..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 25 ottobre 2016

Perchè luddisti

I luddisti combatterono un tipo di macchine che contenevano un modo di produzione ingiusto non solo verso di loro, ma verso tutti gli altri popoli e la natura. In questo senso furono l’unico movimento popolare che avesse colto il problema morale del processo industriale ai suoi albori. Invece, l’intera sinistra politica, abbracciando di fatto la fede nella neutralità della tecnologia industriale, contribuì a radicare nella mentalità moderna l’illusione che l’unica soluzione alle ingiustizie della nuova economia era la ridistribuzione del plusvalore prodotto dalle macchine con l’aumento dei salari e la sicurezza sociale. Ciò favorì ancor più lo sviluppo della logica industriale provocando l’automazione e il trasferimento dello sfruttamento degli operai nei paesi più ricchi alla natura e ai paesi più poveri che possiedono le materie prime e la manodopera disposta a lavorare per salari dieci volte più bassi (non solo per la minore sindacalizzazione, ma anche per il cambio favorevole e per la presenza di un vasto mondo rurale su cui scaricare i costi, che nei Paesi industriali sono a carico dei singoli e dello Stato).
I luddisti si opposero a un tipo di disoccupazione nuovo a livello di massa, per i non schiavi: la possibile mancanza di lavoro salariato senza più accesso alle fonti essenziali della sopravvivenza. La civiltà europea, rappresentata dai villaggi di tessitori del Lancashire, coincideva con una società capace di resistere alle crisi dell’arte della lana e del cotone: le comunità contenevano molti mestieri e le loro strutture territoriali, come le antiche città murate, potevano dar da vivere ai suoi abitanti per lunghi periodi di difficoltà economiche. All'operaio della fabbrica fu da allora sottratto ogni elemento dell’ambiente domestico; sua moglie, costretta al lavoro salariato, non fu più in grado di adempiere nemmeno ad una elementare funzione dell’autonomia di sussistenza: l’allattamento.
Le politiche economiche che, hanno creduto nella possibilità di una giustizia sociale tramite la distribuzione della ricchezza prodotta dalle tecnologie industriali, sono inciampate nella loro incapacità ad esprimere un progresso in cui il lavoro riprendesse il sopravvento sul capitale e ritrovasse quella libertà e dignità autonoma, che le economie artigiane e contadine di sussistenza gli avevano impresso prima della devastazione sociale introdotta dall'industria.

giovedì 20 ottobre 2016

Da una lettera di Èmile Henry al direttore della Conciergerie (Palazzo di Giustizia)

