricano di ricordarci i medici: “date le sue caratteristiche, non dovremmo ossessionarci col parlare di doversi curare, ma piuttosto di poter raggiungere un livello di vita il più gradevole possibile”) di cadute-ricadute, medicazioni e ricovero volontario. Quandoun soggetto che è arrivato fino a questo punto decide di fare la guerra alla società e al suo tiranno concetto di normalità, quando uno psichiatrizzato si dichiara a sé stesso - senza il beneplacito di nessun pastore rivoluzionario - psichiatrizzato in lotta, scontrandosi con i farmaci, con gli ordini giudiziari, o con la sporca autorità scientifica, si afferma come soggetto rivoluzionario in questo deserto di omogeneità e disincanto. La situazione in cui si trova lo psichiatrizzato in lotta è quella di essere contraddizione ambulante davanti all’ingranaggio. È colui che dice: i padroni a volte si sbagliano, i loro pronostici e le loro scientifiche teorie non valgono un cazzo: sono qui, non sono morto né drogato, ho vissuto e vivo l’inferno della Macchina e voglio aggiustare qualche conto in sospeso. Qui il sistema ha perso la sua aria di innocenza e ormai è impossibile che possa recuperarla. Ormai non ha più nulla con cui sedurre qualcuno. 

giovedì 27 novembre 2025

Cafiero e Malatesta in giro per Roma

 

Nel corso degli anni Settanta dell’Ottocento, Carlo Cafiero ed Errico Malatesta furono più volte a Roma al fine di allargare alla neo capitale del regno la rete organizzativa dell’Associazione internazionale dei lavoratori (AIL), svolgendovi un ruolo di educazione e organizzazione tale da caratterizzare in senso libertario gli sviluppi futuri del socialismo romano. Un primo passaggio di Cafiero in città è segnalato nel novembre 1871 durante i lavori del XII congresso nazionale delle Società operaie affratellate. In questa occasione, egli non entrò in contatto diretto con il nascente movimento sindacale capitolino ma, attraverso i rapporti stabiliti durante l’assise con alcuni esponenti della sinistra repubblicana (Cesare Sterbini e Salvatore Battaglia), contribuì alla rottura tra le associazioni economiche cittadine e gli ambienti moderati fino ad allora prevalenti. Il cambio di orientamento fu segnato dalla nascita, avvenuta il mese successivo, di un primo raggruppamento d’area internazionalista, la Società della democrazia sociale, che contò fin da subito un centinaio di aderenti “tutti appartenenti alle infime classi”. Nella capitale, Cafiero tornò a metà giugno dell’anno seguente, in preparazione del congresso fondativo dell’AIL in Italia, che si sarebbe svolto a Rimini in agosto. Qui partecipò ad alcuni incontri con i garibaldini reduci della battaglia dei Vosgi tra cui Osvaldo Gnocchi Viani, il quale si fece promotore della prima sezione internazionalista cittadina, la Lega operaia d’arti e mestieri industriali, sorta il mese successivo.

In questo periodo, Cafiero sembrava intenzionato a trasferirsi in città per seguire più da vicino lo sviluppo dell’AIL nella capitale, ma il suo proposito fu vanificato dall’azione repressiva del prefetto che decretò lo scioglimento della Lega operaia e l’arresto di pressoché tutta la direzione, Viani compreso. Nuovi incontri si svolsero tra la primavera e l’inizio dell’estate del 1874 in vista dei moti di agosto cui, insieme a Cafiero, parteciparono anche Andrea Costa ed Errico Malatesta. Dopo alcune riunioni, fu quest’ultimo a seguire gli internazionalisti capitolini, con i quali organizzò un colpo di mano che, nell’ambito della preannunciata sollevazione, prevedeva di impossessarsi di 3.000 fucili della guardia nazionale custoditi all’Aracoeli e altri 400 custoditi in un deposito ai Castelli. L’esproprio delle armi fu tuttavia impedito dall’azione preventiva della pubblica sicurezza; ciò nonostante, le attività di Malatesta contribuirono a una maggiore definizione in chiave anarchica e insurrezionale del socialismo romano, con una prima presa di distanza all’impostazione evoluzionista caldeggiata da Viani.

Insieme a Emilio Covelli, Cafiero e Malatesta tornarono nell’Urbe all’inizio del 1876 con lo scopo di trasferirvisi in maniera definitiva avendo in animo di organizzare in città un convegno nazionale dell’AIL e costituirvi il centro del Comitato italiano per la rivoluzione sociale. Ospitati dapprima nell’abitazione dell’antiautoritario Emilio Borghetti, in via dei Pontefici, Malatesta si trasferì poi in via dell’Impresa, tra Montecitorio e Palazzo Chigi, mentre Cafiero si spostò all’inizio della Cassia, per stabilirsi infine nella centrale via del Pellegrino, trovando lavoro come bibliotecario alla Biblioteca “Vittorio Emanuele” per una paga di 3 lire al giorno (grossomodo quella di un muratore). Durante il loro soggiorno, entrambi – ma soprattutto Malatesta – si mossero per la possibile unificazione con i garibaldini e la parte più radicale del movimento repubblicano, ipotesi tuttavia vanificata dalla netta opposizione della massoneria, contraria alla fusione dei democratici con i socialisti. Rotta la possibilità di una collaborazione tra gli ambienti sovversivi, Malatesta partecipò alla costituzione del Circolo operaio, un raggruppamento distinto dalla proposta di Viani fino a quel momento prevalente, che giocò un certo ruolo nelle lotte dei disoccupati scoppiate in quei mesi. Le attività dei due esponenti sollevarono le apprensioni della pubblica sicurezza, oltremodo preoccupata per il possibile radicamento dell’anarchismo nella capitale politica del regno. La loro permanenza durò infatti assai poco: in seguito a una serie di arresti, Cafiero fu costretto a partire il 30 maggio, mentre Malatesta lasciò la città in fretta e furia il 18 giugno, mantenendo comunque i rapporti con gli ambienti romani che lo delegarono al congresso internazionale di Berna di fine ottobre. Cafiero e Malatesta tornarono a Roma all’inizio dell’anno successivo in vista dell’iniziativa insurrezionale del Matese prevista per la primavera seguente. Malatesta partecipò a una serie di riunioni riservate che si svolsero nelle campagne e nelle osterie fuori Porta Maggiore, all’epoca estrema periferia della città.

