L’educazione è una forma di potere. E
teoricamente, affermare che l’educazione ha a che fare con il potere o che essa
stessa si costituisce come una pratica di potere non dovrebbe sconvolgere più
di tanto chi sia abituato a riflettere su problematiche pedagogiche. Eppure la
dimensione del potere sembra essere la più rimossa da parte degli educatori;
essi sembrano sempre sottintendere una loro non-partecipazione nei confronti di
un potere che si situa sempre “altrove”: nelle mani di Presidi, Provveditori,
Ministri, nelle pieghe della burocrazia, sulle scrivanie di coloro che vergano
i programmi di studio. Questa sorta di repulsione ad affrontare la questione
del “mio” potere, del potere che è in me e che è “me”, del potere che transita
attraverso le mie pratiche quotidiane, del potere dell’educazione in quanto
tale rende conto, probabilmente, della radicalità della questione stessa che
proprio dal versante educativo può essere letta e studiata in modo critico e
demistificatorio. Questo è il presupposto di ogni educazione libertaria: porre
al centro delle sue teorie e delle sue pratiche la questione del potere e dello
smascheramento del potere. Anche e soprattutto del potere dell’educatore.
Leggere nelle pratiche educative delle pratiche di potere e, ancor più
radicalmente, studiare la presenza e la costituzione di un potere che sia
essenzialmente educativo, le cui strutture siano per essenza omologhe a quelle
dell’educazione, significa contribuire allo smascheramento della cosiddetta
“bontà” originaria dell’educazione. Occorre allora smascherare i tratti di un
potere eminentemente educativo. Saremo di fronte allora a un potere che non
risiede sempre in un Altrove, un potere che forse non si “prende” o si “aliena”
o si “trasmette” ma si esercita, non solo da parte dei soggetti ma anche
attraverso i soggetti medesimi; un potere di assoggettamento che proprio in
quanto prevede il soggetto come telos della sua applicazione (e non
semplicemente come sostrato su cui applicarsi o dato naturale da pervertire e
condizionare) diventa anima segreta delle pratiche educative; di tutte,
ovviamente, anche di quelle che si vogliono come resistenziali nei confronti
delle attuali configurazioni del dominio.