
Lo
storico inglese Paul Ginsborg individua due anime nel movimento del ‘77: una
creativa, ironica e irriverente, sensibile al discorso femminista, incline a
creare alternative piuttosto che a sfidare quelle del potere, e un’altra
“autonoma” e “militarista”, che “tende a valorizzare la cultura della violenza
degli anni precedenti” e ad “organizzare i nuovi soggetti sociali per una
battaglia contro lo Stato”. E’ una generalizzazione che può essere accettata,
ma solo se si tiene conto della estrema complessità del Movimento. Lo scrive lo
stesso Ginsborg: le due tendenze spesso s’intrecciano.
Una delle componenti più originali del movimento del Settantasette è
senza dubbio quella degli Indiani Metropolitani. In un sistema che crea
emarginazione, molti giovani si sentono come gli Indiani d’America: confinati
nelle riserve. Ma gli Indiani nostrani non si rassegnano. Ed eccoli allora
sfilare per le strade delle città con le facce dipinte: cantano, ballano e
improvvisano rappresentazioni teatrali. “FUORI DALLE RISERVE!!! INTONIAMO IL
NOSTRO GRIDO DI GUERRA. I NOSTRI TAMTAM SUONINO SEMPRE PIÙ FORTE PER
RACCOGLIERE TUTTA L’AREA CREATIVA DI MOVIMENTO”. Gli Indiani hanno anche un
programma politico:
1) Finanziamento pubblico di centri alternativi di disintossicazione
dall’eroina e di tutte le iniziative culturali autogestite;
2) liberalizzazione totale dell’uso della marijuana, dell’hashish,
dello Lsd, nell’uso, nell’abuso, nella circolazione e nella coltivazione;
3) riduzione generale dei prezzi del cinema, dei teatri e di tute le
iniziative culturali alle cifre fissate dal movimento; requisizione di tutti
gli edifici sfitti e loro utilizzazione come centri di aggregazione e
socializzazione dei giovani che vogliono vivere alternativamente dalle
famiglie. Allo scopo vengono istituite le Ronde antifamiglie, il cui compito
consiste nel rapire quei minori condizionati da genitori autoritari;
5) dare un chilometro quadrato di verde per ogni abitante; (...)
riconoscimento a tutti gli animali in cattività del diritto di tornare ai loro
paesi d’origine;
8) demolizione dell’Altare della Patria e restituzione dell’area a
forme di vegetazione spontanee e agli animali che aderiscono (...); uso
alternativo degli Hercules C110 acquisiti dall’aeronautica militare alla
Lockeed per servizi gratuiti di trasporto dei giovani a Macchu Picchu in
occasione della festa del sole.
In questo programma, anche se in forma ironica, c’è tutto il rifiuto
della società, post o neo industriale che sia. E, in questo rifiuto, gli
Indiani metropolitani si pongono come i continuatori del movimento Hippy degli
anni sessanta.
“(...) un giorno
noi distruggeremo i mostri urbani come Milano, per esempio, o come la mia Porto
Marghera e Mestre, e che un giorno su questi posti torneremo noi con la nostra
libertà, con la nostra natura libera di esplicarsi contro nessun altro padrone.”
É anche grazie agli Indiani metropolitani che in Italia nasce una
cultura “ambientalista”. Nel 1977 le centrali di Caorso e Montalto di Carso
vengono più volte presidiate da migliaia di giovani che protestano contro il
nucleare.
(continua)