..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 31 dicembre 2012

Non si può mettere un lucchetto al cervello umano

"Antifascismo significa mantenere vivi quei valori che si stanno perdendo da parte dei revisionisti. Oggi non c’è da opporsi ad una persecuzione, ad una privazione della libertà come avveniva sotto il fascismo. Antifascisti dovremmo esserlo tutti. Purtroppo non è così. Il fascismo è stato la distruzione di tutti i valori morali.   […]   Il razzismo è sempre in agguato. In molte parti del mondo si assiste a persecuzioni non diverse da quelle che abbiamo avute in Europa mezzo secolo fa. Ci sono ritorni di antisemitismo persino in Italia. Tutto ciò denota un basso livello di valori etici. I razzisti sono persone frustrate, che pensano di rivalersi perseguitando persone che ritengono inferiori. Questi rigurgiti del passato non mi toccano, ma mi addolorano.   […]   Penso che nel futuro il ruolo della donna sarà decisivo. Più volte mi è capitato di dire che il livello a cui è tenuta la donna, è il barometro della civiltà: più alte sono le potenzialità aperte alle donne, più alto sarà il grado della civiltà.   […]   L’ingegneria genetica a tutt’oggi ha portato soltanto dei vantaggi all’umanità. Invece è immenso il pericolo della manipolazione culturale. Basta pensare ai mass media, all’influsso della televisione sui bambini. Mentre va aumentando in maniera smisurata il pericolo della manipolazione culturale, mi sembra assurdo preoccuparsi della manipolazione genetica.   […]   Sono per la libertà della ricerca. Non si può mettere un lucchetto al cervello umano. Naturalmente deve essere una ricerca fatta bene, onestamente. Ma in libertà. I valori etici, ma anche i valori politici e sociali, devono invece ispirare le applicazioni dei risultati della ricerca. Non tutto ciò che tecnicamente può essere fatto deve necessariamente essere fatto.

Meglio aggiungere vita ai giorni che non giorni alla vita.   […]   Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso di più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente."
Rita Levi Montalcini

Ciao Rita!

domenica 30 dicembre 2012

Il denaro non si mangia


Solo quando l'ultimo fiume sarà prosciugato, quando l'ultimo albero sarà abbattuto, quando l'ultimo animale sarà ucciso, solo allora capirete che il denaro non si mangia.

Ta-Tanka I-Yotank Toro Seduto
(Lakota Sioux)

mercoledì 26 dicembre 2012

Ti ricordi chi è…Stato?


La memoria dei fatti di piazza Fontana dovrebbe essere un patrimonio collettivo ben piantato nelle teste e nei cuori di tutti gli italiani. Eppure, soprattutto tra i più giovani, la conoscenza delle circostanze legate all’orribile strage del 12 dicembre 1969 non è assolutamente scontata.
Dietro a questa inconsapevolezza non ci sono soltanto i depistaggi e le tante menzogne che per anni hanno garantito l’impunità dei massacratori e dei loro complici, ma ci sono anche i vecchi e nuovi revisionismi della storia, le speculazioni di chi vuole confondere l’opinione pubblica per seminare ignoranza e sopprimere lo spirito critico.
Quella di piazza Fontana fu una strage di stato. L’estrema destra fascista e i servizi segreti italiani collaborarono fattivamente per massacrare 17 persone e ferirne 88. Si trattò del primo grande attentato terroristico (già preceduto da altre provocazioni simili) che inaugurò la strategia della tensione. In un momento di grande effervescenza della società italiana (si pensi alle proteste studentesche, alle lotte dei lavoratori, al profondo cambiamento culturale del paese), la risposta dello stato doveva essere durissima e spietata: creare un evento traumatico, terrorizzare l’opinione pubblica, trovare un capro espiatorio, criminalizzare l’opposizione sociale, soffocare la libertà attraverso una svolta autoritaria.
Per questa strage furono subito incolpati gli anarchici. Giuseppe Pinelli, un compagno anarchico che di lavoro faceva il ferroviere, fu interrogato per tre giorni di seguito. La sera del 15 dicembre veniva scaraventato dalla finestra dell’ufficio del commissario Luigi Calabresi, al quarto piano della questura di Milano. Pinelli era innocente, e gli anarchici con quella bomba non avevano proprio niente a che fare.
La campagna di controinformazione promossa dagli anarchici, dalla sinistra extraparlamentare e da autorevoli figure della cultura e del giornalismo del nostro paese riuscì a stabilire quasi subito la realtà dei fatti: la bomba l’avevano messa i fascisti per conto dello stato. Ancora oggi, dopo quarantuno anni, non si è mai arrivati a questa verità giudiziaria anche se – tra le righe di numerose sentenze – sono più volte emerse le responsabilità e le complicità degli apparati dello stato e della manovalanza fascista.
La violenza delle istituzioni è una cosa con cui tutti i cittadini fanno i conti ogni giorno quando si trovano di fronte ai privilegi e all’arroganza di chi gode di potere e impunità. E poi ci sono gli abusi e gli omicidi nelle carceri, le violenze nei centri di trattenimento per immigrati, le schifezze dei politici, i soprusi delle forze dell’ordine, le guerre che combattono gli eserciti.
Dopo quarantuno anni, il copione è sempre lo stesso: quando le istituzioni sono in crisi, la tentazione autoritaria si fa sempre più concreta: oggi la strategia della tensione è nella militarizzazione delle strade, nelle campagne di odio contro i poveri e gli immigrati, nella repressione del dissenso e delle lotte, nel bavaglio all’informazione, nell’attacco alla libertà.
Ecco perché ricordare è importante: per non smettere mai di lottare per una società più libera e più giusta che sappia fare a meno del potere e della sua violenza.
Coordinamento Studentesco Antiautoritario
Coordinamento Anarchico Palermitano


