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lunedì 9 marzo 2020

Da Nord a Sud è rivolta nelle carceri. Ora amnistia per tutt* subito!

Rivolta nelle carceri italiane. Da Milano a Palermo, da Modena a Bari, da Vercelli a Frosinone, da Pavia a Foggia si sale sui tetti, urlando "Libertà", chiedendo uguali tutele in tempi di Covid-19. Mentre viaggiano a reti unificate messaggi relativi alla necessità di contenere l’epidemia di coronavirus, attraverso atti di responsabilità e in particolare di auto-isolamento, emerge con forza la realtà di un mondo dove vigono altre regole.
Un mondo dove il diritto alla salute evidentemente non vale allo stesso modo. Per l'ennesima volta il carcere è specchio della distribuzione ineguale di diritti e di attenzione da parte di uno Stato che anche in tempi di controversa solidarietà nazionale deve scaricare su qualcuno la sua essenza di violenza. Non si tratta qui solo della questione legittima di trovare un modo di permettere ai carcerati di continuare i colloqui con i loro cari, tema al centro delle proteste. Colloqui che vengono loro negati in modo molto più severo di quanto avvenga in queste ore a tutto il resto della popolazione, la quale avrà meno diritto alla mobilità ma senza dubbio in maniera infinitamente minore a quella di chi vive in qualunque istituto di pena.
Qui però la questione va oltre. C'è in ballo c'è la risoluzione di un tema atavico e infame come quello del sovraffollamento, su cui il Covid-19 è solo l'ultima delle disgrazie ad impattare. Un tema che può essere affrontato solo a partire da un'amnistia sociale generalizzata, a partire oggi anche dalla necessità contingente di garantire ai carcerati lo stesso diritto alla salute in teoria concesso a tutti gli altri. La gravità della situazione delle carceri non è una novità e non sfugge certo al ministro Bonafede, quello delle pagliacciate in aeroporto in attesa di Battisti, il quale però non spende neanche una parola per i sei morti di Modena. Questione di priorità, come quelle espresse dalla leader dei funzionari della PP Daniela Caputo, che invoca manganelli, punizioni e l'interdizione all'accesso alle galere anche a chi da anni porta avanti battaglie contro le condizioni terribili in cui vive la popolazione carceraria.
Detto questo, la vita degradante nelle carceri italiane è un dato di fatto più forte di qualunque infame polemica sulle modalità di una rivolta che mai come in questo caso è l’unico mezzo per chi non ha voce, per chi non ha spazi di democratica tribuna dove esprimere le sue sofferenze. Di seguito pubblichiamo il racconto della rivolta di ieri a Modena, tratto da Senza Quartiere. Una rivolta che ha fatto già sei morti, nelle parole della direzione del carcere dovuti a morte per arresto cardiaco prima, per overdose dopo...permettetoci, quantomeno, di essere molto, molto, molto scettici.
Una tragedia annunciata. Rivolta nel carcere di Modena per il coronavirus. Si teme una strage.
Sono passate da poco le 14 quando dal carcere di Sant’Anna di Modena fuoriesce una grande nube nera.
In pochi minuti familiari dei detenuti e solidali si ritrovano davanti la struttura carceraria per capire cosa stia succedendo. È in corso una rivolta, una dura rivolta da parte della popolazione carceraria. Le motivazioni alla base di questa sommossa appaiono sin da subito chiare : il divieto dei colloqui con i familiari in seguito al nuovo decreto sul Covid-19. Si tratta in realtà della famosa goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sono gli stessi familiari presenti nello piazzale di fronte al carcere a raccontare le condizioni dei propri cari rinchiusi all’interno del penitenziario di Modena.
In seguito alle misure adottate dal governo per il contenimento e la diffusione del Covid-19, infatti, non sono solo stati sospesi i colloqui con i familiari, ma sono state interrotte anche le attività con gli educatori e gli psicologi. “Nessuno, in questa situazione di emergenza, si è reso conto di quanto questi provvedimenti abbiano pesato sulla condizione già difficilissima vissuta dai detenuti” ci racconta la compagna di un detenuto.
Le prime ore del pomeriggio scorrono in un clima surreale. Tantissime le ambulanze e le macchine del 118. Nessuno risponde alle legittime domande dei familiari che chiedono, soprattutto, lo stato di salute dei loro cari, se sono presenti casi di contagio o se qualcuno è rimasto ferito durante la rivolta. Verso le 17 un’agente della polizia penitenziaria prova a rassicurare le famiglie: “La situazione si sta stabilizzando, non ci sono feriti. Il fumo che vedete proviene dal tetto e non dalle celle che non sono state intaccato durante la rivolta. Dovete stare calmi però. Se urlate rischiate di fomentare ancora di più i detenuti presenti in struttura”.
La legittima rabbia dei familiari, tuttavia, non si placa. Non si placa di fronte alle decine dei pullman della polizia penitenziaria che entrano all’interno del carcere sfrecciando a tutta velocità fra la folla (una donna ha accusato anche un malore rischiando di essere investita). Non si placa di fronte al pestaggio di alcuni detenuti ammanettati durante il loro trasferimento sui dei pullman che li trasferiranno in altre carceri (in seguito abilmente posizionati di fronte la porta in modo tale da impedire la visione alle persone esterne). Non si placa di fronte ai silenzi della dirigenza del carcere e del personale penitenziario.
Sono da poco passate le 19 quando il comandante e l’assistente del direttore escono fuori per parlare con i familiari. “Stiamo provvedendo al trasferimento di alcuni detenuti, la situazione è però in divenire. Molte celle sono inagibili e un gruppo di detenuti è entrato in possesso di alcuni telefoni cellulari. Chiediamo la vostra collaborazione. Se i vostri familiari vi contattano dite loro di consegnarsi. Il fatto che abbiano rubato i telefoni, sappiatelo, è però la cosa meno grave successa oggi”.
Continuano i non detti, le frase lasciate a metà, le risposte non date ai familiari preoccupati soprattutto dello stato di salute dei detenuti.
Come fidarsi di quelle parole che del tutto smentiscono quelle pronunciate appena un paio d’ore prima? Calato il buio, sulla struttura, continua a volare un elicottero della polizia, le ambulanze diventano sempre più numerose, e con esse anche i camion dei vigili del fuoco e i pullman della polizia penitenziaria. Nel buio e nel silenzio continuano a sentirsi le urla dei detenuti. Nel frattempo è anche giunta sul posto la Protezione Civile. I familiari, senza alcuna risposta, decidono dunque di spostarsi verso l’altra ala del carcere. Quella che, da quanto spiegato loro, contiene al proprio interno i detenuti promotori della rivolta.