Solchiamo tempi strani, dove poche bussole non risultano impazzite e
le strade della libertà non sono asfaltate. Scegliere la pista dell’anarchismo
è in primo luogo, una precisa scelta di campo.
E se il movimento libertario, nella sua molteplicità di approcci e
tendenze, offre disponibilità al confronto e riconosce come compagni di lotta
anche chi non condivide le idee anarchiche, questo non significa affatto che
sia un ombrello sotto cui porre qualsiasi interpretazione personale
dell’anarchia.
Si può essere individualisti o comunisti, organizzatori o
antiorganizzatori, educazionisti o insurrezionalisti, ma comunque certi
presupposti sono fuori discussione perché definiscono l’anarchismo stesso.
Nessuno/a è obbligato a condividerli, ma sia chiaro che alcuni punti
sono fondamentali per l’anarchismo. Il rifiuto coerente di ogni potere
(politico, militare, religioso…) e di ogni sfruttamento (sia questo capitalista
o statale), di tutte le discriminazioni (razziste, di genere…), delle diverse
forme di coercizione (polizie, leggi, carceri, lager, sedie elettriche,
torture, repressione, proibizionismo…) non sono un di più, bensì punti fermi di
un pensiero davvero alternativo e antagonista al dominio.
Un metodo incentrato sull’auto-emancipazione, attraverso l’impegno
per l’autoformazione individuale, l’azione diretta e l’autogestione collettiva.
Perché la liberazione è rivoluzione quotidiana, a partire dal proprio intessere
relazioni e vivere in un mondo che certo non è il migliore possibile.
La libertà non ammette limitazioni da parte dei suoi nemici. Fuori
da questi paletti c’è l’autoritarismo comunque mascherato o l’illusione
riformista, ossia la convinzione di poter pacificamente umanizzare l’inumano.
D’altra parte la libertà non è obbligatoria, così come nessuna/o è tenuto ad
essere sovversivo.