Giuseppe Pinelli: Militante anarchico

"Pino" Pinelli nel 1944 ha 16 anni quando partecipa alla Resistenza antifascista come staffetta nel battaglione "Franco" e, a stretto contatto con un gruppo di partigiani anarchici di quella formazione, apprende le prime idee libertarie. Nato nel popolare quartiere di Porta Ticinese, dopo le scuole elementari fa il garzone e il magazziniere, ma non tralascia la passione che lo accompagnerà per tutta la sua vita: la lettura e lo studio.
Nel biennio 1954-55 viene assunto in ferrovia; frequenta un corso serale di Esperanto per poter comunicare con gli anarchici di tutto il mondo, incontra Licia Rognini che frequenta lo stesso corso, si sposano ed avranno due figlie. Negli anni cinquanta e sessanta, dopo aver impiantato una bacheca pubblica in Piazza Selinunte, nel quartiere popolare di San Siro, Pinelli (che abita nelle vicinanze) si dedica alla propaganda del pensiero libertario attraverso l'esposizione settimanale di "Umanità Nova".
Nella prima metà degli anni sessanta si costituisce un gruppo di giovani anarchici ("Gioventù Libertaria") a cui aderisce il trentacinquenne Pinelli. E' il più vecchio tra i giovani e, allo stesso tempo, il più giovane tra i pochi, vecchi anarchici che continua a frequentare: con questi ultimi nel 1965 apre una sede in uno scantinato di Viale Murillo 1, il "Sacco e Vanzetti", che diviene subito luogo di incontri e dibattiti. Qui viene organizzato alla fine del 1965 il primo incontro cittadino sul tema dell'antimilitarismo con due obiettori di coscienza, un anarchico (Della Savia) e un cattolico (Viola), che spiegano e rivendicano pubblicamente le loro motivazioni al rifiuto di indossare la divisa militare.
Quella dell'antimilitarismo è una tematica che inizia ad avere nuova linfa in Italia negli anni 1966/67, sull'onda della contestazione globale che vede i giovani di tutto il mondo scendere nelle piazze contro la guerra nel Vietnam, e in generale contro tutte le guerre. Nel nostro paese i primi sintomi di un risveglio giovanile si avvertono con i "capelloni", i Beat ed i Provos. Pinelli entra in contatto con il nuovo movimento, si trova benissimo tra questi novelli contestatori che pensano anche di fondare un giornale di strada per spiegare alla pubblica opinione le loro idee sulla società, sulla libertà, sulla necessità del pacifismo e della nonviolenza. Nasce così "Mondo Beat" e l'idea viene pianificata proprio a casa di Giuseppe Pinelli dove si riuniscono i primi tre redattori del giornale e sarà lo stesso Pinelli a ciclostilare il primo numero (numero zero) di "Mondo Beat" nella sede del "Sacco e Vanzetti", ormai divenuto punto d'incontro per i contestatori impegnati nel milanese.
Con "Gioventù Libertaria" sperimenta un circolo "Wilhelm Reich" e organizza la "Conferenza Europea della Gioventù Anarchica" nei giorni di natale del 1966, un incontro a cui partecipano diversi gruppi giovanili italiani ed europei, oltre ai Provos olandesi di cui tutta la stampa scrive per le loro azioni "provo-catorie" messe in atto ad Amsterdam. Subito dopo anche a Milano si formano alcuni gruppi Provo e vengono redatti quattro numeri di un bollettino. Sempre Pinelli è tra i promotori di un camping internazionale a Colico (luglio 1967); si attiva coi suoi giovani compagni nel tentativo di far uscire un periodico anarchico dal titolo "Il nemico dello Stato" di cui esce un solo numero ciclostilato (aprile 1967).
Dopo lo sfratto alla sede del "Sacco e Vanzetti", Pinelli ne trova un'altra, uno scantinato in Piazzale Lugano, nel quartiere operaio della Bovisa, e qui, il Primo Maggio del 1968, viene fondato il circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa". L'apertura del circolo coincide col "Maggio Francese" e il vento della nuova e più radicale contestazione arriva anche in Italia. Fioriscono numerosi gruppi anarchici in ogni città, nei quartieri, nelle fabbriche e nelle scuole. A Milano Giuseppe Pinelli inizia una nuova attività libertaria su numerosi fronti: organizza un servizio libreria, tiene aperta la sede, organizza cicli di conferenze su diversi temi. Come ferroviere ha la possibilità di viaggiare gratis e questo gli permette di tenere contatti diretti con gli anarchici del centro-nord, senza differenze di appartenenza specifica, pur presente nel variegato mondo libertario. Si impegna in campo sindacale sia con i CUB (Comitati Unitari di Base) che stanno sorgendo in diverse importanti fabbriche di Milano, che con l'USI (Unione Sindacale Italiana), aprendo una delle due sezioni di Milano presso il circolo di Piazzale Lugano (l'altra sezione USI è organizzata da giovani anarchici presso la Casa dello studente e del lavoratore in Piazza Fontana, così ribattezzata dopo l'occupazione dell'Hotel Commercio. La costituzione di una sezione Usi-Bovisa ha lo scopo di stimolare e appoggiare criticamente le forme di azione diretta che i lavoratori stanno riscoprendo nella radicalizzazione delle lotte. Grazie all'attività di Pinelli, e sull'onda delle lotte radicali degli operai, nell'autunno 1969 il Cub-Tramvieri tiene le proprie riunioni nella sede dell'Usi-Bovisa.
La crescita tumultuosa dell'anarchismo milanese vede Pinelli di buon mattino davanti alle fabbriche e alle scuole a volantinare, affiggere manifesti serigrafati (collaborando sia alla stesura che alla serigrafia dei manifesti), diffondere la stampa anarchica e i documenti prodotti dai compagni. C'è, però, bisogno di altri spazi collettivi ed è così che si adopera a cercare un'altra sede per i gruppi in crescita, contribuendo all'apertura del circolo anarchico di Via Scaldasole nel vecchio quartiere Ticinese.
