Le stragi di stato non si sono mai fermate. E i segreti che le hanno coperte non sono mai stati rimossi.
Anche i governi della “sinistra” che si erano impegnati a rimuovere i segreti, anche l’attuale capo dello Stato che aveva fatto solenne promessa, hanno continuato a dare copertura agli apparati e a negare quelle “verità e giustizia” della quale avevano fatto facile slogan elettorale.
Da due anni le massime autorità dello Stato non hanno più la spudoratezza di offendere la memoria delle vittime prendendo la parola sul palco del piazzale della stazione di Bologna; sanno bene che la piazza non sopporterebbe oltre un simile affronto. Il prefetto Cancellieri, già commissario del comune di Bologna e oggi ministro degli Interni, parteciperà ad una cerimonia molto privata nelle stanze del palazzo.
Anche i familiari delle vittime e le associazioni ad essi vicine mostrano di non avere più alcuna fiducia circa il fatto che la “verità e giustizia” possa essere piena, senza ombre, riconoscendo le responsabilità politiche di chi ha voluto difendere l’ordine costituito al prezzo della morte atroce di vittime inermi ed ignare.
Il 2 agosto del 1980, alle 10,25 il gruppo neofascista dei NAR spalleggiato dai servizi segreti metteva una bomba alla stazione centrale di Bologna, causando 85 morti e 200 feriti. A tanti anni di distanza i depistaggi di stato e l’omertà di stato (sia dei governi di centrosinistra che di centrodestra), hanno impedito di riconoscere ufficialmente i mandanti e di ammettere la verità.
“Processare lo Stato infedele” recita un comunicato dell’associazione Libertà e Giustizia. Vana illusione: lo Stato non processerà mai sé stesso: continuerà a difendere i suoi servitori a dispetto di ogni idea di giustizia, di uguaglianza di fronte alla legge come le recenti sentenze della “macelleria messicana” di Genova 2011 hanno ribadito, come la sentenza per la strage di Piazza della Loggia a Brescia ha sfacciatamente sentenziato, come l’opera di rimozione sulla “madre” di tutte le stragi, quella del 12 dicembre 1969, conferma ogni giorno.
Lo Stato, il legittimo titolare dell’uso della forza, può disporre a piacimento della vita, della dignità dell’esistenza dei suoi sudditi e di tutti coloro che ne intralcino interessi “supremi”. Lo Stato può uccidere, torturare, opprimere, incarcerare a suo piacimento. Lo Stato è la massima espressione dell’ordine sociale vigente: un ordine che si fonda sullo sfruttamento, sull’oppressione e sulla paura.
Lo testimoniano tutte le “legittime” iniziative politiche e militari che esso intraprende: dalle guerre “esterne” in Afganistan, in Libia, nei Balcani a quelle “interne” contro gli immigrati, i “diversi”, i lavoratori, le donne, i giovani. Una legittimità che è basata sul terrore imposto dall’uso della forza “legittima” di sgherri in borghese o in divisa, schierati o infiltrati.
“Chi non terrorizza si ammala di terrore” è l’amara constatazione di un compagno come Fabrizio De André che già negli anni ’70 analizzava il carattere terroristico del potere e della sua massima espressione istituzionale: lo Stato.
Se veramente vogliamo giustizia sociale, libertà per tutte e tutti, benessere ed un futuro per le giovani generazioni dobbiamo abbattere lo Stato. Non possiamo illuderci che quest’apparato di grassatori, sbirri, approfittatori, stragisti possa essere riformato. Dobbiamo essere capaci di vivere, per mezzo dell’autogestione, in una società di liberi ed uguali, dove sia abolita la proprietà privata, il diritto ereditario, la possibilità dello sfruttamento. È in un simile contesto che lo Stato non potrà riprendere forma per instaurare nuove dittature da imporre con un nuovo terrore.