Le discussioni non furono affatto facili; egli dové infatti affrontare le perplessità che serpeggiavano tra gli ambienti romani che, in seguito al fallimento dei moti del 1874, pur confermando la loro adesione alla linea antiautoritaria si mostrarono in un primo momento poco disponibili a nuove sortite sediziose. Superati gli indugi, sotto la supervisione di Cafiero e Malatesta venne infine organizzato un gruppo armato che avrebbe dovuto raggiungere gli insorti del Matese, ma le cose andarono male: la spedizione fu intercettata dalla polizia all’uscita dalla città con l’arresto dei suoi componenti. Fu un duro colpo per i socialisti capitolini che, solo in novembre, poterono riorganizzarsi dando vita al Circolo internazionalista di Roma, un organismo dal carattere esplicitamente anarchico. Quello del 1877 fu un passaggio delicato, che si risolse in una più piena e convinta adesione dell’insieme dell’internazionalismo romano alla proposta libertaria. Negli anni seguenti, le altre correnti sorte in seno all’AIL, come quella socialista rivoluzionaria di Costa o quella operaista di Gnocchi Viani, trovarono infatti serie difficoltà a radicarsi nel tessuto sociale cittadino non riuscendo mai ad aprire una propria sezione locale. Grazie al lungo lavorìo di Cafiero e Malatesta, l’anarchismo continuò invece ad allignare tra il proletariato capitolino rappresentandone una tensione culturale, ancor prima che politica, che negli anni successivi si sarebbe rivelata lungamente egemone e chiaramente riconoscibile.

lunedì 24 novembre 2025

Anarchismo e Neo-Anarchismo

 

La grande novità oggi è che il movimento anarchico non è più l’unico depositario, il solo detentore, di certi principi anti-gerarchici, né di certe pratiche non autoritarie, né di forme orizzontali di organizzazioni, né della capacità di intraprendere lotte con connotazioni libertarie. Tali elementi si sono disseminati al di fuori del movimento anarchico e oggi sono ripresi da collettivi che non si identificano con l’anarchismo, anzi che, a volte, esprimono chiaramente il loro rifiuto a farsi rinchiudere tra le maglie di questa identità. Se vogliamo dunque parlare dell’anarchismo contemporaneo, dobbiamo tenere accuratamente conto dell’esistenza di queste manifestazioni, perché fanno parte dell’anarchismo in atto, anche se non ne rivendicano il nome, e anche se ne sconvolgono un po’ le forme tradizionali. Dobbiamo tenerne conto perché, in definitiva, sono convinto che ciò che importa a tutti e a tutte è che le persone sviluppino pratiche di tipo anarchico, che si impegnino in lotte anti-autoritarie e che manifestino una sensibilità libertaria, più che si schierino, o meno, dietro il vessillo dell’anarchia. Ecco la ragione per cui, per indicare que-sto anarchismo che si sta un po’ diffondendo, questo anarchismo non identitario, elaborato direttamente nelle lotte contemporanee, ed esterno al movimento anarchico, ho fatto uso dell’espressione neo-anarchismo. Il neo-anarchismo è effettivamente questo, ma non soltanto, poiché quello che vi ho appena descritto rappresenta solo uno dei due elementi di tale fenomeno. L’altro elemento del neo-anarchismo è costituito da collettivi e da persone, di solito molto giovani, che, pur dichiarandosi esplicitamente anarchici, esprimono però una nuova sensibilità nei confronti di tale appartenenza identitaria. Il loro modo di far propria l’identità anarchica è contraddistinto da un’elasticità e da un’apertura che, da un lato, comporta un rapporto diverso con la tradizione anarchica e, dall’altro, con i movimenti antagonisti esterni a tale tradizione. Di fatto, i confini tra queste due realtà diventano sempre più permeabili, più porosi, la dipendenza dalla tradizione anarchica si indebolisce e, soprattutto, si avverte come tale tradizione debba essere fecondata, arricchita e dunque trasformata e riformulata, mediante inclusioni, e persino tramite ibridazione, mediante una certa mescolanza, con apporti provenienti da lotte condotte nel quadro di altre tradizioni. Non si tratta soltanto di inserire nell’anarchismo elementi di un pensiero critico elaborato fuori di esso, si tratta, soprattutto, della necessità di produrre in comune, insieme ad altri collettivi parimenti impegnati in lotte contro il dominio, con elementi che si inseriscano nella tradizione anarchica, conferendole nuovo impulso. Tale apertura del neo-anarchismo potrebbe essere esemplificata ricordando la famosa frase che dice: «Da soli non abbiamo possibilità, ma inoltre, ciò non porterebbe a niente».