Nel 1969 inizia la stagione della strategia della tensione e lo Stato, attraverso la questura e il suo ufficio politico, tenta di addebitare agli anarchici le bombe del 25 Aprile a Milano arrestando sette anarchici: inizia in questo modo la campagna di criminalizzazione che si rinnova in agosto dello stesso anno con gli attentati sui treni e addebitati sempre agli anarchici. Ora l'impegno è quello di organizzare gli aiuti, la solidarietà concreta ai numerosi anarchici incarcerati. Viene creata la Crocenera Anarchica, inizialmente con lo scopo di diffondere informazione sulla repressione antianarchica nel mondo e organizzare l'aiuto alle vittime libertarie del fascismo spagnolo: vengono diffuse notizie sull'attività rivoluzionaria in Spagna e che superano la censura fascista, vengono raccolti fondi per aiutare gli incarcerati dalla dittatura franchista, vengono inviati pacchi di medicinali, aiuti in denaro e si sostengono spese per gli avvocati.
L'evoluzione della situazione italiana obbliga la Crocenera Anarchica ad intervenire in favore delle vittime della repressione in Italia, organizzando la difesa legale e politica per gli arrestati dal 25 aprile in poi e facendo controinformazione sulla manovra di provocazione/repressione: manovra puntualmente documentata e denunciata sui quattro numeri dell'omonimo bollettino usciti tra aprile e dicembre 1969. E' sempre Pinelli tra i promotori degli aiuti e dell'assistenza medico-legale agli anarchici arrestati, è lui che chiede un obolo nelle manifestazioni della sinistra extraparlamentare e a tutti quelli con cui entra in contatto. Dà inizio alla raccolta di firme di protesta a sostegno degli scioperi della fame intrapresi dagli anarchici sulle scalinate del Palazzo di Giustizia di Milano e poi davanti alla vicina sede della Cgil, è il promotore di ogni interpellanza parlamentare partita da Milano in difesa del movimento anarchico e delle libertà democratiche di tutti, indistintamente, i cittadini.
Diventa l'anarchico più conosciuto dalla Questura di Milano: è lui che chiede le autorizzazioni per le diverse iniziative o che viene convocato in Questura dal commissario Luigi Calabresi, lo stesso che nel pomeriggio del 12 dicembre, subito dopo la strage di Piazza Fontana, si presenterà al circolo di Via Scaldasole per invitare Pinelli a recarsi in Questura: senza problemi Pinelli prende il suo motorino e segue l'auto della polizia. L'ultimo viaggio prima di morire!
Giuseppe Pinelli, oltre ad essere un anarchico, è un nonviolento. "…L'anarchismo non è violenza, la rigettiamo, ma non vogliamo subirla. L'anarchismo è ragionamento e responsabilità…", scrive in una lettera ad un giovane compagno detenuto. E questo concetto della nonviolenza, che fa parte della personalità di Pinelli, lo testimonia anche un obiettore di coscienza cattolico, suo amico. Pinelli conosceva bene i movimenti e i gruppi che si ispiravano alla nonviolenza, il suo ideale era che diventasse strumento di azione politica e l'obiezione di coscienza uno stile di vita, un impegno sociale permanente.
Pinelli era comunicativo, dotato di un'inesauribile carica umana, cercava contatti con tutti, fuori e dentro il movimento, autodidatta cercava nella lettura la conoscenza e il sapere; "lui, ateo, aiutava i cristiani a credere" e lo possono testimoniare molti cattolici che l'hanno conosciuto; era interessato a quei nuovi movimenti di base che in quel periodo si sono moltiplicati nel paese e hanno contestato la gerarchia ecclesiastica, come era interessato alle innovative tesi di don Lorenzo Milani. Dava un aiuto a tutti e si fidava di tutti con una grande dose di ingenuità. Per i suoi legami giovanili con un vecchio anarchico (Rossini) cresce col mito dell'anarchia rigeneratrice, della giustizia, della libertà. Aveva un religioso rispetto per le idee degli altri ed era anche un moralista: non voleva sentir parlare di droghe e si inquietava se qualcuno faceva del sesso l'unico misuratore della realtà. Non si esibiva, non aveva barbe, collari o patacche addosso. Vestiva sempre un po' trasandato, non certo per moda. Ha scritto di lui Pier Carlo Masini: "Aveva la pelle scura, la pelle scura dei ferrovieri che assorbono nei pori il pulviscolo di carbone. Era un semplice lavoratore del braccio con alcune idee nel cervello". Amante della cultura, dei libri, delle conferenze, dei dibattiti, dei gruppi di studio, e allo stesso tempo era assente, in lui, ogni forma di fanatismo.
Ha intrattenuto rapporti politici e di amicizia con anarchici di diverse tendenze, con gruppi consiliari o con chi (specie nel 68/69) non si riconosceva minimamente (dal punto di vista politico) col raggruppamento in cui lui militava. Ricercava un legame tra il vecchio e il nuovo movimento ed è indicativo che, contemporaneamente alla militanza nel gruppo "Ponte della Ghisolfa", abbia aderito formalmente con una lettera di adesione ai Gruppi di Iniziativa Anarchica (GIA). Allo stesso tempo, in un comunicato apparso su "Umanità Nova" ed a firma di Giuseppe Pinelli come riferimento per i contatti, dà vita ad una costituenda Federazione Anarchica Milanese.
Ha scritto di lui Adriano Sofri: "Pino Pinelli era quel che si dice un uomo normale". E subito ha aggiunto: "Ammesso, naturalmente, che si possa applicare un aggettivo così impegnativo a un anarchico. Era dunque anarchico, e normale".

