..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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mercoledì 27 gennaio 2016

Come strumento dei proletari coscienti per la critica di ogni ideologia presente

La pratica rivoluzionaria deve spazzare via ogni residuo ideologico e mitico che il mercato culturale e il conservatorismo del PCI, dei sindacati e dei loro alleati tentano di opporre come ultimo baluardo di fronte all’inevitabilità della loro scomparsa voluta dalla feccia proletaria emergente dalla società di classe. I “contestatori” della cosiddetta sinistra extraparlamentare sono i tristi epigoni dei fallimenti storici del movimento operaio ed impiegano ogni arte magico-ideologica per mettere le briglie all’onda rivoluzionaria e assicurarsi la gestione burocratica del futuro assetto sociale.
Acheronte intende essere l’espressione del minimo di coerenza finora raggiunto dai proletari organizzati soggettivamente e il massimo di spietatezza nei confronti dei falsi rivoluzionari.
Acheronte, organo dell’Organizzazione Consiliare, intende praticare il massimo di settarismo nei confronti dei nemici - dichiarati ed occulti – del proletariato moderno e, nel contempo, il massimo di apertura dialettica nei confronti dei sinceri rivoluzionari già in marcia verso la critica pratica della società presente, per l’instaurazione del potere assoluto dei Consigli Proletari.
La moderna teoria proletaria ci distingue no solo da coloro che vaneggiano sul Partito, vecchio o nuovo,ma anche da coloro i quali, riproponendo la logora tematica dei consigli operai, contrabbandano per novità le sconfitte storiche del proletariato, non rendendosi conto che solo l’autogestione generalizzata porterà alla distruzione pratica degli operai in quanto classe separata, per la realizzazione della felicità idonea al capovolgimento della sopravvivenza socializzata.


(ACHERONTE numero due, Ciclostilato in proprio Torino, 17/3/1971)

martedì 26 gennaio 2016

Il morbo del sindacalismo

Ogni movimento incontrollato in cui, per quanto embrionalmente, una critica sociale e culturale venga abbozzata, prova immediatamente il bisogno di definire un nuovo campo di significati e di affermare una nuova verità, ma il discorso del potere si installa nel cuore di ogni comunicazione, diventa la mediazione onnipresente e necessaria e riesce così a infiltrare, controllandolo dall’interno, ciò che lo contesta.
E così il sindacato diventa la malattia paralizzante e mortale che colpisce un movimento di base fra i lavoratori allorché questo cessa di discutere senza intermediari tutto ciò che è discutibile, e di agire di conseguenza.
Il morbo raggiunge la virulenza in particolare allorché un simile movimento si rassegna ad abbandonare all’arbitrio del datore di lavoro – altrimenti detto leggi dell’economia – la definizione del contenuto e degli scopi della propria attività per ridursi a contrattarne il prezzo, l’orario e le condizioni esterne in genere (e, anche queste, più di diritto che di fatto). Sintomi evidenti del progredire della malattia sono, ad esempio: omettere, nel corso delle riunioni, di parlare per fare piuttosto degli interventi; preoccuparsi di dire, al posto di ciò che si vive e si pensa, ciò che ci si immagina viva e pensi il lavoratore medio; accettare che qualcuno pretenda di parlare a nome di altri da cui non abbia ricevuto un mandato imperativo, revocabile e verificabile; guardarsi bene dal porre avanti, nel movimento, le contraddizioni sociali ed umane di fondo che si vivono sulla propria pelle, tacendo, per giocare il gioco degli interessi, tutto ciò che a prima vista non sembra immediatamente passibile di soluzioni concrete; introiettare il principio del rispetto di tutte le compatibilità con ogni esigenza esistente eccetto che con le proprie.

domenica 17 gennaio 2016

Da “Le ali della libertà”

O fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire.
Io ho scelto di vivere e per la seconda volta in vita mia ho commesso un crimine.
Ho violato la libertà condizionata, non credo che metteranno dei posti di blocco per questo, non per un vecchio come me [...]
Sono così eccitato che non riesco a stare seduto, né a concentrarmi su qualcosa..
credo che sia un’emozione che solo un uomo libero può provare..
un uomo libero all’inizio di un lungo viaggio la cui conclusione è incerta..
spero di farcela ad attraversare il confine..
spero di incontrare il mio amico e stringergli la mano..
spero che il pacifico sia azzurro come nei miei sogni.
Spero.