Ed è proprio questa sensibilità che ritroviamo nella dichiarazione del PAN, rete planetaria anarchica (Planetary Anarchist Network), dove, ad esempio, possiamo leggere: «Si tratta di mettere in rapporto i milioni di persone che in tutto il mondo sono concretamente anarchiche senza saperlo con il pensiero di coloro che operano in questa stessa tradizione e, al tempo stesso, arricchire la tradizione anarchica a contatto con la loro esperienza». Questa ridefinizione identitaria ha ripercussioni sull’immaginario anarchico e ciò è importante perché, come sappiamo benissimo, in generale, non è tramite la preliminare conoscenza dei testi teorici che i giovani si accostano al movimento anarchico. Non aderiscono agli scritti di Proudhon, ma a un certo tipo di immaginario. Di fatto, l’immaginario si è continuamente arricchito, facendo propri, principalmente, i grandi eventi storici delle lotte contro il dominio, mano a mano che si verificavano; in questi ultimi anni ha fatto propri, ad esempio, le barricate, oltre alle occupazioni e agli slogan del Maggio 68. Dopo il Sessantotto, una serie di fenomeni, come gli anarco-punk o ancora il proliferare degli squat, con l’estetica e lo stile di vita che hanno sviluppato, hanno continuato a rendere mobile tale immaginario. Ma sono stati certamente i grandi episodi internazionali delle lotte contro diverse forme di dominio, dal Chiapas nel 1994 fino a Genova nel 2001, passando per Seattle nel 1999, che lo hanno reso vivo agli occhi dei più giovani. È questo immaginario, un po’ diverso se paragonato a quello degli anni Sessanta che, grosso modo, si fermava alla rivoluzione spagnola, che suscita le adesioni identitarie dei giovani anarchici di oggi, ed è chiaro che i nuovi elementi che lo costituiscono ridisegnano, necessariamente, il profilo di tale identità. Riassumendo, l’identità anarchica contemporanea non è più, nel modo più assoluto, quella di un tempo, né può essere la stessa, perché l’immaginario nel quale si costituisce si alimenta anche delle lotte sviluppate dagli attuali movimenti di contestazione, le quali, a loro volta, presentano caratteristiche differenti dalle lotte di un tempo. Queste nuove forme di lotta non compaiono per caso né sono il risultato di una nuova strategia politica elaborata in qualche luogo in maniera deliberata. In realtà, sono il risultato diretto di una ricomposizione e di un rinnovamento dei dispositivi e delle modalità del dominio che accompagnano i cambiamenti sociali di questi ultimi decenni. Le pratiche di lotta contro il dominio stanno cambiando nel momento stesso in cui cambiano le forme di dominio, e ciò è del tutto normale, perché le lotte sono sempre suscitate e definite da ciò contro cui si costituiscono. Sono le nuove forme di dominio apparse nelle nostre società a generare le resistenze attuali e a conferire loro la forma che è loro propria.

giovedì 20 novembre 2025

Gemere Gridare Pregare

 

La sopravvivenza è un campo di coerenze, lo stile di vita un campo di risonanze. Il linguaggio economizzato partecipa del primo, la vivacità poetica del secondo. L'era della creazione abolisce il lavoro. Il lavoro è la forma che inaugura lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. È l'atto fondatore di una civiltà, dove il soggetto che trasforma la manna terrestre in merce diventa esso stesso un oggetto mercantile. Durante le guerre, apparse verso la fine del Neolitico, i vinti sfuggivano al massacro solo quando servivano come schiavi dei vincitori. A partire da quel tempo, la sopravvivenza è sempre stata il prezzo di una morte differita. C'è stato un tempo in cui il dinamismo commerciale salvaguardava una parte di creatività utile al suo processo d'innovazione. Le libertà furtive del libero scambio trasmettevano lo spirito separato e disturbavano il conservatorismo dei regimi agrari. Per quanto scarsa ed emarginata fosse, la passione di creare rendeva attraenti dei lavori la cui utilità sociale sembrava indiscutibile. Sappiamo come le innovazioni originate dal capitalismo in fase d'industrializzazione abbiano alimentato il mito di un progressismo prometeico. La graduale diserzione del settore produttivo a favore di quello dei consumi ha ridotto il lavoro alla necessità di un salario da dilapidare nelle oasi dei supermercati. Il lavoro socialmente utile ha ceduto poco a poco il posto a un lavoro parassitario che, come negli ospedali, avvantaggia una gestione della redditività e rovina l'efficacia sanitaria con il pretesto di migliorarne i servizi. Il capitalismo è entrato in una fase di tagli finanziari, dove si arroga il diritto di rendere redditizia la sua morte programmando la nostra. Non abbiamo altra scelta che proteggere, difendere, ricreare la nostra vita e con essa, le risorse naturali che sono allo stesso tempo offerte e distrutte sotto i nostri occhi. Le questioni ambientali vengono affrontate solo a livello globale e statisticamente - con i risultati che conosciamo - solo perché ci disinteressiamo di affrontarli alla base, a livello locale e regionale. Eppure è nel villaggio e nei quartieri che l'inquinamento, l'avvelenamento, la distruzione dell'insegnamento, degli ospedali, dei trasporti perpetuano i loro misfatti e dove un intervento diretto è possibile. Gemere, gridare, pregare sono ugualmente ridicoli e rimarranno tali fino a quando l'audacia d'innovare non sarà riapparsa insieme con quella di vivere, finalmente.

lunedì 17 novembre 2025

La sociologia urbana di Murray Bookchin

 