Giuseppe Pinelli: un assassinio di Stato

"Noi accusiamo la polizia di essere responsabile della morte di Giuseppe Pinelli, arrestato violando per ben due volte gli stessi regolamenti del codice fascista. Accusiamo il questore e i dirigenti della polizia di Milano di aver dichiarato alla stampa che il suicidio di Pinelli era la prova della sua colpevolezza, e di aver volontariamente nascosto il suo alibi dichiarando che "era caduto".
Gli stessi inquisitori hanno dichiarato di non aver redatto alcun verbale edi interrogatorio di Pinelli, pertanto ogni eventuale verbale che venisse in seguito tirato fuori è da considerarsi falso.
Accusiamo la polizia italiana di aver deliberatamente impedito che l'inchiesta si svolgesse sotto il controllo di un magistrato con la partecipazione degli avvocati della difesa.
Accusiamo i magistrati e la polizia di aver ripetutamente violato il segreto istruttorio diffondendo voci e accuse tendenti a diffamare di fronte all'opinione pubblica un uomo assolutamente innocente, ma per loro colpevole di essere anarchico.
Noi accusiamo lo Stato Italiano di cospirazione criminale nei confronti dell'anarchico Pietro Valpreda, da mesi sottoposto ad un feroce linciaggio morale e fisico, mentre le prove che gli inquirenti credono di avere contro di lui, si smantellano da sole una per una".
GLI ANARCHICI.

Con queste parole trentatre anni fa gli anarchici sintetizzavano la loro accusa nei confronti dello stato e dei suoi apparati, la cui natura intrinsecamente criminale e violenta appariva evidente.
Pur di mantenere intatto il proprio dominio i potenti ricorrono alla strage, all'omicidio, alla diffamazione delle loro stesse vittime, ma nel compiere questi crimini essi fanno cadere la maschera di giustizia e democrazia che quotidianamente portano per ingannarci.
È importante non dimenticare vicende come quella dell'assassinio di Giuseppe Pinelli: non per ricordare il passato, ma per capire il presente. I potenti di oggi sono quelli di ieri.