sabato 16 gennaio 2016

L'obbedienza è morte

L'obbedienza è morte. Ogni istante in cui l'uomo si sottomette ad una volontà esterna, è un istante estirpato dalla sua vita. Quando un individuo è obbligato a compiere un atto contrario al suo desiderio o quando è gli viene impedito d'agire in funzione del suo bisogno, egli smette di vivere la sua vita personale e, se da un lato colui che comanda aumenta il suo potere nutrendosi della forza di colui che è sottomesso, colui che obbedisce viene annullato, assorbito da una personalità esterna; diventa nient'altro che forza meccanica, strumento a disposizione di un padrone. Quando si parla dell'autorità esercitata da un uomo su altri uomini, da un sovrano sui sudditi, da un padrone sugli operai, da un proprietario sui propri lavoratori domestici, si capisce immediatamente che egli impiega la vita dei propri sottomessi per la soddisfazione dei propri piaceri, dei propri bisogni, dei propri interessi: cioè a suo vantaggio, a favore dello sviluppo della propria vita a discapito degli altri. Ciò che in genere si riesce a cogliere in maniera meno chiara, è l'influenza nefasta delle autorità d'ordine astratto: le idee, i miti religiosi e non religiosi, le tradizioni, gli usi e costumi, ecc. qualunque manifestazione esterna dell'autorità ha sempre e comunque origine in un'autorità mentale.
Nessun tipo d'autorità materiale, legata a leggi o individui, trova attualmente forza e ragione in sé stessa. Nessun tipo d'autorità materiale si esercita realmente da sé, tutto si basa su delle idee.
Poiché l'uomo si curva in primis davanti alle idee, riesce ad accettarne in seguito la realizzazione tangibile delle diverse forme del principio d'autorità.
L'obbedienza è composta da due fasi distinte: si obbedisce perché non si può fare altrimenti; si obbedisce perché si crede che bisogna obbedire.
Nel momento in cui un organismo si costituisce, tutte le sue forze tendono verso un unico fine: conservare la sua esistenza personale alimentandola e difendendola contro qualsiasi tipo di influenza in grado di distruggerla o sminuirla.
In natura tutti gli esseri si sforzano verso la vita; tutti ricercano, secondo le proprie facoltà, il godimento ottenuto dalla soddisfazione del bisogno; tutti gli esseri fuggono dalla sofferenza, dalla privazione che è restrizione, diminuzione della vita. La vita universale ci appare come prodotta dal movimento incessante delle individualità molecolari che si aggregano secondo la loro composizione e gli ambienti che incontrano. Allo stesso modo l'uomo cosciente si unirebbe ai suoi simili secondo i suoi bisogni e le associazioni umane si formerebbero, dissolverebbero e riformerebbero seguendo solo la manifesta utilità.
Se la scienza non ci mostra nessuna traccia di governabilità dell'universo, perché immaginare che solo l'uomo debba fare eccezione? Non sarebbe invece più saggio concludere che, liberato da tutti gli ostacoli, egli si comporterebbe come tutti i corpi esistenti in natura: seguendo la legge propria che è in lui, non come un comando proveniente da un'autorità esterna, ma come una necessità del suo essere. 

mercoledì 13 gennaio 2016

Il rifiuto del lavoro di Nietzsche

Nell’esaltazione del lavoro, negli instancabili discorsi sulla benedizioni del lavoro, vedo la stessa riposta intenzione che si nasconde nella lode alle azioni impersonali di comune utilità: la paura, cioè, di ogni realtà individuale. In fondo, alla vista del lavoro e con ciò si intende sempre quella faticosa operosità che dura dal mattino alla sera, si sente oggi che il lavoro come tale costituisce la migliore polizia, che tiene ciascuno a freno e riesce a ostacolare validamente il potenziarsi della ragione, dei desideri, del gusto dell’indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità d’energia nervosa e la sottrae al riflettere, al meditare, al sognare, al preoccuparsi, all’amore e all’odiare. Esso pone costantemente sott’occhio un meschino obiettivo e procura facili e regolari appagamenti. Così una società in cui di continuo si lavora duramente, avrà maggior sicurezza: e si adora oggi la sicurezza come la divinità somma. E ora! Orribile! Proprio il “lavoratore” si è fatto pericoloso! Gli individui pericolosi brulicano! E dietro a essi, il pericolo dei pericoli – l’individuum! -