Bookchin si forma da un punto di vista culturale e politico in coincidenza con la crisi economica del ’29, con la guerra di Spagna del ’36 e nel crogiuolo delle lotte operaie che si sviluppano durante il New Deal statunitense prima della seconda guerra mondiale. La sua formazione intellettuale, politica e sindacale è in questo periodo profondamente influenzata dal marxismo militante di quegli anni. Solo dopo la guerra, in corrispondenza con l’avvio della più grande fase di espansione economica capitalistica della storia, Bookchin assume decisamente dei punti di vista libertari, anarchici ed ecologici. Di fronte all’incapacità della sinistra marxista, dei socialisti e dei comunisti - che durante gli anni Trenta avevano conosciuto una vasta popolarità ed influenza sui settori di classe più colpiti dalla crisi, influenza testimoniata dai quasi due milioni di voti che complessivamente raccolgono alle elezioni del ’32 - di organizzarsi in opposizione politica e sociale radicale in un periodo segnato, tra l’altro, dalla famosa caccia alle streghe di McCarthy. Due sono i terreni di riflessione che Bookchin individua a dimostrazione delle evidenti potenzialità distruttive dello sviluppo capitalistico: la crisi della città e la degradazione dell’ambiente naturale. La potente trasformazione della città avviatasi agli inzi del ‘900, dalla quale hanno origine, come sostiene anche Mumford, le prime metropoli - ambienti urbani che si strutturano attorno ai ghetti e che si riproducono sulla base di separatezze, antagonismi e campanilismi - è il primo evidente processo di dissoluzione di un’antica solidarietà che era profondamente radicata tra le classi popolari, tra gli operai ed i proletari dei quartieri storici cittadini, solidarietà basata essenzialmente su un agire e su rapporti essenzialmente comunitari. L’utilitarismo ottocentesco, al quale si rifanno in sostanza le dottrine neo-classiche dell’economia di mercato, sosteneva che la società si fondava sulla messa in comune di scopi di utilità economica, come il guadagno ed il profitto, che a loro volta fondavano un sistema di rapporti contrattuali nei quali il principio del vantaggio reciproco diveniva implicito. Bookchin, invece, sostiene con forza che la coesione dei rapporti sociali si è fondata per lungo tempo sulla solidarietà, sul minimo irriducibile e sull’ usufrutto, concetti che potrebbero sostituire ancor oggi il nostro sacro concetto di possesso e di utilità. La fenomenologia della città ben rappresenta la regressione della comunità umana da consociazione liberamente scelta e fondata sul senso della socializzazione dell’agire politico, ad associazione sociale basata sull’interesse, sull’utilità e sulla delega allo stato della definizione della normatività sociale. Parallelamente all’analisi della città, Bookchin avvia la sua prima riflessione sulla questione ecologica. Per primo egli intuisce che la crisi ecologica è generata dai rapporti di produzione capitalistici; in definitiva è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo che giustifica ed organizza lo sfruttamento della natura Una società gerarchica, sostiene Bookchin, ha una visione gerarchica anche della natura; ma allo stesso tempo l’idea di una natura organizzata in modo autoritario, gerarchico e competitivo rafforza gli istituti dominanti della stessa società. Per questo, a suo avviso, occorre che si ritorni ad una visione diversa della natura, ad una filosofia della natura oggettiva che ne riporti i preponderanti caratteri di solidarietà, ricchezza, mutualismo ed abbondanza. Per Bookchin diventa assolutamente necessario, per superare le secche in cui si dibatte il movimento, mutare il luogo stesso del conflitto sociale, trasferendolo dalla fabbrica alla società, cioè dal luogo della produzione, spazio che in realtà non è mai stato momento di liberazione, al luogo della socializzazione politica per eccellenza, la comunità cittadina.

giovedì 13 novembre 2025

La natura come comunità universale

 

La natura è l'insieme dell'evoluzione nella sua totalità. Proprio come l'individuo è la sua intera biografia, non una semplice somma di dati numerici che misurano il suo peso, la sua altezza e magari anche la sua "intelligenza". Quello che fa veramente unici e singolari gli esseri umani nello schema ecologico delle cose è che essi possono intervenire in natura con un grado di auto coscienza e di flessibilità sconosciuto a tutte le altre specie. Un umanità "illuminata" consapevole finalmente delle sue potenzialità in una società ecologicamente armoniosa è solo una speranza, non certo una realtà esistente. Non riuscire a vedere che il problema di attingere la nostra piena umanità è un problema sociale che dipende da fondamentali mutamenti istituzionali e culturali significa ridurre l'ecologia radicale a zoologia e rendere chimerico qualsiasi tentativo di realizzare una società ecologica. Non crediamo che si possano conseguire grandi trasformazioni sociali tramite l'apparato statale, vale dire in un sistema parlamentare, magari sostituendo un partito ad un altro, per quanto questo possa apparire particolarmente illuminato. Il parlamentarismo invariabilmente mina la partecipazione popolare alla politica. Una nuova politica dovrebbe implicare la creazione di una sfera pubblica di base assolutamente partecipativa, a livello di città, di paese, di villaggio, di quartiere. Il capitalismo ha certamente prodotto una distruzione dei legami comunitari così come ha prodotto la devastazione del mondo naturale, ci troviamo di fronte alla semplificazione delle relazioni umane e non umane, alla loro riduzione alle più elementari forme interattive. Ma laddove esistono ancora legami comunitari, e laddove, anche nelle più grandi città, possono nascere interessi comuni, questi devono essere coltivati e sviluppati. L'ecologia non è nulla se non si occupa del modo in cui le forme di vita interagiscono tra loro per costruire comunità e per evolversi come comunità.

lunedì 10 novembre 2025

Per un'autodifesa energetica

 

Nel corso del suo sviluppo, il capitalismo industriale aveva favorito il fiorire di nuove invenzioni (elettricità, macchina a vapore, ferrovia). Quel che restava di ricerca indipendente è ormai sottomesso all'esteso controllo degli interessi di mercato che gestiscono i bilanci. Il capitalismo finanziario produce un vuoto della scienza e della coscienza. Questo vuoto "di cui la natura ha orrore", rivela altre vie possibili, incoraggia l'esplorazione di un sapere originato dalla vita e non più dalla sopravvivenza com'è stato finora. Fisica, biologia, arte, medicina sono in cerca di una rifondazione radicale. Mentre gli ambienti scientifici, sotto lo choc del coronavirus, hanno perso credibilità per la loro incompetenza, le loro menzogne e la loro arroganza, la curiosità e il gusto della ricerca sono in cerca di un nuovo dinamismo. Tenuti al margine dalle lobbie scientifiche, molti ricercatori aspirano alla libertà di pescare nella vita inesplorata quel che può migliorare la nostra esistenza quotidiana e il suo ambiente.