martedì 18 dicembre 2012

Culturalmente contro

La controcultura fiorisce dove e quando alcuni membri di una società scelgono stili di vita, espressioni artistiche e modi di pensare e di essere che abbracciano incondizionatamente l'antico assioma secondo cui l'unica vera costante consiste nel cambiamento in sé. Il segno distintivo della controcultura non è una particolare forma o struttura sociale, ma piuttosto l'evanescenza di forme e strutture, l'abbagliante rapidità e flessibilità con cui appaiono, mutano, si trasformano una nell'altra e poi scompaiono. Coloro che partecipano al cambiamento in modo radicale prosperano all'interno di questa zona di turbolenza. È il loro ambiente originario, dove tutto è ancora malleabile, plasmabile e riplasmabile con una velocità che sta al passo con il balenio delle loro visioni interiori. Sono esperti del flusso, ingegneri del caos, eco-ambientalisti, zapatisti occidentali che migrano seguendo il moto perpetuo del fronte d'onda del massimo cambiamento.
Nella controcultura, le strutture sociali sono spontanee e provvisorie. Coloro che partecipano alla rivoluzione culturale si uniscono costantemente per dare vita a nuove molecole, scindendosi e raggruppandosi in configurazioni adatte agli interessi del momento, come particelle che si urtano in un acceleratore di grande energia e si scambiano cariche dinamiche. In tali configurazioni, questi traggono benefici dallo scambio di idee e innovazioni attraverso un feedback veloce in piccoli gruppi, producendo una sinergia che permette ai loro pensieri e alle loro visioni di crescere e mutare quasi nello stesso istante in cui vengono formulati.
La neocultura non dispone di una struttura e di un comando formale. Perché, se da una parte è priva di leader, dall'altra è piena di personalità-guida, poiché tutti i partecipanti sono pieni d'inventiva e si inoltrano in territori in cui altri un giorno li seguiranno. La forza del cambiamento la si può trovare all'interno di alleanze (a volte travagliate) tra gruppi politici radicali, perfino rivoluzionari e forze insurrezionali, tanto che l'appartenenza e gli ideali di tali gruppi spesso si sovrappongono e si miscelano creando un amalgama esplosivo; dove il fulcro della neocultura radicale è il potere delle idee, delle immagini, dell'espressione artistica, del cambiamento, del ritorno alla terra e della riapropriazione della propria vita e non l'acquisizione del potere personale e politico.

sabato 15 dicembre 2012

L’anarchia di Anselme Bellegarrigue

Chi dice anarchia, dice negazione del governo;
Chi dice negazione del governo, dice affermazione del popolo;
Chi dice affermazione del popolo, dice libertà individuale;
Chi dice libertà individuale, dice sovranità di ciascuno;
Chi dice sovranità di ciascuno, dice eguaglianza;
Chi dice eguaglianza, dice solidarietà o fraternità;
Chi dice fraternità, dice ordine sociale;
Dunque chi dice anarchia, dice ordine sociale.
Al contrario:
Chi dice governo, dice negazione del popolo;
Chi dice negazione del popolo, dice affermazione dell’autorità politica;
Chi dice affermazione dell’autorità politica, dice dipendenza individuale;
Chi dice dipendenza individuale, dice supremazia di casta;
Chi dice supremazia di casta, dice disuguaglianza;
Chi dice disuguaglianza, dice antagonismo;
Chi dice antagonismo, dice guerra civile;
Dunque chi dice governo, dice guerra civile.
Non so se quanto ho appena detto sia nuovo o eccentrico, oppure spaventoso. Non lo so e nemmeno mi preoccupo di saperlo.
Ciò che so è che posso mettere liberamente in gioco i miei argomenti contro tutta la prosa del governativismo bianco e rosso passato, presente e futuro. La verità è che, su questo terreno, quello cioè di un uomo libero, estraneo all’ambizione, accanito nel suo lavoro, sdegnoso di comandare, ribelle alla sottomissione, sfido tutti gli argomenti del funzionalismo, tutti i logici dello stipendio e tutti i gazzettieri dell’imposta monarchica o repubblicana, che si chiami progressiva, proporzionale, fondiaria, capitalista, di rendita o di consumo.
Sì, l’anarchia è l’ordine; perché, il governo è la guerra civile.
L’abnegazione è schiavitù, avvilimento, abiezione; è il re, è il governo, è la tirannia, è la lotta, è la guerra civile.
L’individualismo, al contrario, è l’affrancamento, la grandezza, la nobiltà; è l’uomo, è il popolo, è la libertà, è la fraternità, è l’ordine.

