..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 20 agosto 2012

I lavoratori della notte

Alexandre Marius Jacob, detto Escande, detto Attila, detto Georges, detto Bonnet, detto Féran, detto Duro a morire, detto il Ladro. Jacob, l’anarchico fantastico che ispirò a Maurice Leblanc il suo Arsenio Lupin. Conosciutissimo il suo “surrogato” falsato, Lupin, per tutta una serie di films, fumetti, ecc. che la cultura ufficiale ci propina tramite cinema e televisione, l’ispiratore dei suoi “colpi”, Jacob, è all’opposto poco noto. Jacob e la sua banda dei “Lavoratori della notte” portano a termine, nel giro di appena tre anni, più di mille attacchi alla proprietà privata.
Sintomatiche le motivazioni di queste prassi nella dichiarazione che Jacob fa alla Corte d’Assise della Somme durante il processo che ha inizio il 18 marzo 1905 e che si conclude con una condanna a 25 anni di Guayana.

“Signori,
Ora sapete chi sono: un ribelle che vive del frutto dei suoi furti. Inoltre ho incendiato diversi palazzi e ho difeso la mia libertà contro l’aggressione di agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia esistenza di lotta; la sottopongo alla vostra intelligenza come un problema. Non riconosco a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né indulgenza. Non prego quelli che odio e che disprezzo. Voi siete più forti: disponete di me come volete. Mandatemi al bagno penale o al patibolo, poco importa. Ma prima di separarci, lasciate che vi dica un’altra parola (…)
Voi chiamate un uomo ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della legge senza chiedervi se egli poteva essere altro. S’è mai veduto un possidente farsi svaligiatore? Confesso di non conoscerne. Ma io, che non sono possidente né benestante, che non sono altro che un uomo che possiede le sue braccia e il suo cervello per assicurarsi di che vivere, io ho dovuto tenere un’altra condotta. La società non mi accordava che tre vie di esistenza: il lavoro, la mendicità, il furto. Il lavoro, ben lungi dal ripugnarmi, mi piaceva. L’uomo non può fare a meno di lavorare; i suoi muscoli, il suo cervello hanno una somma di energie da dispensare. Quel che mi ha fatto ripugnanza è sudare sangue e linfa per l’elemosina d’un salario, è creare delle ricchezze di cui sarei stato depredato. Insomma m’ha fatto ripugnanza darmi alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l’avvilimento, la negazioni di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto al banchetto della vita.
IL DIRITTO DI VIVERE NON SI MENDICA, LO SI PRENDE.
Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto che essere rinchiuso in un’officina come in un penitenziario, piuttosto che mendicare ciò cui avevo diritto, ho preferito rivoltarmi e combattere palmo a palmo i miei nemici facendo la guerra ai ricchi, attaccando i loro beni. Certo, capisco che avreste preferito che soggiacessi alle vostre leggi, che come operaio docile e infrollito creassi ricchezza in cambio d’un salario irrisorio e che, col corpo consumato e il cervello inebetito, me ne andassi a crepare all’angolo d’una strada. In quel caso non mi chiamereste “bandito cinico”, ma “onesto operaio”. Con blandizie mi avreste perfino premiato con la medaglia del lavoro. I preti promettono un paradiso a quelli che riescono ad abbindolare; voi siete più astratti, voi promettete loro della carta straccia.
Vi ringrazio molto per tanta bontà, per tanta gratitudine, Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa, una cariatide!
Da quando sono entrato in possesso della mia coscienza, mi sono dedicato al furto senza alcuno scrupolo. Non ho nulla a che fare colla vostra pseudo-morale che esalta il rispetto della proprietà come una virtù, mentre non esistono ladri peggiori dei proprietari.
Ritenetevi fortunati, Signori, che questo pregiudizio abbia messo radici nel popolo, perché è lui il vostro gendarme migliore. Conoscendo l’impotenza della legge o, per meglio dire, della forza, ne avete fatto il più sicuro dei vostri protettori. Ma state attenti, tutto finisce. Tutto ciò che è costruito, edificato colla forza e l’astuzia, forza ed astuzia possono demolire.
Il popolo reagisce ogni giorno. Non vedete che, consci di questa verità, consapevoli dei loro diritti, tutti i morti di fame, tutti i pezzenti, insomma tutte le vostre vittime, s’armano di un grimaldello, vibrano l’assalto alle vostre case per riprendere a riprendere le ricchezze che essi han creato e che voi avete loro rubato? Credete che sarebbero più infelici? Io son convinto al contrario. Se ci riflettessero meglio, preferirebbero correre qualunque rischio piuttosto che ingrassarvi gemendo nella miseria. La prigione… Il penitenziario.. Il patibolo, si dirà! Ma cosa sono tali prospettive in confronto ad una vita bestiale, fatta di ogni sofferenza? Il minatore che strappa il suo pane alle viscere della terra, senza mai vedere la luce del sole, può morire da un momento all’altro, vittima di un’esplosione di grisù; il conciateti che vaga per i tetti può cadere e ridursi in briciole; il marinaio conosce il giorno in cui parte, ma ignora se ritornerà in porto. Un gran numero di lavoratori contrae malattie fatali nell’esercizio del proprio mestiere, si sfinisce, s’avvelena, si uccide per creare per voi; perfino i gendarmi, i poliziotti vostri servi che, per un osso da rosicchiare che tirate loro, trovano a volte la morte nella lotta che intraprendono contro i vostri nemici.
Cocciuti nel vostro egoismo meschino, rimanete scettici nei confronti di questa prospettiva, vero? Il popolo ha paura, sembrate dire. Noi lo governiamo col terrore della repressione; se grida, lo getteremo in prigione; se brontola, lo deporteremo al bagno penale; se passa all’azione, lo ghigliottineremo! Calcolo errato, Signori, credetemi. Le pene che infliggete non sono un rimedio contro i gesti di rivolta. La repressione, anziché un rimedio o un palliativo, non è che un aggravamento del male.
Le misure coercitive non possono che seminare odio e vendetta. È un ciclo fatale. Del resto, da quando tagliate le teste, da quando gremite le prigioni e i bagni penali, avete forse impedito all’odio di manifestarsi? Parlate. Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Da parte mia, sapevo per certo che il mio comportamento non poteva avere che altro sbocco che il bagno penale o il patibolo. Vedete bene che non è stato questo ad impedirmi di agire. Se mi sono dedicato al furto, non è una questione di guadagno, di lucro, ma una questione di principio, di diritto. Ho preferito conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo piuttosto che essere creatore  della fortuna d’un padrone. In termini più banali, senza eufemismo, ho preferito essere ladro che derubato.
Certo, anch’io disapprovo che un uomo s’appropri colla forza o con l’astuzia del frutto della fatica altrui. Ma è proprio per questo che ho fatto la guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri, anch’io vorrei vivere in una società in cui il furto fosse bandito. Io non approvo il furto e non l’ho utilizzato che come mezzo di rivolta in grado di combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà private.
Per distruggere una conseguenza, bis prima distruggere la causa. Se esiste il furto, è solo perché c’è abbondanza da una parte e penuria dall’altra, perché tutto appartiene solo ad alcuni. LA LOTTA SCOMPARIRÀ SOLO QUANDO GLI UOMINI METTERANNO IN COMUNE LE LORO GIOIE E LE LORO PENE, IL LORO LAVORO E LA LORO RICCHEZZA, SOLO QUANDO TUTTO APPARTERRÀ A TUTTI.
Anarchico rivoluzionario, io ho fatto la mia rivoluzione, l’Anarchia verrà!"