27 febbraio 1894
Signor Direttore
Durante la visita che mi avete fatto nella mia cella domenica 18 corrente, avete avuto con me una discussione, del tutto amichevole sulle idee anarchiche.
Siete stato molto stupito, mi avete detto di conoscere le nostre teorie sotto un aspetto nuovo per voi, e mi avete chiesto di riassumervi per iscritto la nostra conversazione, per conoscere bene ciò che vogliono i nostri compagni anarchici.
[…]
Su quali basi poggia la società borghese? Fatta astrazione dai principi di famiglia, patria e religione, che non sono altro che dei corollari, possiamo affermare che le due pietre di volta, i due principi fondamentali dello stato attuale sono l'autorità e la proprietà.
Tutti i mali di cui soffriamo derivano dalla proprietà e dall'autorità.
La miseria, il furto, il crimine, la prostituzione, le guerre, le rivoluzioni, non sono altro che risultanti di questi due principi.
Dunque, essendo cattive le due basi della società, non c’è da esitare. Non bisogna sperimentare un mucchio di palleativi (cioè il socialismo) che servono solo a spostare il male; bisogna distruggere i due germi viziati ed estirparli dalla vita sociale.
Per questo noi anarchici vogliamo sostituire alla proprietà individuale il Comunismo, e la libertà all'autorità.
Quindi, niente più titoli di possesso, né titoli di dominazione: eguaglianza assoluta.
Quando noi diciamo eguaglianza assoluta non pretendiamo che tutti uomini avranno una stessa mente, una stessa organizzazione fisica, sappiamo molto bene che ci sarà sempre la più grande diversità fra le attitudini cerebrali e corporali. Ed è proprio questa varietà di capacità che realizzerà la produzione di tutto ciò che è necessario all'umanità, e su di essa noi contiamo per mantenere l'emulazione in una società anarchica.
Ci saranno ingegneri e sterratori, questo è evidente, ma senza che uno abbia la minima superiorità sull’altro; poiché il lavoro dell’ingegnere non servirebbe a niente senza il concorso dello sterratore, e viceversa.
Dal momento che ciascuno sarà libero di scegliere il mestiere che vorrà esercitare ci saranno solo esseri obbedienti, senza costrizione, alle tendenze che la natura ha posto in loro (garanzia di buona produzione).
Qui si pone un problema. E i pigri? Ognuno vorrà lavorare? Noi rispondiamo: si, ognuno vorrà lavorare, ed ecco il perché.
Oggi la media della giornata lavorativa è di 10 ore.
Molti operai sono occupati con lavori assolutamente inutili alla società, in particolare agli armamenti militari di terra e di mare. Altri ancora sono colpiti dalla disoccupazione. Aggiungete a ciò che un considerevole numero di uomini validi non producono niente: soldati, preti, poliziotti, magistrati, funzionari, ecc. Si può dunque affermare, senza essere tacciati di esagerazione, che su 100 individui capaci di produrre un lavoro qualunque, solo 50 forniscono uno sforzo veramente utile alla società. Sono quei cinquanta che producono tutta la ricchezza sociale.
Da qui la deduzione che se tutti lavorassero, la giornata lavorativa, invece di essere di 10 ore, scenderebbe a 5 ore soltanto.
Consideriamo  inoltre che, allo stato attuale, il totale dei prodotti manufatturati e quattro volte più considerevole e il totale dei prodotti agricoli è tre volte più considerevole della quantità necessaria ai bisogni dell'umanità; vale a dire che una umanità tre volte più numerosa sarebbe vestita, alloggiata, riscaldata, nutrita, in una parola avrebbe la soddisfazione di tutti i suoi bisogni, se lo spreco ed altre molteplici cause non distruggessero questa sovrapproduzione.
Da quanto precede, possiamo trarre la seguente conclusione: una società in cui ognuno collaborasse al lavoro comune, ce che si contentasse di una produzione che non superi enormemente il suo consumo (dovendo l'eccesso della prima sul secondo costituire una piccola riserva) dovrebbe chiedere a ciascuno dei suoi membri validi solo uno sforzo di due o tre ore, forse anche meno.
A quel punto, chi si rifiuterebbe di prestare una quantità di lavoro cosi piccola? Chi vorrebbe vivere con questa vergogna di essere disprezzato da tutti e considerato un parassita?
(...) L'autorità e la proprietà marciano sempre insieme, si sostengono l'un l'altra, per tenere schiava l’umanità!
Che cos'è il diritto di proprietà? È un diritto naturale? No, la Natura, creandoci, ci fece con degli organismi simili, e uno stomaco di manovale esige le stesse soddisfazioni di uno stomaco di finanziere.
E tuttavia, oggi, una classe si è accaparrata tutto, rubando all'altra classe non solo il pane del corpo, ma anche il pane dello spirito.
Si, in un secolo che chiamano di progresso e di scienza, non è doloroso pensare che milioni di intelligenze, avide di sapere si trovano nell’impossibilità di sbocciare? Che i figli del popolo. che sarebbero potuti diventare uomini di alto valore, utili all'umanità, non sapranno mai altro che alcune nozioni indispensabili che inculca loro la scuola primaria!