lunedì 10 dicembre 2012

Se l'uomo bianco non fosse mai arrivato

Se voi uomini bianchi non foste mai arrivati, questo paese sarebbe ancora come un tempo. Tutto avrebbe conservato la purezza originaria. Voi l’avete definito selvaggio,ma non lo era. Era libero. Gli animali non sono selvaggi; sono solamente liberi. Anche noi lo eravamo prima del vostro arrivo. Voi ci avete trattati come selvaggi, ci avete chiamati barbari, incivili. Ma noi eravamo solamente liberi!
Leon Shenandoah
(Onondaga - Irochese)

domenica 9 dicembre 2012

Robert Johnson e la musica del diavolo

"Robert Johnson è il più importante musicista blues mai vissuto, la sua musica rimane il pianto più straziante che si possa riscontrare nella voce umana. [ … ] Non credo di aver mai sentito parlare di Robert Johnson, quando ho trovato un suo disco, che probabilmente era appena uscito. Avevo circa quindici o sedici anni, ed è avvenuto qualcosa in me, come uno shock, non potevo rendermi conto che ci potesse essere qualcosa di così potente. L’ho ascoltato, e mi ha scosso perché non mi sembrava fosse stato registrato per l’ascolto di tutti, non sembrava che gli interessasse il consenso di tutti. Tutta la musica che avevo sentito fino a quel momento sembrava essere strutturata in qualche modo per la registrazione e la vendita. Ciò che mi ha colpito del disco di Robert Johnson è che sembrava si trattasse di un album registrato non per la riproduzione ad un pubblico ma, non rispettando le regole di tempo o di armonia fosse stato fatto solo per gioco, come se avesse suonato solo per se stesso”.
Da «Alla scoperta di Robert Johnson» di Eric Clapton
  
Robert Johnson è uno dei più influenti musicisti del Novecento, di cui sappiamo meno di tanti trascurabili musicisti dello stesso secolo. Incerta la sua data di nascita, incertissimi i luoghi e le circostanze della morte, piena di leggenda; e pochissime le registrazioni, giusto un paio di sedute. Quel poco che si tramanda viene da superficiali testimonianze di chi gli fu compagno o asserisce di esserlo stato; bluesman come Son House, Johnny Shines, Howlin’ Wolf e Robert Lockwood jr. il resto lo hanno fatto degli studiosi della materia.
Robert Johnson nacque probabilmente l’8 maggio 1911 nel Mississippi. Era l’undicesimo figlio di Julia Major, l’unico che la donna non aveva concepito con il marito, e per questo motivo crebbe con il marchio di “bastardo”, non tollerato dal patrigno. Frequentò poco o nulla la scuola e si innamorò della musica, suonando dapprima l’armonica e poi dedicandosi più intensamente alla chitarra, ma a sentire Son House ne era completamente sprovveduto, almeno nei primi goffi tentativi in pubblico.
Il mito di Robert Johnson nasce anche dalla favolosa trasformazione di cui è stato testimone sempre Son House il quale lo ascolta infastidito quando è ragazzetto e lo ritrova due o tre anni dopo, una sera con Willie Brown si esibisce vicino Robinsonville, ha una chitarra in mano e mentre Son House è incerto se mettersi a ridere o cominciare a strapparsi i capelli, il giovane infila una serie di blues che lo lasciani senza parole.
Come è stato possibile quel cambiamento in così poco tempo? La spiegazione che molti si danno non appartiene all’ambito della musica ma a quello della magia nera. Un altro Johnson, Tommy, ha spiegato così la faccenda arcana: “Se vuoi imparare a suonare qualunque strumento ti passi per la testa e scrivere canzoni, devi prendere la chitarra e andare dove c’è un incrocio. Per essere sicuro devi andarci un po’ prima di mezzanotte. Poi prendi la chitarra e mettiti a suonare qualcosa … Allora vedrai arrivare un grande uomo nero che ti prenderà la chitarra, la accorderà, suonerà una canzone e ti restituirà lo strumento. È così che ho imparato a suonare ciò che mi pare”.
L’incrocio perfetto è quello tra la Highway 49 e la 61 a Clarksdale, Mississippi. Johnson lo evoca in un pezzo famoso Crossroads Blues, dove però non c’è Satana ma solo un povero ragazzo nero che fa l’autostop e implora Dio e liberarlo dai guai.
Robert Johnson ha una voce duttile e versatile, un mezzo ideale per cominucare le emozioni, capace di svariare per l’intera gamma dei sentimenti e degli umori. Ebbe due sole occasioni in vita sua per registrare. La prima il 23 novembre 1936 in una stanza d’albergo che fu allestita come studio provvisorio; Johnson vi registrò sedici blues suonando, secondo la leggenda, in un angolo della stanza con la faccia vicino al muro, un modo studiato per dare più forza e intensità al suono della chitarra. Altre tredici canzoni li registrò nel giugno del 1937. nel giro di poche sedute furono ricoverati undici 78 giri su etichetta Vocalion. Ventinove canzoni in tutto, ma la leggenda vuole che ne esista una trentesima, nascosta o sperduta da qualche parte del delta del Mississippi, e che molti musicisti blues, dopo la sua morte, hanno cercato invano di ritrovare.
Robert Johnson è morto nell’agosto del 1938; era stato ingaggiato per suonare in un ballo in campagna, a Three Forks e li pare fu avvelenato da un marito geloso che versò della stricnina in un bicchiere di whiskey. Niente è sicuro, né il fatale inganno né il veleno usato e men che meno il luogo in cui venne sepolto; esistono a tutt’oggi tre lapidi nei dintorni di Greenwood che localizzano i resti del bluesman in cimiteri diversi.
La figura di Robert Johnson non fu dimenticata e negli anni a venire ispirò le nuove generazioni di musicisti che sparsero i ssemi dle blues per tutto il mondo. Muddy Waters, Elmore James, Johnny Shines, Howlin’ Wolf furono tra i primi inseminatori i cui frutti vennero raccolti con maestria da gente come, Eric Capton, John Mayall, , Jimi Hendrix, Stevie Ray Vaughan o gruupi come i Cream, i Led Zeppelin, i Rolling Stones; ma soprattutto da Eric Capton che nel 2004 produsse un grandioso album ("Me and Mr Johnson") in cui il bluesman bianco reinterpretò i brani del maestro rispolverando sonorità di incredibile impatto. Grazie a loro Robert Johnson diventò uno di famiglia nella grande casa del Rock.
La Columbia continua ad avere in catalogo, dopo quasi 80 anni, le sue uniche registrazioni, 29 brani ufficiali e 13 brani prova, sistemati nel 1990 ne CD Box “Complete Recordings” e riproposte nel 2011 nel doppio “Robert Johnson: The Centennial Collection”.
E il demonio all’incrocio, at the Crossroads? Non lo abbiamo dimenticato. C’è naturalmente chi giura che fu lui a prendersi l’anima di Robert Johnson, in cambio della poca fama in vita ma poi della gloria eterna. Leggenda, certo, ma guai a liquidare tutto con leggerezza, ci sono sempre brividi nel Blues del nostro uomo. Vero o no, la vita di Robert Johnson, uno dei più grandi bluesman mai esistiti e vincitore dell'onorevole quinto posto nella lista dei 100 migliori chitarristi stilata dalla rivista Rolling Stones, difficilmente sarà dimenticata dalla storia.