a) Le collettività locali e regionali devono sostenere progetti che contribuiscano alla gratuità dell'elettricità e del riscaldamento. Solo l'ingegnosità e l'ostinazione permetteranno di soppiantare l'egemonia delle mafie verde-dollaro sulle energie rinnovabili.

b) Lo stesso vale per l'autorganizzazione della mobilità che richiede la messa a punto di trasporti gratuiti e non inquinanti. Non tocca forse alle collettività locali il compito di reinventare quel che lo Stato e le mafie petrolifere hanno distrutto?

c) Non c'è nessun bisogno di visioni apocalittiche per capire che siamo nel cuore di una mutazione di civiltà. Se tutto cambia di base, ciò significa anche che le decisioni da prendere in materia di ambiente dipendono esclusivamente dalle assemblee comunali e regionali, tralasciando referendum patrocinati dallo Stato inquinatore.

venerdì 7 novembre 2025

L’ordine dominante

 

Nello sforzo di ottenere il controllo totale d’ogni aspetto dell’esistenza, l’ordine dominante ha iniziato ad accelerare lo sviluppo di tecnologie che manipolano la materia su scala nanometrica. Si tratta di milionesimi di millimetro. A questo livello, quello degli atomi e delle molecole, delle proteine, dei composti di carbonio, del DNA e simili, la differenza tra vivente e non vivente può iniziare a farsi confusa e molte proposte riguardanti questa tecnologia si basano su questa confusione. La nanotecnologia crea nuovi prodotti con la manipolazione di molecole, atomi e particelle subatomiche. Mentre la biotecnologia manipola la struttura del DNA per creare nuovi organismi attraverso la ricombinazione dei geni, la nanotecnologia va oltre spezzando la materia in atomi che poi possono essere ricombinati per creare nuovi materiali che sono, nel vero senso della parola, creati atomo per atomo. Al momento si stanno concentrando sull’atomo del carbonio, ma gli scienziati vorrebbero avere sotto controllo ogni singolo elemento della Tavola Periodica, per disporne a piacimento. Questo permetterebbe loro di combinare le caratteristiche (colore, resistenza, punto di fusione, ecc.) in modi sinora sconosciuti. La nanotecnologia crea le più minuscole mostruosità capaci degli orrori più grandi, poiché sono capaci di portare il sistema del controllo sociale direttamente nei nostri corpi. In alcuni luoghi le mostruosità prodotte da queste tecnologie saranno forse provviste di un’etichetta, affinché ci sia sempre la possibilità di scelta. Non possiamo far finta che ci sia uno spazio per un dialogo. Questa è la dimostrazione evidente da parte dei padroni del mondo del fatto che il mantenimento della pace sociale è un atto di guerra contro ogni essere sfruttato e spossessato. Per quelli tra noi che desiderano creare la propria vita secondo i propri modi di vedere, per chi desidera rimanere un individuo umano capace di ogni sorta di azione autonoma, è necessario agire in modo distruttivo contro l’intero sistema del controllo sociale, contro la totalità di questa civilizzazione nella quale le macchine cavalcano le persone e le persone si trasformano lentamente in macchine. Noi dobbiamo riconoscere questi sviluppi per quello che sono, un’altra rapina delle nostre vite, un attacco ad ogni nostra residua capacità d’autodeterminazione.

mercoledì 5 novembre 2025

Ricorda per sempre il 5 novembre

Ricorda per sempre il 5 novembre, il giorno della congiura delle polveri contro il parlamento. Non vedo perché di questo complotto, nel tempo il ricordo andrebbe interrotto. Ma l'uomo? So che il suo nome era Guy Fawkes e so che nel 1605 tentò di far esplodere il parlamento inglese. Ma chi era realmente? che tipo d'uomo era? Ci insegnano a ricordare le idee e non l'uomo, perchè l'uomo può fallire. L'uomo può essere catturato, può essere ucciso e dimenticato. Ma quattrocento anni dopo ancora una volta un'ide può cambiare il mondo. Io sono testimone diretto della forza delle idee, ho visto gente uccidere per conto e per nome delle idee, li ho visti morire per difenderle... Ma non si può baciare un'idea, non puoi toccarla né abbracciarla; le idee non sanguinano, non provano dolore... le idee non amano. Non è di un'idea che sento la mancanza ma di un uomo, un uomo che mi ha riportato alla mente il 5 novembre: un uomo che non dimenticherò mai.

(da V per vendetta)


martedì 4 novembre 2025

Milicianos si, soldato nunca

 