sabato 9 gennaio 2016

Non esistono lavori separati o separabili

La capacità professionale di un individuo è il frutto dei suoi studi. È però anche il prodotto di una società che gli ha permesso, con i libri e con i saperi che gli ha trasmesso, di diventare capace di far certe cose; una società che ha dedicato risorse, energie, tempo, spazi alla sua formazione. Il suo impegno senza tutto ciò non sarebbe stato sufficiente a farne quello che è diventato; viceversa la cura della società non sarebbe bastata senza i suoi sforzi personali.
Ciascun individuo si dedicava a qualcosa, mentre il nostro uomo si applicava nello studio, tutti gli altri individui lavoravano, producevano, si impegnavano in attività diverse, ma altrettanto importanti. Se lui mangiava, si vestiva, viaggiava, leggeva, era perché altre decine di individui producevano i prodotti che consumava, tessevano e cucivano i vestiti che indossa, costruivano, guidavano i veicoli che lo trasportavano, scrivevano, stampavano, rilegavano i libri su cui lui studiava … e così via. Dietro il merito di uno c’è il merito di tutti; questo è il senso di una comunità, di una società.
Il fatto che egli abbia raggiunto un certo grado di professionalità e sia entrato nel mondo del lavoro non può rappresentare un fattore di distacco da questo contesto, semmai è il momento in cui egli comincia a restituire parte di quanto ricevuto sotto i più svariati aspetti. È difficile dire che il pastore che accudisce le sue pecore per ricavarne latte e lana svolga una professione meno importante del professore che beve latte e indossa maglioni di lana, o che il lavoro dell’artigiano costruttore di borse , di scarpe sia meno dignitoso e meritevole dell’attività dello studente che riempie una di quelle borse con i libri sui quali studia o del lavoro di un ingegnere, del chirurgo che indossa quelle scarpe per andare a lavorare.
Non c’è nulla nella società che non sia il prodotto di tante attività umane. Ma la nostra coscienza è stata così violentata che ci è difficile guardare dentro le cose che ci circondano, pensarle come l’aspetto finale di una serie più o meno lunga e laboriosa di attività.
Per questi motivi ritengo che un primario di ospedale, un chirurgo, un ingegnere, un amministratore delegato, un imprenditore guadagnino tanto denaro in un anno che ad una persona non basterebbero dieci vite per guadagnare altrettanto. Questo non solo è un fatto assurdo di per sé in quanto è ingiusto concedere ad una sola persona beni e privilegi che egli non potrà mai consumare nella sua intera vita, soprattutto è umiliane per tutti coloro che trascorrono i loro anni migliori piegati su un campo, rinchiusi in una fabbrica o arrampicati su di una impalcatura a sgobbare, per portare a casa un salario che serve a malapena per tirare avanti un altro mese in vista del successivo salario.
E per tornare al primario, al chirurgo di prima che oggi viene lautamente gratificato, cosa sarebbe tutta la sua bravura senza gli operai che hanno costruito i macchinari su cui lavora e dei tecnici che li hanno progettati, di quelli che li hanno istallati, degli infermieri che lavorano con lui, senza il lavoro dell’addetto alle pulizie, che rende sterile e igienicamente sano quell’ambiente, senza gli analisti, gli anestesisti, gli elettricisti, gli idraulici .. anche perché ognuno di questi a sua volta ha bisogno di persone che svolgono altri lavori: dal panettiere al calzolaio, dal contadino all’operaio, dall’insegnante al muratore, dal netturbino al medico, dall’autista di mezzi pubblici al pescatore. Ognuno è debitore sempre verso qualcun altro, non esistono lavori separati o separabili.
La divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e la gerarchia di valori che oggi assegna ad ognuna di queste attività una posizione differente nella scala sociale è il frutto della dissennata politica che tende a dividere gli individui, a perpetuare la divisione in classi, ad affidare privilegi agli uni e compiti gravosi ed umilianti ad altri al fine di garantire lo sfruttamento umano.
Solo l’abolizione della divisione tra queste due forme di lavoro e della proprietà privata, insieme ad un decentramento della produzione, delle attività e delle decisioni, che permettono il coinvolgimento della comunità delle scelte di fondo che la riguardano, all’equa divisione tra tutti gli esseri viventi della ricchezza mondiale, possono gettare le basi per l’instaurazione di una società egualitaria in cui il lavoro diverrà l’esercizio di una attività bella ed interessante.

lunedì 4 gennaio 2016

To be blue: Essere triste

 “Ho incontrato il Blues che camminava come un uomo e l’ho preso per mano”
Robert Johnson

