Nel 1977 emergono quelle tematiche che non avevano potuto esprimersi
nel movimento del 1968, dove subito si era imposta l’ortodossia marxista e
leninista.
É invece solo in parte collegato al ‘77 il movimento femminista. I
primi collettivi, quelli non diretta emanazione dei partiti, come l’Unione
Donne Italiane (Udi), per esempio, nascono già nel 1969. Ma le tematiche
relative alla discriminazione sessuale hanno trovato non poche difficoltà ad
emergere in un universo giovanile dominato da gruppi che avevano una visione
dualistica della società, operai contro padroni, e che consideravano di
secondaria importanza tutti le problematiche non riconducibili allo scontro tra
capitale e lavoro. E così le donne hanno individuato proprio nella “autonomia”
la garanzia per poter esprimere liberamente la rabbia e la globalità delle
proprie esigenze. “Gli attacchi contro questo spazio autonomo delle donne sono
stati molto duri”, scrivono le femministe di Bologna nel 1976:
“Da una parte i
maschi delle organizzazioni politiche, che vedevano uscire le donne, e quindi
la manovalanza che distribuiva volantini, puliva le sedi, ciclostilava e
consolava sessualmente, reagivano accusandoci di dividere la classe e di essere
lesbiche. Dall’altra i maschi delle famiglie reagivano violentemente al fatto
che le donne uscivano di casa per percorrere spazi sociali e politici da loro
incontrollabili.”
Con la crisi dei gruppi della nuova sinistra e l’emergere di un movimento
che non vede nella società solamente uno scontro frontale tra classe operaia e
capitalisti, ma una miriade di conflitti minori che esplodono in quartiere, in
città, nella metropoli, cioè in quello spazio urbano nel quale la donna vive e
lotta molto più di quanto faccia l’operaio, ormai avviato verso l’integrazione,
le cose cambiano radicalmente. Scrivono le femministe di Trieste:

A chi le accusa di essere settarie e corporative, e non sono pochi
nella nuova sinistra, ma anche in alcuni settori del nuovo movimento, le
femministe rispondono così:
“La necessità di
parlare e decidere tra donne per scoprire e determinare i nostri bisogni e i
nostri obiettivi dipende da tutta la storia del movimento operaio maschile, che
ha sempre negato addirittura l’esistenza di esigenze specifiche delle donne e
ci ha sempre relegato a questione particolare anche se siamo la maggioranza
della popolazione.”
In questo periodo le femministe sono in lotta per l’aborto libero e
gratuito. E’ una battaglia molto difficile, perché deve fare i conti con
l’ignoranza della maggioranza della popolazione, maschile e femminile, con una
cultura popolare intrisa di un cattolicesimo bigotto, che ha sempre relegato la
donna al ruolo di madre, di mezzo di riproduzione, e con una sinistra
costituzionale che appoggia il governo della Dc, un partito che solo due anni
prima si era battuto con tenacia per abolire l’istituto del divorzio.
Ma c’è anche chi non è d’accordo, come il Collettivo di via
Cherubini di Milano, per esempio, che si batte per l’affermazione del corpo
femminile come “sessualità distinta dal concepimento, capacità di procreare,
dalla percezione della sessualità interna, caritaria: utero, ovaie,
mestruazioni”.
“L’aborto non è
“fine di una vergogna” (come sostiene il resto del movimento femminista, n.d.a.).
La maggioranza delle donne che abortiscono nella clandestinità non si
vergognano di essere clandestine. (...) La clandestinità dell’aborto è una
vergogna degli uomini, i quali, spedendoci negli ospedali ad abortire
ufficialmente, si metteranno la coscienza in pace in modo definitivo. Si
continuerà, come prima e meglio di prima, a fare l’amore nei modi che
soddisfano le esigenze fisiche, psicologiche e mentali degli uomini. Rimane il
divieto di situarci in un’altra sessualità interamente orientata contro la
fecondazione.”
La battaglia per l’aborto riesce comunque ad aggregare migliaia di
donne e diventa argomento di dominio pubblico a partire dal 1976, quando un
incidente negli stabilimenti della Icmesa di Seveso (vicino Milano) provoca
un’intossicazione di massa. Di fronte alla possibilità che centinaia di bambini
possano nascere handicappati, la falsa coscienza di molti italiani si mette in
movimento e l’aborto esce dal ghetto in cui è sempre stato confinato. “Non
siamo più isolate, non siamo più poche, non siamo demonizzate, scalmanate,
esibizioniste - si legge in “Vogliamo Tutto”, una rivista del Movimento - siamo
donne in lotta contro i nostri nemici! E non possiamo, non dobbiamo aspettarci
di essere trattate diversamente dalle altre componenti rivoluzionarie del
movimento: (...) le streghe son tornate!”.
(continua)