Il 4 novembre 1936 Buenaventura Durruti alle nove e mezza di sera, dalla radio della CNT-FAI di Barcellona, teneva un discorso in risposta alla promulgazione, da parte del governo di Madrid, del decreto di militarizzazione delle milizie rivoluzionarie, impegnate fin dal 19 luglio nella lotta contro Franco. Va ricordato che nel medesimo giorno del discorso tenuto dall’anarchico spagnolo la stampa annunciava l’entrata nel governo di Madrid di quattro esponenti del movimento anarchico: Federica Montseny, Juan García Oliver, Juan López e Joan Peiró. Durruti esprimeva nel discorso tutta la sua indignata protesta anche a nome dei miliziani del fronte di Aragona, per il pericoloso corso controrivoluzionario che le decisioni del governo di Madrid imprimevano alla conduzione della guerra, o meglio, della rivoluzione sociale spagnola. Durruti, a nome della colonna che comandava, prendeva una posizione decisamente contraria al decreto di militarizzazione delle milizie e alla costituzione dell’esercito regolare repubblicano. Nascita che significò, come è noto, l’inizio della fine della rivoluzione sociale in Spagna, con la messa fuori legge dei partiti rivoluzionari come il POUM e degli anarchici, e che portò alla dura resa dei conti con i comunisti stalinisti nelle famose giornate di maggio a Barcellona, dove venne assassinato tra gli altri, dai sicari di Stalin guidati dall’inviato di Mosca Palmiro Togliatti, Camillo Berneri. In relazione alle decisioni prese dal governo do Madrid, la “Milizia antifascista colonna Durruti, Quartier generale”, prepara un importante documento inviato dal fronte di Osera il 18 novembre 1936. Si tratta, in particolare, di un comunicato ufficiale indirizzato al consiglio della Generalitat catalana contro il decreto di militarizzazione delle milizie. Dopo un’appassionata discussione interna alla colonna Durruti veniva infatti deciso di non accettare il decreto in quanto non avrebbe migliorato le condizioni di lotta dei miliziani, ma al contrario le avrebbe svilite e non avrebbe risolto il vero problema di quel momento: la mancanza di rifornimento di armi. La colonna Durruti negava poi la necessità di una disciplina militare alla quale opponeva nei fatti la superiorità dell’autodisciplina rivoluzionaria: “Milicianos sí; soldados nunca”.

lunedì 3 novembre 2025

I capelloni

Beatnik, provos, ragazzi dell’Onda verde, capelloni e via di seguito. Intanto, beat è un’etichetta con cui si vuole definire un fenomeno che vuole invece essere multiforme, indefinibile. Perché se una cosa vogliono questi ragazzi dai capelli lunghi, la barba incolta e l’aspetto trasandato, è di non essere definiti, catalogati. La società è così com’è, e loro vogliono far capire alla gente, al di là delle differenziazioni politiche e morali, che può essere concepita anche in un altro modo, quello ad esempio, della donna non necessariamente vergine al matrimonio, della bicicletta come alternativa all’automobile, delle scarpe anche un po’ sporche e non lucide, ed anche della reciproca fiducia, le case aperte senza preoccupazioni, la moglie libera senza timori, il lavoro sereno senza sfiducia. Chiamateli come volete, ma sono giovani che sentono un problema di coscienza, sentono che la società così com’è è ingiusta, che da una parte del mondo non si può tranquillamente gettare bombe e seminare morte e da un’altra parte divertirsi per il sabato grasso. Non si sentono a loro agio nel mondo attuale, perché conformista, beghino, che offre possibilità di un lavoro disumanizzante. E sono giovani che pensano. Pensano ad esempio perché devono fare un lavoro che non gli piace, mentre potrebbero girare il mondo senza l’intralcio delle carte bollate, dei permessi, dei visti, degli stati di cittadinanza mentre si sentono solo persone, e cittadini del mondo. Pensano che non sia necessario andare in giro con la camicia bianca e usare giri di parole per definire un sostantivo che si può trovare su ogni dizionario. Non hanno ideologia, non propongono alternative, si sentono solo disadattati, la loro matrice comune è l’insoddisfazione del modo attuale di vita, che loro concepiscono come non esclusivo. E vogliono far capire che si può concepire la vita partendo anche da altri punti, seguendo altri schemi, magari quello delle chitarre e dei vocaboli osceni. Ma non hanno la pretesa che il loro sistema sia l’unico, a loro basta far capire all’impiegato, all’operaio, al funzionario, al professionista, la necessità di porre in discussione l’attuale sistema, di sconfessarne i dogmi, i miti, come quello del denaro. Sono ragazzi coraggiosi. Perché, se ci pensate bene, ci vuole molto coraggio a dire di no alle allettanti offerte dell’attuale società, al piatto di pastasciutta a mezzogiorno, alla seicento fuori dall’ufficio, alle serate davanti alla TV, alla moglie calda in un letto comodo sì, ma con tanti pregiudizi e falsi pudori.

(Mondo beat N° 1)

 