“… ho delle pietre nel mio passaggio
e scuri come notte è il mio tracciato …”

Robert Johnson: Crossroads Blues

Robert Johnson: Hellhound On My Trail

Robert Johnson: Me and the Devil Blues

 

giovedì 6 dicembre 2012

ThyssenKrupp: strage capitalista


Le stragi capitaliste vengono spesso definite dai media, dolcificandone il senso, "morti bianche". Con questo termine ci si riferisce alla morte di persone avvenute sul luogo di lavoro, generalmente a causa della totale o parziale mancanza di rispetto delle più elementari norme di sicurezza. Per il capitalista investire in sicurezza significa ridurre i profitti e per questo preferisce trascurare tale aspetto, spesso con il silenzio dei sindacati e delle istituzioni.
Nella notte tra il 5-6 dicembre 2007, presso lo stabilimento di Torino della ThyssenKrupp, una vasca di olio bollente, utilizzato per il raffreddamento dei laminati, ha preso fuoco, ma mentre il gruppo degli operai cercava di spegnere le fiamme con gli estintori prima, e con le manichette poi, è stato investito da una enorme fiammata sprigionata da una tubatura d'olio ad alta pressione, che ha ceduto e l'olio nebulizzato è uscito prendendo fuoco, investendo in pieno gli operai intenti nel tentativo di domare il principio di incendio e causandone, in tempi diversi, la morte. Immediatamente il reparto è diventato un inferno.
Poiché l'impianto di Torino era in fase di dismissione, con la concentrazione dell’azienda a Terni, l’azienda ha ridotto consistentemente la manutenzione degli impianti e tralasciato di seguire le norme di sicurezza. Per questo motivo gli estintori che avrebbero dovuto spegnere i fuochi sono stati trovati in parte vuoti e per questo il gruppo di operai era in servizio da più di 4 ore rispetto al normale turno lavorativo. Per questo, Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe De Masi sono morti in una maniera così orribile.
Sono passati cinque anni dal gravissimo incidente che causò la morte dei sette operai dello stabilimento della ThyssenKrupp di Torino. Il loro ricordo, le condizioni di lavoro e lo stato di insicurezza in cui persero la vita devono essere un severo monito per tutti. In questo siamo confortati dall’operato della magistratura che ha severamente e coraggiosamente sanzionato i comportamenti dell’azienda con una storica sentenza.