“Il diritto di vivere non si mendica, lo si prende. Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto che essere rinchiuso in un’officina come in un penitenziario, piuttosto che mendicare ciò cui avevo diritto, ho preferito rivoltarmi e combattere palmo a palmo i miei nemici facendo la guerra ai ricchi, attaccando i loro beni….”
In sintesi è realmente ciò che muove Jacob. Ma non solo questo ovviamente. Altro spinge ancora il compagno a intraprendere quella strada. Questo”altro”, al di là del rifiuto del lavoro, dare una mano alla propaganda. Trova dei soldi per fare più giornali (tipo “Germinal” quindicinale libertario fondato nel 1904), più manifestazioni, più comizi, per consentire ai compagni di spostarsi con maggiore celerità, per organizzare, insomma, tutte quelle cose che si ritenevano più utili per spingere quella rivoluzione sociale che sembrava essere alle porte.
Una delle maggiori limitazioni (anche se non la sola) dei movimenti di rivolta è sempre stata la mancanza di fondi per l’organizzazione e per l’acquisizione di tutti quegli strumenti che possono consentire lo sviluppo e l’accentuazione dello scontro. Limitazione questa che si è spesso scontrata di fronte al tabù della riappropriazione. Non dimentichiamo come esempio a questo proposito, che i comunardi non ebbero il coraggio, anche se ne avevano la forza, di invadere la Banca di Francia. Cosa sarebbe successo se lo avessero fatto? Non è sicuro, ovviamente, ma, probabilmente le sorti della Comune di Parigi sarebbero state ben differenti.
L’azione di Jacob è una dichiarazione di guerra. Dall’altra parte della barricata i preti con le loro chiese lussuose, i ricchi, i nobili, giudici e magistrati, strozzini. Come si vede, una scelta precisa dei nemici da colpire. La figura di Jacob e dei suoi “Lavoratori della notte” cala come un’ombra minacciosa sul quieto vivere della classe padrona. Le azioni di questa “banda” inafferrabile e sarcastica gettano un panico mal contenuto su tutta questa gente, tanto che il suo buon cane da guardia, la polizia, viene da essa continuamente beffato e non riuscirà ad avere ragione che alcuni anni dopo.
Jacob ha un senso innato dell’ironia. Egli quasi mai si limita a colpire, ha bisogno di più. Ha bisogno di sfotterle. In tal modo la sua vendetta è completa. È la sua prerogativa che lo accompagnerà in tutte le sue azioni che porterà avanti.
L’estrema creatività delle azioni e il senso dell’umorismo di Jacob spingeranno Maurice Leblanc, giornalista del “Gil Blas”che segue il processo per il suo giornale, ad appropriarsi di questa prerogativa e creare il suo personaggio di Arsene Lupen che, tuttavia, resta un eroe da romanzo e non ha niente a che fare col personaggio di Jacob, anche se, potenza della pubblicità, il<primo diviene, a livello mondiale, più famoso del secondo.
Gli unici parametri di avvicinamento tra Jacob e il personaggio inventato da Leblanc sono in effetti solo le eccezionalità delle azioni e il senso dell’ironia. Per il resto, l’Arsène Lupin di Leblanc non ha alcun ideale se non quello di rubare, anche se in modo estremamente creatico, e di arricchirsi; al contrario Jacob che non accumula niente per se. Inoltre, cosa che Jacob ha da sempre aborrito, il Lupin di Leblanc entra a far parte della classe che vuole derubare, anche per aumentare le sue possibilità. Jacob odiava troppo la borghesia per potersi in qualche modo, anche se per necessità, mescolare con essa.