Si è detto in precedenza come sia difficile distinguere nettamente
un’area creativa ed una militarista. Tuttavia, analizzando i documenti del
Movimento, qualcosa effettivamente emerge. La rivista “Neg/azione”, per
esempio, critica gli autonomi, quelli di Aut Op per intendersi, perché “partono
da una realtà rivoluzionaria, l’esigenza di sviluppo autonomo di bisogni
proletari, per riproporre la ‘militanza rivoluzionaria’ (professionale) e il partito,
con l’unico risultato di incanalare queste esigenze rivoluzionarie negli schemi
capitalistici della politica e della ideologia”. Insomma, pur rifiutando la
figura coscienziale del partito, Aut Op, per i giovani di “Neg/azione”, farebbe
rientrare il partito dalla finestra, burocratizzando lo stesso concetto di
autonomia. Per un altra rivista, “A/traverso”, tutto ciò che è politica è
totalitario, perché non può ammettere l’esistenza della contraddizione, se non
come conflitto riconducibile all’equilibrio.
L’esigenza di autonomia, quella con l’iniziale minuscola, è così
sentita dai giovani del Movimento che si diffida di qualsiasi organizzazione
politica, persino di una molto originale come Aut Op. Ma che cos’è realmente
l’Autonomia, quella con l’iniziale maiuscola?

- Non può esserci
allora costruzione del partito rivoluzionario se non c’è parallelamente
costruzione e diffusione dell’organizzazione autonoma operaia (...) e tra le
masse della pratica rivoluzionaria; se non si stabilisce fin da ora un legame
naturale, non solo “politico” ma materiale, organizzativo, tra partito e
strutture dell’autonomia di massa. -
Il partito, dunque, non è che un mezzo. Eppure, anche se subordinato
alla crescita della “pratica rivoluzionaria” tra le masse, esso ha comunque una
certa importanza anche per Aut Op. D’altro canto, ponendosi anche se in maniera
originale come avanguardia del movimento di massa, Autonomia si colloca
nell’ambito del pensiero e della prassi marxista-leninista tradizionale. E
questo gli attira le critiche di altri settori del movimento.
I primi collettivi autonomi nascono nel 1971, ma è tra il 1972 e il
1973 che questi si moltiplicano in tutto il paese. Il 25-26 novembre 1972 si
tiene a Napoli il primo Convegno dei Collettivi autonomi del Mezzogiorno e
l’anno successivo, a Bologna, il primo di Autonomia Operaia Organizzata, al
quale vi partecipano più di 400 delegati di tutta Italia. In questo Convegno
Aut Op lancia solo alcune parole d’ordine, come il rifiuto della mobilità, la
lotta all’intensificazione dei ritmi di lavoro, le 36 ore settimanali e il
salario uguale per tutti. Ma dai lavori emerge anche la linea politica del
gruppo: “Il problema del potere - si legge nella relazione introduttiva - è
quello di praticare la coscienza del potere nelle masse per tradurlo in prassi
politica”. Solo così la rivendicazione diventa tutta politica e
l’organizzazione può trasformarsi in “partito rivoluzionario”. Gli autonomi non
sono per una lotta violenta clandestina: “tutto - si legge nella mozione
conclusiva - deve essere riservato alla capacità dei nuclei operai di saper
colpire nel momento buono, nella direzione giusta, secondo il polso e il grado
di coscienza operaia, contro l’organizzazione capitalistica del lavoro, contro
gli strumenti della repressione padronale”. Aut Op decide di non dotarsi di una
struttura centralizzata, a differenza di quanto decidono di fare in questi anni
molte altre organizzazioni dell’estrema sinistra (Lc compresa): viene creata
invece una Commissione nazionale, con il compito di coordinare le varie realtà.
Nell’autunno del 1973 Pot Op si scioglie. Decine di suoi attivisti, come Negri,
Piperno e Scalzone, confluiscono in Autonomia. E così “l’organizzazione che non
è ancora partito” cresce notevolmente.
Il battesimo del fuoco di Aut Op, è proprio il caso di dirlo, si
celebra l’8 settembre 1974, in occasione dello sgombero delle case occupate del
quartiere di San Basilio, alla periferia di Roma. La battaglia è sanguinosa. La
polizia spara ed uccide Fabrizio Ceruso, del Comitato autonomo di Tivoli.
L’occupazione delle case è solo una delle tante battaglie che gli
autonomi conducono in quella che chiamano “fabbrica sociale”. Per combattere il
carovita, per esempio, Aut Op pratica l’autoriduzione e l’esproprio proletario
(che presto diventerà un incubo per i commercianti di tutto il paese); contro
la violenza neofascista, l’antifascismo militante, contro la repressione danno
vita a “Soccorso Rosso” e contro lo spaccio di eroina nei quartieri a ronde
armate.
Aut Op è diffusa su tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle
grandi città: Milano (in periferia e in alcune grandi fabbriche, come la
Pirelli e l’Alfa Romeo, mentre alla Statale deve fare i conti con lo strapotere
del Ms, prima, e del Mls poi), a Bologna (nelle periferie e all’Università), a
Marghera-Mestre (area industriale, ex roccaforte di Pot Op), a Padova
(Università), a Roma (all’Università La Sapienza, al Policlinico, nei quartieri
di San Lorenzo, San Basilio e molti altri della cintura periferica) e a Napoli
(nelle zone più degradate).
(continua)