THYSSENKRUPP


È stata il 6 dicembre
la notte più calda dell’anno,
un caldo bruciante
da ardere vivi.
È stata il 6 dicembre
la notte più luminosa dell’anno,
una luce accecante
una luce ustionante

THYSSENKRUPP
Un boato squarcia la notte
vite che vanno in fumo
urla disperate
speranze svanite
promesse non mantenute
non si scherza sulla pelle di chi lavora

THYSSENKRUPP
Corpi bruciati
vite spezzate
sogni infranti
Il lavoro toglie parte dell’esistenza
ma non deve togliere la vita.
Se devo morire
che non sia sul lavoro

THYSSENKRUPP
Sirene spiegate
infrangono la notte
tizzoni ardenti sulle barelle
urlano i compagni di lavoro
non c’è più niente da fare
non c’è più niente da fare
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lunedì 3 dicembre 2012

Pensare anarchico

“Nessuno stato, per quanto democratiche siano le sue forme, foss’anche la repubblica politica più rossa, popolare solo nel suo falso significato noto con il nome di rappresentanza del popolo, sarà mai in grado di dare al popolo quello che vuole, e cioè la libera organizzazione dei suoi interessi dal basso in alto, senza nessuna ingerenza, tutela o violenza dall’alto, perché ogni Stato, anche lo stato pseudo-popolare ideato dal signor Marx, non rappresenta in sostanza nient’altro che il governo della massa dall’alto in basso da parte della minoranza intellettuale, vale a dire quella più privilegiata , la quale pretende di sentire gli interessi ideali del popolo più del popolo stesso”.
Michele Bakunin

sabato 1 dicembre 2012

Un anarchico dimenticato - Nestor Makhno


Nestor Makhno nasce a Huljaj Pole nel distretto di Aleksandrovsk in Ucraina, il 27 ottobre 1889. Discendente da una famiglia di umili contadini lavora a sette anni come pastore, ad otto frequenta la scuola che lascia a dodici per mettersi al servizio dei kulaki tedeschi. Alto 1 metro e 65 centimetri è caratterizzato da una certa zoppia causata da colpi di sciabola e pallottole, una delle quali gli aveva rovinato la caviglia.
Nel 1905 aderisce alla causa rivoluzionaria ed entra nelle file degli anarchici, l’anno successivo si unisce al gruppo Huljaj Pole che fa proseliti soprattutto fra i contadini e i giovani.
Nel 1908 viene condannato a morte dalle autorità zariste ma, a causa della giovane età, la pena muta in ergastolo. In carcere stringe una solida amicizia con l’anarchico Pëtr Aršinov che lo aiuterà ad approfondire la sua cultura e ad elaborare le convinzioni anarchiche.
Nel 1917 Makhno fu rilasciato in seguito alla Rivoluzione di Febbraio e, poco dopo, ritornò a Huljaj Pole. Il lavoro di Makhno e del suo vecchio gruppo anarchico fu improntato al collegamento con le masse contadine che si organizzarono in Unioni Contadine prima e in Soviet dopo, e rifiutarono di pagare le rendite ai latifondisti. Allo stesso modo, Makhno si unì alle lotte operaie organizzando scioperi e iniziative.
La rivoluzione nella zona d'influenza di Makhno e del suo gruppo diventato ormai numeroso procedeva velocemente e ciò contribuì a fare di Huljaj Pole un centro d'attrazione per tutto il Paese. Furono realizzate collettivizzazioni della terra e furono organizzate Comuni agricole in tutte le province circostanti. Il tentativo di resistenza delle autorità centrali contro quanto stava accadendo in periferia convinse il locale soviet a creare un Comitato di salvezza della Rivoluzione presieduto dallo stesso Makhno, che iniziò a disarmare tutti i potenziali oppositori proseguendo la politica di collettivizzazione delle attività produttive.
Dopo il trattato di Brest-Litovsk firmato da Lenin che cedeva anche l'Ucraina, truppe austro-germaniche invasero il Paese e lo conquistarono in tre mesi. Gli anarchici si organizzarono in un esercito di liberazione votato alla guerriglia, mentre Makhno e una delegazione visitarono la Russia bolscevica al fine di tentare di riaprire i collegamenti e ricevere aiuto dai compagni anarchici. La delusione fu cocente: la polizia politica comunista aveva duramente colpito il movimento anarchico e la burocratizzazione era già un visibile segnale dell'autoritarismo del nuovo regime. Makhno ebbe inoltre un casuale incontro con Lenin nel quale la differente visione della società tra anarchici e bolscevichi apparve con tutta la sua evidenza.Macnho ritornò poi in Ucraina in modo rocambolesco e rischiando di essere ucciso e, infine, fu arrestato dagli austro-tedeschi in possesso di materiale propagandistico. Fu liberato grazie al pagamento di una cauzione d'importo rilevante raccolta dai suoi compagni. Dal 1918 al 1921, Makhno fu il leader del movimento di resistenza ucraino contro tutti gli oppressori austro-tedeschi, bianchi e bolscevichi. Il movimento crebbe enormemente e conseguì numerose e importanti vittorie, ma fu infine sconfitto dall'Armata Rossa.
Fu esiliato a Parigi, dove continuò l'attività politica in condizioni di vita molto umilianti, dove entrò a far parte del gruppo anarchico Delo Truda (Дело Труда, La Causa del Lavoro), e rimase anarchico fino alla morte per tubercolosi, avvenuta nel 1934. Le sue ceneri riposano nel cimitero di Père Lachaise.