La proprietà, ecco il nemico della felicità umana, poichè essa crea l'ineguaglianza e di conseguenza l'odio, l’invidia, la rivolta sanguinosa.
L’autorità non è che la sanzione della proprietà. Essa inette la forza al servizio della spogliazione.
Ebbene! Poiché il lavoro è un bisogno naturale, converrete con me, Signore, che nessuno si sottrarrà alla richiesta di uno sforzo minimo come quello di cui abbiamo parlato sopra.
Vedete bene, Signore che non sarà necessario ricorrere ad alcuna legge per evitare i parassiti.
Se, per un caso straordinario, qualcuno volesse tuttavia rifiutare di aiutare i suoi fratelli, sarebbe sempre meno costoso nutrire questo disgraziato, che non può essere che un malato, che mantenere legislatori, magistrati, poliziotti e guardiaciurme per domarlo.
Molti altri problemi si pongono, ma essi sono di ordine secondario; l'importante era di stabilire che la soppressione della proprietà, l'espropriazione, non porterebbe ad un arresto della produzione in seguito allo sviluppo della pigrizia, e che la società anarchica saprebbe nutrirsi e soddisfare tutti i suoi bisogni.
Tutte le altre obiezioni che si potrebbero sollevare saranno facilmente confutate ispirandosi all'idea che un ambiente anarchico svilupperà in ciascuno dei suoi membri la solidarietà e l'amore per i suoi simili, poiché l’uomo saprà che, lavorando per gli altri, lavorerà allo stesso tempo per sé.
Un'obiezione che “apparentemente sembra più fondata è questa: se non esiste più alcuna autorità, se non c'è più la paura del gendarme a fermare la mano dei criminali, non rischiamo di vedere i delitti e i crimini moltiplicarsi in proporzione spaventosa?
La risposta è facile. Noi possiamo classificare i crimini che si commettono oggi in due categorie principali: crimini di interesse e crimini passionali.
l primi scompariranno da se poiché non ci sarà più ragione per questi delitti, attentati alla proprietà, in un ambiente che ha soppresso la proprietà.
Quanto ai secondi, nessuna legislazione può impedirli. Ben lungi da ciò, la legge attuale che assolve il marito che assassina la moglie adultera, non fa che favorire la frequenza di questi crimini.
Al contrario, un ambiente anarchico eleverà il livello morale dell'umanità. L'uomo comprenderà di non avere alcun diritto su una donna che si dà ad un altro invece che a lui, perché questa donna non fa che obbedire alla sua natura.
Di conseguenza, nella futura società, i crimini diventeranno sempre più rari, fino a scomparire completamente.
Vi riassumerò, Signore, il mio ideale di società anarchica. Niente più autorità, molto più contraria alla felicità dell'umanità di qualche eccesso che potrebbe verificarsi inizialmente in una società libera. Al posto dell’organizzazione autoritaria attuale, raggruppamento degli individui per simpatia e affinità, senza leggi e senza capi. Niente più proprietà individuale; comunione dei prodotti; lavoro di ciascuno secondo i suoi bisogni, consumo di ciascuno secondo i suoi bisogni, cioè a suo piacimento.
Niente più famiglia, egoista e borghese, che fa l’uomo proprietà della moglie e la moglie proprietà dell’uomo; che esige da due esseri che si sono amati un momento, di essere legati l'uno all'altro fino alla fine dei loro giorni. La natura è capricciosa, essa chiede sempre nuove sensazioni. Vuole l’amore libero. Per questo noi vogliamo la libera unione.
Niente più patria, niente più odio tra fratelli che getta, gli uni contro gli altri, uomini che non si sono mai visti.
Sostituzione dell'attaccamento ristretto e meschino dello sciovinista alla sua patria, con l'amore ampio e fecondo per tutta l'umanità, senza distinzione di razza e di colore.
Niente più religione, forgiata dai preti per imbastardire le masse e dare loro la speranza di una vita migliore, mentre essi godranno della vita terrestre.
Al contrario, sviluppo continuo delle scienze messe alla portata di ogni essere che si sentirà attirato verso il loro studio, portando poco a poco tutti gli uomini alla coscienza del materialismo.
Studio particolare dei fenomeni ipnotici che la scienza comincia ora a constatare, al fine di smascherare i ciarlatani che presentano agli ignoranti, sotto un aspetto meraviglioso e sovrannaturale, fatti di ordine puramente fisico.
In una parola, niente più ostacoli al libero sviluppo della natura umana.
Libero schiudersi di tutte le facoltà fisiche, cerebrali e mentali.
Non sono così ottimista da sperare che una società con tali basi giunga in un solo colpo all'armonia perfetta. Ma ho la profonda convinzione che due o tre generazioni saranno sufficienti per strappare l'uomo all'influenza della civilizzazione artificiale che egli subisce oggi, e per riportarlo allo stato di natura, che è lo stato di bontà e di amore.
Ma per fare trionfare questo ideale, per fondare una società anarchica su basi solide, bisogna cominciare con il lavoro di distruzione. Bisogna abbattere il vecchio edificio tarlato.
Ed è quello che facciamo.
La borghesia sostiene che non giungeremo mai al nostro scopo.
L’avvenire, un avvenire molto vicino, glielo insegnerà.
Viva l'Anarchia!