sabato 1 novembre 2025

Due parole sul concetto di autorità


La politica consiste nell’esercizio del potere dello Stato, oppure nel tentativo di influire su questo potere. Quando si parla di filosofia politica, perciò, a rigor di termini si intende la filosofia dello Stato. Se vogliamo sapere qual è il contenuto della filosofia politica e se questa esiste, dobbiamo partire dal concetto di Stato. Lo Stato è un gruppo di persone che possiede ed esercita l’autorità suprema all’interno di un territorio. In senso stretto potremmo dire che uno Stato è un gruppo di persone che esercita l’autorità suprema all’interno di un dato territorio o su una data popolazione. All’interno di una tribù di nomadi può manifestarsi la struttura autoritaria di uno Stato finché i suoi soggetti non vengono a trovarsi sotto l’autorità superiore di uno Stato territoriale1. Lo Stato può comprendere tutte le persone che si trovano sotto la sua autorità, come avviene nello Stato democratico secondo i suoi teorici; può anche consistere esclusivamente di un solo individuo dal quale dipendono tutti gli altri. Ci permettiamo di dubitare che sia mai veramente esistito uno Stato fatto di una sola persona, anche se Luigi XIV la pensava evidentemente così quando diceva «l’état c’est moi». La caratteristica peculiare dello Stato è l’autorità suprema, o ciò che i filosofi politici solevano chiamare «sovranità». Perciò si parla di «sovranità popolare», che è la teoria secondo la quale il popolo è lo Stato, e naturalmente l’uso del termine «sovrano» nel significato di «re» rispecchia il presupposto che l’autorità suprema sia concentrata in una monarchia. L’autorità è il diritto di comandare e, di converso, il diritto di essere obbediti. Essa va distinta dal potere, che è la capacità di imporre l’obbedienza con la forza, o con la minaccia della forza. Quando do il mio portafoglio a un ladro che mi punta contro una pistola, lo faccio perché ciò di cui mi minaccia il ladro è peggiore della perdita di denaro che devo subire. Riconosco che egli ha qualche potere su di me, ma difficilmente gli riconoscerei un 'autorità, cioè che egli ha diritto a pretendere i miei soldi e che io ho il dovere di darglieli. Quando invece lo Stato mi presenta la cartella delle tasse, pago (di solito) ciò che mi chiede, anche se non ne ho voglia e perfino se penso che potrei evitare di pagare. Si tratta dopo tutto dello Stato legittimo e perciò esso ha il diritto di tassarmi. Esso possiede autorità su di me. Naturalmente, di tanto in tanto, mi capita di imbrogliare lo Stato, ma anche in questo caso riconosco la sua autorità. Chi parla mai di «imbrogliare» un ladro? Rivendicare autorità significa rivendicare il diritto di essere obbedito. Avere autorità, allora, che cosa significa? Può voler dire avere questo diritto, oppure veder riconosciuta questa pretesa e vederla accettata da parte di quelli cui è diretta. Il termine «autorità» è ambiguo poiché ha entrambi i significati: quello descrittivo e quello normativo. Anche nel suo significato puramente descrittivo, esso si riferisce a norme e obblighi, naturalmente, ma si limita a descrivere ciò che gli uomini credono di dover fare e non afferma che essi debbano farlo. Ai due significati del termine autorità corrispondono due concetti di Stato. Su un piano descrittivo, lo Stato può essere definito un gruppo di persone a cui viene riconosciuta l’autorità suprema all’interno di un territorio - riconosciuta cioè da coloro nei cui confronti viene affermata questa autorità. Lo studio delle forme, delle caratteristiche, delle istituzioni e del funzionamento degli Stati de facto, come possiamo definirli, costituisce l’ambito delle scienze politiche. Se invece usiamo il termine nel suo significato normativo, lo Stato è costituito da un gruppo di persone che ha il diritto di esercitare l’autorità suprema all’interno di un territorio.

mercoledì 29 ottobre 2025

La consapevolezza che strappa l’essere al sembrare

 

Il processo rivoluzionario non potrà avere mai più i tratti esclusivi della guerra civile, i tratti della Comune di Parigi o della Mackhnovicina. Ma è sempre più probabile che la produzione «in vitro» della guerra civile, lo spettacolo speciale pirotecnico e sensazionale del terrorismo teleguidato, ottenga un relativo successo, e di conseguenza un relativo coinvolgimento di una parte del proletariato rivoluzionario nella sua pratica alienata. E proprio attraverso l'esperienza vissuta di questa alienazione, apparirà sempre più chiaro il necessario passaggio alla fase ultimativa del processo: la disgregazione attivamente perseguita, la liquidazione «armata (con tutte le anni necessarie) dell'universo concreto in cui il capitale assolutamente dominante realizza la propria valorizzazione. La vera guerra civile si scatena a partire dall'interno di ogni essere: nella maturazione accelerata «di una consapevolezza che strappa l’essere al sembrare, il vero all'apparente, la realtà in processo alla rappresentazione in dissolvimento, una consapevolezza che rifiutando insieme l'essenza selvaggia della guerra e l'essenza mortifera della «civiltà» superi entrambe nell'affermazione «incivile» della propria assoluta estraneità al mondo delle apparenze, e che lo combatte per liquidarlo concretamente una volta per sempre. La lotta sarà armata, perché si seppelliscano per sempre gli strumenti di morte. Distinguere i rivoluzionari armati dai sicari della falsa guerra sembrerà talvolta difficile, ma lo sembrerà soltanto, e non alla dialettica radicale: il corpo proletario della specie si è riconosciuto istantaneamente nei fatti di Detroit, di Danzica, di Stettino, e altrettanto istantaneamente si riconoscerà nei tratti inconfondibili delle insurrezioni vitali. (Cesarano-Collu: Apocalisse e rivoluzione 1973)

domenica 26 ottobre 2025

Ecologia

 

