Rivolta nelle
carceri italiane. Da Milano a Palermo, da Modena a Bari, da Vercelli a
Frosinone, da Pavia a Foggia si sale sui tetti, urlando "Libertà",
chiedendo uguali tutele in tempi di Covid-19. Mentre viaggiano a reti unificate
messaggi relativi alla necessità di contenere l’epidemia di coronavirus,
attraverso atti di responsabilità e in particolare di auto-isolamento, emerge
con forza la realtà di un mondo dove vigono altre regole.
Un mondo dove il
diritto alla salute evidentemente non vale allo stesso modo. Per l'ennesima
volta il carcere è specchio della distribuzione ineguale di diritti e di
attenzione da parte di uno Stato che anche in tempi di controversa solidarietà
nazionale deve scaricare su qualcuno la sua essenza di violenza. Non si tratta
qui solo della questione legittima di trovare un modo di permettere ai
carcerati di continuare i colloqui con i loro cari, tema al centro delle
proteste. Colloqui che vengono loro negati in modo molto più severo di quanto
avvenga in queste ore a tutto il resto della popolazione, la quale avrà meno
diritto alla mobilità ma senza dubbio in maniera infinitamente minore a quella
di chi vive in qualunque istituto di pena.
Qui però la
questione va oltre. C'è in ballo c'è la risoluzione di un tema atavico e infame
come quello del sovraffollamento, su cui il Covid-19 è solo l'ultima delle
disgrazie ad impattare. Un tema che può essere affrontato solo a partire da
un'amnistia sociale generalizzata, a partire oggi anche dalla necessità
contingente di garantire ai carcerati lo stesso diritto alla salute in teoria
concesso a tutti gli altri. La gravità della situazione delle carceri non è una
novità e non sfugge certo al ministro Bonafede, quello delle pagliacciate in
aeroporto in attesa di Battisti, il quale però non spende neanche una parola
per i sei morti di Modena. Questione di priorità, come quelle espresse dalla
leader dei funzionari della PP Daniela Caputo, che invoca manganelli, punizioni
e l'interdizione all'accesso alle galere anche a chi da anni porta avanti
battaglie contro le condizioni terribili in cui vive la popolazione carceraria.
Detto questo, la
vita degradante nelle carceri italiane è un dato di fatto più forte di qualunque
infame polemica sulle modalità di una rivolta che mai come in questo caso è
l’unico mezzo per chi non ha voce, per chi non ha spazi di democratica tribuna
dove esprimere le sue sofferenze. Di seguito pubblichiamo il racconto della
rivolta di ieri a Modena, tratto da Senza Quartiere. Una rivolta che ha fatto già sei
morti, nelle parole della direzione del carcere dovuti a morte per arresto
cardiaco prima, per overdose dopo...permettetoci, quantomeno, di essere molto,
molto, molto scettici.
Una tragedia
annunciata. Rivolta nel carcere di Modena per il coronavirus. Si teme una strage.
Sono passate da
poco le 14 quando dal carcere di Sant’Anna di Modena fuoriesce una grande nube
nera.
In pochi minuti
familiari dei detenuti e solidali si ritrovano davanti la struttura carceraria
per capire cosa stia succedendo. È in corso una rivolta, una dura rivolta da
parte della popolazione carceraria. Le motivazioni alla base di questa sommossa
appaiono sin da subito chiare : il divieto dei colloqui con i familiari in
seguito al nuovo decreto sul Covid-19. Si tratta in realtà della famosa goccia che
ha fatto traboccare il vaso. Sono gli stessi familiari presenti nello piazzale
di fronte al carcere a raccontare le condizioni dei propri cari rinchiusi
all’interno del penitenziario di Modena.
In seguito alle
misure adottate dal governo per il contenimento e la diffusione del Covid-19,
infatti, non sono solo stati sospesi i colloqui con i familiari, ma sono state
interrotte anche le attività con gli educatori e gli psicologi. “Nessuno, in
questa situazione di emergenza, si è reso conto di quanto questi provvedimenti
abbiano pesato sulla condizione già difficilissima vissuta dai detenuti” ci
racconta la compagna di un detenuto.
Le prime ore del
pomeriggio scorrono in un clima surreale. Tantissime le ambulanze e le macchine
del 118. Nessuno risponde alle legittime domande dei familiari che chiedono,
soprattutto, lo stato di salute dei loro cari, se sono presenti casi di
contagio o se qualcuno è rimasto ferito durante la rivolta. Verso le 17
un’agente della polizia penitenziaria prova a rassicurare le famiglie: “La
situazione si sta stabilizzando, non ci sono feriti. Il fumo che vedete
proviene dal tetto e non dalle celle che non sono state intaccato durante la
rivolta. Dovete stare calmi però. Se urlate rischiate di fomentare ancora di
più i detenuti presenti in struttura”.
La legittima
rabbia dei familiari, tuttavia, non si placa. Non si placa di fronte alle
decine dei pullman della polizia penitenziaria che entrano all’interno del
carcere sfrecciando a tutta velocità fra la folla (una donna ha accusato anche
un malore rischiando di essere investita). Non si placa di fronte al pestaggio
di alcuni detenuti ammanettati durante il loro trasferimento sui dei pullman
che li trasferiranno in altre carceri (in seguito abilmente posizionati di
fronte la porta in modo tale da impedire la visione alle persone esterne). Non
si placa di fronte ai silenzi della dirigenza del carcere e del personale
penitenziario.
Sono da poco
passate le 19 quando il comandante e l’assistente del direttore escono fuori
per parlare con i familiari. “Stiamo provvedendo al trasferimento di alcuni
detenuti, la situazione è però in divenire. Molte celle sono inagibili e un
gruppo di detenuti è entrato in possesso di alcuni telefoni cellulari.
Chiediamo la vostra collaborazione. Se i vostri familiari vi contattano dite
loro di consegnarsi. Il fatto che abbiano rubato i telefoni, sappiatelo, è però
la cosa meno grave successa oggi”.
Continuano i non
detti, le frase lasciate a metà, le risposte non date ai familiari preoccupati
soprattutto dello stato di salute dei detenuti.
Come fidarsi di
quelle parole che del tutto smentiscono quelle pronunciate appena un paio d’ore
prima? Calato il buio, sulla struttura, continua a volare un elicottero della
polizia, le ambulanze diventano sempre più numerose, e con esse anche i camion
dei vigili del fuoco e i pullman della polizia penitenziaria. Nel buio e nel
silenzio continuano a sentirsi le urla dei detenuti. Nel frattempo è anche
giunta sul posto la Protezione Civile. I familiari, senza alcuna risposta,
decidono dunque di spostarsi verso l’altra ala del carcere. Quella che, da
quanto spiegato loro, contiene al proprio interno i detenuti promotori della
rivolta.