domenica 16 ottobre 2016

Senza patrie non ci saranno guerre

All'inizio era il senso di solidarietà, nella lotta per l'esistenza, che univa individui e famiglie conviventi nello stesso villaggio o nella stessa tribù, per procurarsi attraverso il mutuo aiuto, o con la rapina a danno di altri villaggi e tribù, i mezzi di vivere; o di difendersi contro le forze della natura, contro le belve, o contro la rapina altrui, meglio di come avrebbe potuto fare da se, ogni individuo solo, od ogni sola famiglia.
Questo «patriottismo» in realtà non era che il primo sviluppo di solidarietà umana.
Fatto il primo passo: non appena il selvaggio vide nel suo simile, non soltanto un concorrente che poteva essergli nemico; ma un essere uguale a lui, con cui poteva mettersi d'accordo, il sentimento di solidarietà fra uomo ed uomo si sviluppò sempre più rapidamente: prima da famiglia a famiglia; poi da tribù a tribù; indi da villaggio a villaggio. E lentamente il concetto di «Patria» anche se la parola non si era ancora formata, si allargava ad aggruppamenti umani sempre maggiori.
Man mano che la cerchia della solidarietà umana si allargava; che non solo gli individui, ma i gruppi, le famiglie, i villaggi, le città assurgevano ad una migliore comprensione del loro interesse, (che consisteva nella cooperazione, piuttosto che nella lotta) non soltanto diminuivano gli odi ed i conflitti, le opere di sangue e di morte; ma la vita umana accresceva il suo pregio spirituale; aumentava il benessere e la terra si arricchiva di bellezza e di utilità generale.
L'essere circondati da villaggi o tribù rivali, faceva restare gli uomini in permanente stato di guerra; ed il combattere era l'occupazione loro più importante. Da ciò il prevalere dei sentimenti di odio e di violenza: l'impossibilità di produrre abbastanza, gli stermini reciproci, le vendette, ecc.
Ma quando le tribù ed i villaggi giunsero ad accordarsi fra di loro, per formare una collettività su più esteso territorio, i motivi di guerra diminuirono, e gli uomini poterono meglio dedicarsi alle opere della pace. I villaggi divennero città, ed in queste, bisognosi di più stretti legami, vennero a concentrarsi sempre più numerose popolazioni!
Allora la «patria» ebbe per confine la mura delle città, e presto questo confine si allargò, per comprendervi un numero di città confederate, come per esempio, fra gli Etruschi, oppure col sottomettersi di alcune ad una sola; come accadde nei primi tempi di Roma.
Giunta ad un relativo assestamento, dopo le invasioni barbariche, l'Italia ritrovò se stessa nel periodo dei liberi Comuni. Fu allora che cominciò effettivamente a manifestarsi il sentimento di patria, così come anche oggi lo si intende: soprattutto come aspirazione all'indipendenza del paese dalle dominazioni estranee.
Ma questo «patriottismo» del tempo dei comuni liberi, non era affatto un patriottismo italiano, bensì un patriottismo cittadino, che non era allora meno forte ed ardente di quello italiano del 1848.
Una città sottomessa ad un'altra aspirava a liberarsi da questa, come l'Italia volle assai più tardi liberarsi dal dominio austriaco.
Quando una città era in lotta con un'altra per dispute di territorio, per interessi commerciali, per dissensi religiosi o politici, il sentimento che veniva sfruttato dai dominatori della città, per scopi non... cittadini, ma propri, era un sentimento travolgente, e accecante, come quello dei... così detti patrioti... delle ultime grandi guerre.
Se si leggono le cronache di quei tempi, i discorsi che facevano ai cittadini ed alle milizie, i podestà ed i capitani del tempo, per una qualsiasi di quelle guerre fra città e città, vi si sente la stessa esaltazione, lo stesso furore di odi e di amore, che si son letti in occasione delle guerre tra nazione e nazione.
Quando la patria era Genova o Venezia, Firenze o Pisa, Bologna o Modena, pensare ad una patria italiana era una utopia e veniva considerato delitto.
La concezione di una «patria italiana» nel senso di unità politica sorse più tardi, nel periodo d'oro della rinascimento umanista.
Le menti videro allora al di là delle mura cittadine, contemporaneamente... videro... e la «patria più vasta» e la più grande «patria umana!».