Il termine ecologia è un vocabolo piuttosto recente, coniato in Germania nel 1866 dal naturalista tedesco Ernst Haeckel che definisce l'ecologia come “lo studio delle relazioni degli organismi in un ambiente”. L'ecologia è dunque una disciplina scientifica, branca della biologia, sviluppatasi a fine Ottocento e consolidatasi definitivamente nei primi decenni del XX secolo e incentrata su quello che è stato definito lo studio delle interazioni tra esseri viventi e non viventi negli ambiti terrestri conoscibili. L'ecologismo non è un sinonimo di ecologia e non va confuso con essa. Esso si sviluppa in seguito all'aumento della consapevolezza della crisi ambientale contemporanea più o meno verso la metà degli anni sessanta, come conseguenza di alcuni gravi disastri ambientali. Per l'Italia emblematico è il disastro di Seveso del 10 luglio 1976, con la nube tossica di diossina sprigionatasi dopo un'esplosione al reattore chimico dell'ICMESA, annoverato nella triste classifica degli otto disastri ambientali più gravi causati dall'essere umano – per capirsi nella lista è appena sotto al disastro di Bhopal e di Chernobyl. Negli anni si sviluppano diversi movimenti ecologisti, alcuni dei quali si istituzionalizzeranno e daranno vita – soprattutto in Europa – ai partiti verdi che conosceranno un'ampia affermazione politica negli anni ottanta e che oggi sono spesso in netto declino. Ricordare ciò ci permette di porre in evidenza come l'ecologismo non sia omogeneo né per gli scopi che si prefigge né per le metodologie di contestazione. Per questo motivo un discorso a parte merita il rapporto esistente tra ecologismo e anarchismo. Innanzitutto bisogna dire che gli anarchici hanno spesso contribuito alla realizzazione e alla crescita del movimento ecologista sin dai suoi albori se non prima. Tra i precursori dell'ecologismo in ambito libertario e anarchico è possibile sicuramente ricordare, per fare degli esempi, Henry Thoreau con la sua volontà di ritornare alla natura; Peter Kropotkin che vedeva nella natura le prove della validità del mutuo appoggio e della cooperazione ed Elisée Reclus il quale arrivava a scrivere che “l'uomo è la natura che prende coscienza di sé”, autore inoltre di un saggio sul vegetarianismo. Per quanto riguarda invece nello specifico l'anarchismo verde o ecologismo anarchico, anch'esso – come tutto l'ecologismo – prende piede a partire dagli anni settanta e, sebbene si differenzi in varie tendenze, presenta alcune caratteristiche comuni quali la constatazione della crisi ecologica, il rifiuto del riformismo, l'antiautoritarismo, la critica all'antropocentrismo e l'opposizione al dominio umano sulla natura. Nonostante tali caratteristiche comuni, è evidente che l'arcipelago di gruppi, movimenti e giornali che operano nel campo ecologista anarchico è complesso e vario, ciascuno con metodologie e pratiche diverse. L'ecologismo anarchico si dirama infatti in varie tendenze, sviluppatesi soprattutto nei paesi di lingua anglosassone ma giunte in gran parte anche in Italia, tra cui l'ecologia sociale, la decrescita, il primitivismo e l'anticivilizzazione, l'antispecismo.

giovedì 23 ottobre 2025

Il tempo è denaro

 

Nell’esatto momento in cui la rivoluzione industriale ha richiesto una maggiore sincronizzazione del lavoro, nasce l’esigenza dell’orologio. Il piccolo congegno che regola i nuovi ritmi della vita industriale rappresenta allo stesso tempo uno dei bisogni più urgenti tra quelli indotti dal capitalismo per stimolare il proprio progresso. Così scopriamo, il senso del tempo nel suo condizionamento tecnologico e con il calcolo del tempo, il mezzo di sfruttamento del lavoro. Con la divisione del lavoro, la sorveglianza della manodopera, le multe, le campane e gli orologi, gli incentivi in denaro, le prediche e l’istruzione, la soppressione delle feste e degli svaghi, vengono plasmate le nuove abitudini di lavoro e viene imposta la nuova disciplina del tempo. E allorché viene imposta la nuova “disciplina del tempo”, gli operai iniziano a combattere non contro il tempo, ma intorno ad esso. La prima generazione di operai di fabbrica viene istruita dai padroni sul valore del tempo; la seconda generazione forma le commissioni per la riduzione d’orario nell’ambito del movimento delle dieci ore; la terza generazione sciopera per lo straordinario come tempo retribuito in modo maggiorato del 50 per cento. Gli operai hanno accettato le categorie dei propri padroni e hanno imparato a lottare all’interno di esse. Hanno appreso la lezione: “il tempo è denaro”.

lunedì 20 ottobre 2025

Il Manifesto del Melbourne Anarchist Club (1886)

 

Ai popoli dell’Australasia

Il Melbourne Anarchists’ Club rivolge il proprio saluto ai cittadini amanti della libertà di queste giovani colonie e si appella a loro per dare assistenza ai propri membri impegnati a rimuovere quel pubblico sentire e quelle pubbliche istituzioni che sono state trapiantate qui dall’emisfero settentrionale e che ritardano il progresso e il benessere sociali, e a mettere al loro posto i principi di Libertà, Uguaglianza e Fraternità!

Le finalità del Melbourne Anarchists’ Club sono:

1. Sostenere il pubblico interesse nelle grandi questioni sociali del momento, promuovendo in ogni modo possibile la ricerca; promuovere una libera discussione pubblica di tutte le questioni sociali; fa circolare e stampare testi che facciano luce sui mali presenti e sui metodi necessari per eliminarli.

2. Sostenere ed estendere i principi della fiducia in se stessi, dell’iniziativa e dello spirito di Indipendenza tra la gente,

3. Difendere e mantenere i principi di Libertà, Uguaglianza e Fraternità. Per Libertà noi intendiamo ‘la pari libertà di ciascuno, limitata solo dalla pari libertà di tutti’. Per Uguaglianza intendiamo ‘la pari opportunità di ciascun individuo. E per Fraternità intendiamo ‘il principio che nega le distinzioni di nascita e di classe, afferma la Fratellanza tra gli Uomini e dichiara “il mondo è il mio paese”.

4. Auspicare e cercare di raggiungere l’abolizione di tutti i monopoli e di tutti i dispotismi che distruggono la Libertà dell’Individuo che in tal modo bloccano il progresso sociale e la prosperità.

5. Esporre e opporsi a quella colossale truffa che è il Governo, e sostenere l’Astensione dal Voto, la Resistenza alle Imposte, la Cooperazione Privata e l’Azione individuale.

6. Favorire la Fiducia reciproca e la Fraternità tra lavoratori di ogni categoria e rivolgere la loro attenzione ai comuni nemici: i Preti e i Politici, e ai loro coadiutori, attaccando i principi più che gli individui.

7. Invitare alla cooperazione di tutti coloro che hanno compreso il male innato delle istituzioni di governo, e auspicare la loro rapida dissoluzione per il beneficio generale dell’Umanità.

8. Promuovere la formazione di istituzioni volontarie simili al Melbourne Anarchist Club in tutta la colonia di Victoria e in quelle confinanti e, con il loro consenso, alla fine unirsi a loro per formare l’Australasian Association of Anarchists.