Per questo diciottesimo atto i
Gilets Jaunes hanno chiamato a raccolta tutta la popolazione francese per
imporre un “ultimatum” decisivo al governo; «l’assalto al cielo» echeggia negli
innumerevoli appelli con l’obiettivo di destituire Macron.
Dal 17 novembre ci sono stati
diciassette atti, diciassette sabati di blocchi, manifestazioni e rivolte,
quattro mesi di conflitto sociale di una determinazione, una potenza e una
repressione inedite. Per questo 16 marzo, preannunciato dunque come un sabato
“diverso” dagli altri, gli appuntamenti della giornata erano innumerevoli e
dislocati in diversi punti della città, fra cui due grandi cortei nazionali,
contro le violenze poliziesche e il razzismo di Stato e per l’emergenza
climatica.
Fin dalle prime ore del mattino
migliaia di manifestanti si sono riversati sugli Champs-Élysées, partendo dai
quattro appuntamenti che li ha visti arrivare dalla Gare du Nord, Gare de St
Lazare, Châtelet e Montparnasse divisi per regioni.
Il dispositivo di sicurezza è
riuscito a contenere la maggior parte del disordine negli Champs e nei suoi
immediati dintorni con forti schieramenti ai margini delle strade.
Gli scontri sono scoppiati
intorno alle 11 quando tre mezzi della gendarmerie sono stati bersagliati e
respinti dal viale e da quel momento, per quasi otto ore, Gilet Gialli e K-way
neri hanno tenuto testa alla polizia fra sampietrini e granate. Per ore si sono
susseguiti saccheggi, come mai prima, al grido di “e ora paga Macron” in quasi
tutti i negozi e le boutique, alcune banche sono state date alle fiamme, così
come il ristorante di lusso “Fouquet’s” obiettivo simbolicamente importante
poiché nel 2007 Sarkozy vi festeggiò la sua vittoria con una cena privata.
Nonostante il forte dispositivo
messo in campo e l’area circoscritta la polizia è stata più volte incapace
d’intervenire, questo perché, dato fondamentale, tutti hanno partecipato alla
rivolta. Nessuno ha storto il naso, ha pensato dissociarsi o d’intervenire
durante gli scontri con la polizia, il saccheggio o la distruzione dei negozi
di lusso ma, al contrario ogni azione era accompagna da cori e acclamata con
entusiasmo.
Con questa composizione compatta,
nonostante le diverse soggettività coinvolte, la via del lusso Parigino è
diventata il simbolo di un nuovo potere ritrovato con un ulteriore salto
politico del movimento: le violenze della polizia hanno raggiunto livelli tali
da non lasciare più spazio alla dissociazione, l'ingenuità contro l'apparato
repressivo dello stato è (quasi) completamente scomparsa e di conseguenza anche
il principio del pacifismo.
Il bilancio della giornata è di
circa duecento fermi e decine di feriti, ma il dato fondamentale è che dopo
diciotto settimane ci sia ancora questo livello di conflittualità, una
progressiva radicalizzazione del movimento che, mese dopo mese, sta acquisendo
la consapevolezza che la “lotta paga” («Abbiamo preso coscienza che soltanto
quando si spaccano cose veniamo ascoltati» titolava un inquieto virgolettato di
Le Monde, andato a raccogliere le voci dei gilet). La giornata di sabato per i
Gilet potrà essere l’ennesimo trampolino di lancio per l’inizio di una nuova
fase politica e strategica? In ogni caso il tentativo di Macron di risolvere
con le chiacchiere la crisi politica con il suo Grand débat (il grande
dibattito) è definitivamente naufragato.
Oggi governo e media stanno
provando a nascondere questa realtà collettiva con una “verità” ufficiale da
sovrapporre; si parla di stabilire lo “stato d’emergenza”, di vietare ogni
manifestazione sugli Champs elysées, di dare ulteriormente potere alla polizia
e far credere che la rivolta sia stata scatenata da “Blak Block infiltrati” che
avrebbero agito a margine della sfilata.
Ma questa è una storia stanca a
cui non crede più nessuno nemmeno ai vertici dello Stato, perché la realtà è
che in Francia c’è una rabbia enorme, infuocata, unanime e condivisa.
“Se non partecipi alla lotta,
partecipi alla sconfitta”