Ma prima di allora, se in Venezia in guerra con Genova, un nobile spirito solitario avesse maledetto il «conflitto fratricida» in nome della solidarietà italiana, quel precursore sarebbe stato considerato «nemico della patria» e sospettato di tradimento... ed il Tribunale segreto lo avrebbe fatto sparire nelle acque silenziose e segrete della laguna, allo stesso modo che veniva, durante le due guerre mondiali, considerato «nemico interno» e sospettato di connivenza con lo straniero, chiunque per «sentimento di solidarietà», si elevasse disgustato al disopra della mischia, sospirando la pace d'una «futura fraternità internazionale».
Più tardi, per l'ampliarsi della solidarietà oltre le mura civiche, si resero impossibili le guerre tra città vicine, e il sentimento «patrio» ad un certo momento divenne «regionale».
L’evoluzione del sentimento di fratellanza fortunatamente si espande velocemente nella mente dell’uomo, e come dopo il 1800 non fu più concepibile una guerra tra regioni, un giorno non sarà neanche più concepibile una guerra tra nazioni, e sarà allora che i confini saranno definitivamente aboliti.
Se mettiamo di fronte i due sentimenti: quello patriottico e quello umano, il primo è di natura meno nobile ed inferiore al secondo.
La solidarietà familiare è un egoismo di fronte alla solidarietà cittadina; questa è un egoismo collettivo di fronte alla solidarietà nazionale, la quale, a sua volta, è un egoismo rispetto agli uomini... d'oltre mare e d'oltre monte.
Il sentimento di solidarietà umana senza distinzione di frontiere, è il meno egoistico, ed è il più naturale di tutti gli altri.
Strappate il fanciullo alla famiglia, alla città, alla nazione; portatelo a vivere altrove, fra altre genti... di lingua e di costumi diversi... il fanciullo potrà vivere ugualmente. Ma se tentate di strapparlo all'umanità voi, fatalmente, lo ucciderete.
Mano mano che l'uomo si allontana dallo stato selvaggio, e prende coscienza del suo essere, il suo sguardo si spinge sempre più lontano, nel tempo e nello spazio: egli si sente «uomo», «cittadino del mondo», «figlio del padre Sole e della madre Terra», come alteramente si diceva Giordano Bruno.
Le «patrie» d'oggi sono una conseguenza dell'egoismo collettivo, un cumulo di interessi di classi in contrasto, e in lotta con le altre classi di altre nazioni; cercanti a vicenda di sovrapporsi e sopraffarsi; e sotto l'interesse della «patria» si mascherano ambizioni di dominio e di sfruttamento.
Nelle leggi di natura non esistono confini che dividono l'uomo.
Perchè infatti si dovrebbe essere fratelli fino a un dato punto soltanto, e due metri più in là no? Non sono forse, al di là, come al di qua, creature umane, di ossa e di carne come noi; operai, intellettuali, lavoratori, che al pari di noi lavorano per il sostentamento loro e delle loro famiglie? Dove è nel cielo un segno che dica: «Arrestati; qui termina la tua patria; qui cessano gli uomini d'essere fratelli?». Tutti gli uomini sono fratelli... e dove è giustizia e libertà, dove è pace e benessere, quivi è la patria dell'uomo.
Per cui l'internazionalismo è, per noi, una idea concentrata non solo nel nostro sentimento, non solo nella nostra concezione ideologica, ma nella pratica di tutti i nostri atteggiamenti e delle nostre manifestazioni.
E quando voi, cari amici, cari compagni, sentite parlare di interessi della patria, non lasciatevi ingannare: ponete ben mente, che non si deve intendere altro che interessi della collettività, cioè di tutti indistintamente gli individui che la compongono: non di una esigua minoranza soltanto perchè allora non sarebbero che interessi di una o di più classi. Solo chi deve intensificare e proteggere questi interessi di classe, dà un valore «politico» al concetto di patria.
Infatti per i capitalisti, per coloro che vogliono comandare, per tutti quelli che adorano il culto della violenza e della sopraffazione vi è sempre pronto, per coprire le loro imprese tiranniche e sfruttatrici, un cencio di bandiera sventolante sull'altare della «patria» per servire da sipario a tutte le bassezze, a tutte le volgarità, a tutte le infamie della classe o della casta dominante!
Noi anarchici neghiamo ogni patria separabile e divisibile.
E il sentimento che di essa noi abbiamo è il più legittimo, ed è il più naturale, ed essendo fomite di cordiali e continue relazioni fra i popoli, o di rivolgimenti tendenti a scopi di benessere e di libertà, dà luogo a quel grandioso sentimento di universalità e di grandezza che costituisce l'unico mezzo perché sulle patrie molteplici, sia un giorno costituita una sola ed immensa: quella di tutta, di tutta l'umanità!