Se vogliamo paragonare il Blues ad un albero, possiamo senza dubbio dire che le sue radici sono state estirpate dalla terra d’Africa e trapiantate in America.
L’Africa è la grande madre, la terra d’origine di una cultura che suo malgrado è stata costretta a migrare e rigenerarsi tra visi e tradizioni che non le appartengono. Il Blues, infatti, è un lungo percorso iniziato con il primo sbarco di una nave negriera. Sbarco avvenuto in terra americana e conclusosi, tra mille drammatiche vicende, nel suono delle corde di una chitarra. I quattrocento anni che separano questi due eventi sono la storia della formazione di un nuovo individuo di genoma africano, ma di formazione culturale legate al nuovo mondo: il nero americano, una specie di ibrido che scopre nel Blues il primo progetto autonomo mai concepito.
Tutto ciò che si è ereditato per via genetica non può sparire, ma si può imparare a coniugarlo con altre forme che ne permettano la sopravvivenza. Così agli schiavi delle grandi piantagioni non è rimasto altro da fare che inventarsi un nuovo modo di essere e di vivere, con la mente volta verso gli spazi liberi della savana e, nello sguardo, quelli altrettanto vasti ma costretti delle grandi monoculture. Ed in questi campi di lavoro, dove era anche difficile comunicare, nasce la musica Blues.
- Il Blues è l’avventura del nero americano che cerca di scuotersi di dosso la schiavitù, che cerca una diversa identità.
- Il Blues è figlio dei canti di lavoro, attraverso i quali il nero americano mette a punto una forma musicale autoctona e strutturata che lo identificherà culturalmente. Africa e America si fondono definitivamente in una stretta non più scindibile.
- Il Blues è una musica in grado di esprimere la sofferenza e la problematicità esistenziale di qualsiasi generazione presente o futura.
- Il Blues narra la storia di uomini e donne che hanno trovato in questa musica un modo di esprimere le proprie ansie e le proprie pene in una terra straniera, lontana da quella da cui provengono i loro avi e i profumi delle loro tradizioni.
- Il Blues è un processo intimo che raccoglie in se rabbia e preoccupazioni, ma anche dolcezza infinita e l’ultima convinzione di potercela fare.
- Il Blues è uno stato d’animo e come tale mutevole, cangiante a seconda delle situazioni che capitano e che bisogna affrontare.
- Il Blues non è solo tristezza, è anche contrapposizione, piacere della trasgressione e dell’ironia con cui il nero si fa beffa dell’uomo bianco giocando sul suo stesso terreno.
- Il Blues non è un fenomeno aleatorio o legato ad un periodo storico particolare, esso continua a rappresentare una lunga sintesi di esperienze di vita inevitabilmente destinate a ripetersi all’infinito perchè intimamente collegate all’animo umano e dunque universali.
- Il Blues è anche una grande metafora per rappresentare la natura dell’uomo, sempre alla ricerca del bene e sempre pronto ad inciampare nel male. Così nel Blues convivono il sacro e il profano, sempre apparentemente bipolari, ma in realtà completamente separati.
- Il Blues parla dell’abbandono della donna amata, della perdita al gioco, dei licenziamenti, delle angosce nei penitenziari; sempre e comunque di fatti che accadono in un ambiente in qualche modo degradato.
- Il Blues è soprattutto uno stato d’animo, l’espressione della propria interiorità, che poi è un bisogno universale e come tale non ha tempo.
- Il Blues più genuino è quello che viene espresso nella sua forma più sintetica, ridotta alla voce e ad un solo strumento, o addirittura ad un oggetto da cui si può, in qualche maniera, trarre un suono.
- Il Blues è stata la base del Rhythm and Blues, del Soul, del Rock’n’Roll, del Funky, del Rap, ma lo sarà sicuramente ancora per chissà quante altre espressioni musicali che nasceranno negli anni a venire.
Ogni situazione di difficoltà è una canzone Blues che attende di essere scritta.

BESSIE SMITH: In the house of Blues
Sitting in the house with everything on my mind
Looking at the clock and can’t even tell the time
Walking to my window and looking out of my door
Wishing that my man wold come home once more
Can’t eat, can’t sleep, can’t weak. I can walk the floor
Feel like calling murder let the police squad get me once more
They woke my up before day trouble on my mind

Wringing my hands and screaming, walking the floor holl’ing and crying
Catch ‘em don’t let them Blues here
 They take me in my bed can’t sit down in my chair

Oh, the Blues is got me on the go
They rolled around my house, in and out of my front door
Me ne sto seduta in casa con tante cose per la testa
 Guardo l’orologio e non riesco a leggere nemmeno l’ora
Vado alla finestra e guardo fuori dalla porta
 Vorrei che il mio uomo tornasse a casa un’altra volta
 Non riesco a mangiare, non riesco a dormire, sono così debole che non riesco ad attraversare la stanza
Mi sento di gridare all’assassino, di farmi prendere un’altra volta dalla polizia
Mi hanno svegliato prima dell’alba mentre avevo l’animo tormentato
Mi torcevo le mani e gridavo, camminavo per la stanza, urlavo e piangevo
Prendeteli, non lasciateli entrare qui dentro, quei Blues
Mi fanno rigirare nel letto, non riesco a sedermi sulla sedia
Oh, i Blues mi hanno messo la frenesia addosso
Hanno girato intorno alla mia casa entrando e uscendo dalla porta principale