La rivolta
scoppiata nelle scorse settimane nelle carceri è un boccone avvelenato per
tutti i giustizialisti di questo paese. Lo è per un semplice motivo: le rivolte
e le proteste rompono la retorica della "terapia delle manette" di
cui questi personaggi si fanno alfieri.
Meglio
invisibili
Il fatto che si
materializzino sugli schermi delle TV e dei computer le immagini dei carcerati,
le loro rivendicazioni, le voci dei parenti, li rende umani, li rende esseri
tangibili. E se sono esseri tangibili con delle voci, degli affetti, delle
rivendicazioni allora qualcuno potrebbe pure pensare che abbiano dei diritti.
Il carcere in
fondo è il rimosso per eccellenza della nostra società, il luogo dove vengono
depositati gli indesiderabili, quasi sempre in maggior numero che i veri
criminali. Il luogo che è deputato ad esorcizzare le paure della società, la
falsa soluzione di prossimità a tutti i problemi. Se le carceri esplodono forse
qualcuno potrebbe iniziare a domandarsi se la questione è la criminalità in sé
o il contesto sociale che la produce.
E quindi ecco
gli editorialisti, i politici e i magistrati che si affollano a difendere le
mura dell'istituzione carceraria, a tentare di ricostruire lo schermo che rende
invisibile chi è in carcere a chi non lo è. Tra i più solerti naturalmente
troviamo Travaglio che si spende anima e corpo in questa campagna in difesa del
ministro Bonafede. Nel suo editoriale "Meglio dentro" rifila la
classica sequela di manfrine che solo chi non conosce minimamente la realtà del
carcere può proferire.
La tesi di
Travaglio sarebbe che, poiché i contagiati all'interno delle carceri sono
statisticamente minori di quelli nel paese Italia nel suo complesso, le
rivendicazioni di amnistia e indulto sarebbero ingiustificabili. Una tesi
volontariamente faziosa, una vera arrampicata sugli specchi d'altura.
Probabilmente Travaglio non ha mai visitato un penitenziario e in questi giorni
non ha prestato attenzione alle molte denunce che arrivano dalle associazioni e
dai parenti dei detenuti. Le condizioni di cronico sovraffollamento, la pessima
situazione igienica, la totale carenza di un'infrastruttura sanitaria adeguata,
la mancanza assoluta di precauzioni da parte delle guardie rendono le carceri
una vera e propria bomba ad orologeria. Quello che sta succedendo nei
penitenziari è molto simile a ciò che è successo in una fase iniziale in molti
paesi europei ai primi vagiti della crisi Coronavirus. La rimozione: se io non
nomino il problema e evito che lo nominino altri il problema scompare. Ci
chiediamo quanti tamponi siano stati fatti ai carcerati che hanno mostrato i
sintomi se non ve ne sono a sufficienza nemmeno per testare i lavoratori della
sanità in prima linea. Ci chiediamo quale possa essere la verità sui dati
statistici che escono dalle mura dei carceri quando ancora non è chiara la
dinamica in cui hanno perso la vita 13 persone durante le rivolte.
Infine Travaglio
rivendica l'adeguatezza delle nuove misure adottate dal governo in fatto di
detenzione durante la crisi. Peccato che queste misure, comunque insufficienti
e irresponsabili, siano state proprio il frutto del sussulto di dignità che ha
spinto i carcerati a sollevarsi in 27 carceri, non certo della visione
umanitarista del ministro Bonafede. Tra l'altro in molti istituti le nuove
norme sono rimaste per il momento unicamente sulla carta.
Il Coronavirus
mostra tutta la crudeltà, l'ottusità e la fragilità di un sistema giudiziario
che tenta di rimuovere le questioni sociali gettando migliaia di persone in
galera a marcire, ben difeso dalle schiere di giustizialisti sempre pronti a
tenere in piedi i cordoni di sicurezza della presunta legalità.