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mercoledì 19 settembre 2012

Mauro Rostagno, la sua “lotta continua”

Era nato il 6 marzo 1942, denunciava la criminalità organizzata, difendeva gli ultimi. È stato ucciso il 26 settembre 1988 a 46 anni. Dopo infiniti depistagli, finalmente viene esaminata la pista mafiosa.
Dal 2 febbraio 2011 ad oggi sono 32 le udienze del nuovo processo a Trapani per l’omicidio di Mauro Ristagno. Questa volta è la Dda di Palermo ad occuparsene perché è rimasta solo una pista: quella mafiosa. Quando si parla di Ristagno sento che non basta dire a che punto sia il processo e cosa si sia detto all’udienza. Bisogna per prima cosa chiedere scusa. Rischiando di essere ripetitivi bisogna ammettere, ogni volta, che è stato un capo espiatorio. Era di Lotta Continua, tra i pochi ad essere sfuggito all’integrazione. Difendeva gli ultimi, i “tossici”.
Denunciava in televisione collusioni di cui non voleva parlare nessuno, perché Trapani si temeva fosse specchio di ciò che accadeva altrove. E poi mille esperienze, tutte eccentriche: a Trento l’Università, a Milano il Macondo, a Palermo il sostegno dei poveri delle periferie. Poi in India, dove diventa un arancione e cambia nome, Sonatano, eterna beatitudine. E poi nel 1981 vicino a Trapani fonda la comunità Saman, una comune arancione, tramutata poi in comunità terapeutica per il recupero di tossicodipendenti.
A metà degli anni ’80 inizia a lavorare come giornalista per Radio Tele Cine e attacca la mafia trapanese. Il 26 settembre 1988 è vittima di un agguatonon lontano dalla sede della Saman: viene colpito da otto colpi alla testa e alla schiene. Aveva 46 anni e pagava con la vita il suo impegno. Ma la morte sembrò quasi non essere sufficiente.
Qualche mese prima dell’agguato, Ristagno riceve una comunicazione giudiziaria. Il pentito “politico” Leonardo Marino si era autoaccusato dell’omicidio del commissario Calabresi e individuava nei vertici di Lotta Continua i mandanti dell’assassino.
Ristagno non sarà mai indagato, ma l’inchiesta gli dà notorietà: le testate nazionali lo intervistano e lui, per la prima volta, può raccontare gli affari della mafia trapanese che così supera la linea d’ombra, gli angusti confini della provincia.
Ristagno diventa pericoloso perché Trapani non vuole pubblicità. Così Cosa Nostra decide di eliminarlo in fretta.
E il copione si ripete. La pista mafiosa, benché evidente, non viene seguita. Come per Giuseppe Fava, Giancarlo Siani, Don Peppino Diana, la prima pista è quella passionale. Poi omicidio tra amici, poi ancora omicidio legato a Lotta Continua.
E il 7 luglio 1996, quando vengono arrestati sei appartenenti alla comunità Saman e Chicca Roveri, compagna di Ristagno, la stampa, quasi unanime, sbatte il “mostro” in prima pagina. Perché tanta violenza negli attacchi? Perhè il sospetto perenne? Mauro Ristagno incarnava dell’esperienza degli anni Settanta le lotte nonviolente in difesa dei diritti civili.aveva compreso che l’unico posto possibile era accanto agli ultimi.
Aveva compreso che un paese civile è un paese che recupera, non un paese che condanna, reclude e abbandona, come è diventato il nostro. Basta guardare lo stato in cui versano le carceri italiane. Mauro ci ha sbattuto in faccia in modo insopportabile la nostra schiavitù e la sua libertà. E per questo non bastava la morte, di Mauro bisognava distruggere tutto, anche il ricordo.