Sono appena
uscita dalle Vallette dove ho incontrato alcuni detenuti, e tra questi
ovviamente Nicoletta. Mi pare opportuno, visto quanto sta avvenendo nelle
carceri italiane, relazionarvi su quanto ho visto e sentito.
Quando sono
arrivata davanti all’ingresso principale del carcere c’erano alcuni mezzi della
Polizia di Stato e dei Carabinieri ed un’ambulanza. Deserto l’ingresso
riservato i parenti. Mi hanno misurato la febbre, fatto sottoscrivere un modulo
con il quale attestavo di non essere entrata o uscita dalla Cina o dalle zone
rosse nei 15 giorni precedenti e di non avere sintomi febbrili. Alla seconda
porta ho visto personale della Polizia penitenziaria che preparava e puliva una
serie di scudi appoggiati al muro ed in prossimità delle sale colloqui
distribuivano mascherine ai pochi avvocati presenti. Ho notato, firmando il registro,
che alcuni colleghi avevano annullato le prenotazioni dei colloqui con gli
assistiti. Durante il primo colloquio con un detenuto mi è stato riferito di un
clima estremamente teso, della consapevolezza di misure del tutto inadeguate:
il personale di Polizia penitenziaria, pur entrando ed uscendo dal carcere,
continua ad essere privo di qualsivoglia presidio atto a prevenire il contagio,
i detenuti continuano ad essere stipati in celle e locali in cui è impossibile
rispettare le distanze interpersonali o i minimi presidi sanitari prescritti.
Giunta alla
sezione femminile ho visto detenute nel corridoio a distanze estremamente
ravvicinate e prive, come il personale penitenziario, di mascherine. Ho poi
visto Nicoletta. Sta bene anche se, come le sue compagne, è preoccupata. Prova
a distrarsi leggendo la posta che riceve ma quanto sente alla televisione non
la conforta. Hanno tutti avuto notizia delle rivolte delle ultime ore e dei
morti e già nella notte scorsa molti detenuti hanno iniziato la battitura e si
sono levate ripetutamente urla corali. Io stessa, mentre parlavo con Nicoletta,
ho sentito a ripetizione battere sulle sbarre delle sovrastanti sezioni e cori
di cui non sono riuscita a cogliere il significato letterale, ma che erano
evidentemente proteste e richieste di attenzione ed aiuto. Nicoletta mi ha
confermato che sono stati sospesi i colloqui con i familiari e molti detenuti
temono così di non poter più neppure ricevere i pacchi che, spesso, sono il
loro unico mezzo di sostentamento, vista la qualità e la quantità del vitto
fornito dal carcere. Da alcuni giorni, poi, pare siano aumentati
significativamente i prezzi di quanto i detenuti possono acquistare in carcere.
Tutto ciò, unitamente alla paura per le condizioni sanitarie dei parenti che sono
fuori getta i detenuti in uno stato di prostrazione, impotenza e preoccupazione
importanti. I colloqui sono stati sostituiti dall’autorizzazione a telefonate
straordinarie nella misura di 10 minuti per ogni colloquio saltato e, pare, che
per effettuare le chiamate si formino delle code in condizioni di inevitabile
promiscuità. Nicoletta mi ha inoltre confermato che gli ultimi arrestati
vengono collocati, in una sorta di quarantena, ai nuovi giunti con delle
mascherine ma, ancora, in condizioni igienico-sanitarie del tutto inadeguate a
prevenire l’epidemia in corso. Pare che sia stato anche limitato l’uso delle
docce e nelle celle non c’è l’acqua calda. Da questa mattina è stata sospesa
anche l’ora d’aria, mentre la socialità all’interno della sezione prosegue
inalterata.
Ho chiesto – per
scrupolo e, lo confesso, anche per egoistica preoccupazione – a Nicoletta se
non riteneva opportuno che predisponessi un’istanza per chiedere, in ragione
dell’età e del residuo pena, una detenzione domiciliare. Ha rifiutato
condividendo quanto, da fuori, si sta cominciando ad invocare: almeno
un’indulto che consenta di alleggerire il sovrappopolamento delle carceri e
ripristinare sicurezza sanitaria e condizioni di vita minimamente dignitose.
All’uscita del
carcere ho notato che non c’erano più i mezzi della Polizia e dei Carabinieri,
ma non saprei dire se se n’erano andati od erano invece entrati.
Valentina Colletta
Avvocato di Nicoletta Dosio