venerdì 14 ottobre 2016

Omaggio a Dario Fo

“Sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam”. Risiede nel ritornello di "Ho visto un re", ballata malinconica e beffarda, tutta la forza, il pensiero, il senso, dell’artista universale che è stato Dario Fo, drammaturgo, poeta, pittore, attore, impresario teatrale, giullare, morto la scorsa notte a 90 anni.
Lì ci sono la gioiosità e l’ingegno dell’inventore del grammelot; come l’eterna traiettoria politica del mondo, l’alto e il basso, i miserabili (“villani”) e i potenti, gli sfruttati e gli sfruttatori. E Dario Fo nel suo immenso, infinito, irripetibile teatro, assieme a Franca Rame, compagna di vita e di poesia, di impegno e di sventura, ha recitato questo per tutta la vita, mostrando al mondo intero cosa significasse reinventare anche solo per un attimo, una parola, un guizzo, una lingua fittizia fatta solo di suoni che nella loro apparente e vivace incomprensibilità sono poi diventati comprensibili al mondo.
È stato colpito tante volte della censura, iniziata con la Rai a Canzonissima ’62 (con lo sketch su un imprenditore edile che non dotava i suoi operai delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro) e relativo certificato di allontanamento per almeno quindici anni, fino ad arrivare al Mistero Buffo dei papi arroganti e dei popolani mica tanto sciocchi, misteri medioevali e parabole evangeliche, mescolanza apparente di lingue padane che oggi riconoscono anche in Giappone meglio dell’esperanto. Segno politico del racconto popolare dove la commedia dell’arte fiancheggia, feconda la satira e sbeffeggia ilare potere e ipocrisie della religione.
Il teatro di narrazione dei Paolini, Baliani e Celestini è nato qui. “Quello del giullare è un mestiere a rischio. Le mie idee non erano sempre condivise da tutti, ma sempre le ho difese. Anche quando piovevano minacce di ogni tipo, allarmi di bombe in teatro, telefonate intimidatorie”, raccontò Fo.
La morte non la corteggio, ma non la temo”, ha spiegato l’attore nel recentissimo libro intervista Dario e Dio (Guanda). “Se hai campato bene, la morte è la giusta conclusione della vita”.
In questi giorni non è mancato chi ha voluto rivendicare “il suo Dario Fo”. Per alcuni il migliore è stato il Fo comunista e libertario che denunciava i delitti di Stato e le stragi impunite. Non pochi esaltano l’ultimo Fo ammiratore di Casaleggio e Grillo. Altri preferiscono il Fo delle origini e le prime rappresentazioni con l’inseparabile Franca Rame. Altri ancora scelgono il Fo giullare, cantore e reinventore di saghe e racconti popolari. Come dimenticare lo scrittore, il pittore, l’autore, il promotore di mille eventi, il narratore e divulgatore del nostro patrimonio artistico e culturale?
Dario Fo è stato tutte queste cose e tante altre. Io voglio ricordare il Fo anarchico che ha contribuito alla mia crescita ideologica durante il movimento studentesco del 1977, il compagno che con la sua infinita voglia di libertà ha difeso la libertà di satira e di informazione contro i regimi di qualsiasi natura, colore politico, confessione religiosa; non a caso la Turchia di Erdogan aveva inserito le sue opere tra quelle non gradite al regime.
Grazie Dario

giovedì 6 ottobre 2016

Virgilia d’Andra

È dal basso che sale la linfa; è dall'intorno che soffia il respiro…Invano, quindi, è aspettare, in messianica attesa, i salvatori o il salvatore. È dall'angoscia, dalle lotte, dal dolore, dalle aspirazioni, dal tormento, dal lavoro, dall'opra di tutti noi – gli individui, i singoli dell'immensa folla – che si determinano le condizioni essenziali, sostanziali per i rivolgimenti sociali; che si crea l'atmosfera rovente della rivolta; per le prossime tempeste rivoluzionarie!


Virgilia d’Andra