..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 29 aprile 2022

Muhammad Ali dice no allo zio Sam

Al culmine della sua carriera nel pugilato, prese una posizione coraggiosa contro la guerra di aggressione degli Stati Uniti in Vietnam, rifiutando di arruolarsi nell'esercito americano. Il suo rifiuto era un reato negli Stati Uniti. La sua licenza di boxe fu sospesa e nel 1967 fu processato e dichiarato colpevole.

Il 29 aprile 1967 si tenne la conferenza stampa in cui Ali annunciò che non avrebbe preso parte alle aggressioni statunitensi in Vietnam.

Dopo una battaglia di quattro anni, la Corte Suprema degli Stati Uniti, con una decisione unanime, ha ribaltato la condanna. Muhammad Ali non solo è tornato alla boxe, ma ha continuato a denunciare l'oppressione razziale negli Stati Uniti e molte altre ingiustizie nel mondo.

Muhammad Ali ha guadagnato il profondo rispetto delle persone oppresse in tutto il mondo, che lo vedevano come un uomo di principio che non aveva paura di trasformare le sue parole in azioni e di combattere dalla parte della gente.

- Nelle sue stesse parole, aprile 1967 -

"Perché dovrebbero chiedermi di indossare un'uniforme e andare a 10.000 miglia da casa e lanciare bombe e proiettili sui marroni in Vietnam, mentre i cosiddetti negri a Louisville sono trattati come cani e gli sono negati i più semplici diritti umani?

No, non andrò 10.000 miglia lontano da casa a dare una mano a uccidere e distruggere un'altra nazione povera semplicemente perché continui il dominio degli schiavisti bianchi sulla gente scura di tutto il mondo.

Questo è il giorno in cui diavoli di tal fatta devono sparire. Sono stato avvertito che prendere una simile posizione mi potrebbe costare milioni di dollari.

Ma l'ho detto una volta e lo dirò di nuovo. Il vero nemico del mio popolo è qui.

Non disonorerò la mia religione, il mio popolo o me stesso diventando uno strumento per schiavizzare coloro che lottano per la propria giustizia, libertà ed uguaglianza.

Se pensassi che la guerra avrebbe portato libertà e uguaglianza a 22 milioni di miei simili non avrebbero dovuto arruolarmi, lo avrei fatto io, domani.

Non ho nulla da perdere sostenendo le mie convinzioni. Quindi andrò in prigione, e allora? Siamo stati in catene per 400 anni".

mercoledì 27 aprile 2022

Lo spazio indifendibile

È in corso un’operazione organizzata di normalizzazione dello spazio urbano per imporre un nuovo ordine locale, riflesso di quello mondiale.

Una delle caratteristiche delle nuove politiche urbane è che lo spazio costruito deve essere riconfigurato a fini più o meno espliciti di difesa sociale: i luoghi pubblici, messi in sicurezza quanto se non più di quelli privati, accolgono oltre a polizia e sistemi tecnologici di vigilanza anche un numero crescente di dispositivi ornamentali a vocazione disciplinare: è la architettura di prevenzione situazionale o spazio difendibile. Questi concetti risalgono alla fine degli anni ‘70 e riflettono l’avanzata del modello neoliberista di accumulazione del capitale fondato su flessibilità del mercato del lavoro e smantellamento del welfare, che ha aggravato la guerra civile condotta contro le classi dominate e lanciato la sfida contro la mancanza di sicurezza. L’obiettivo dichiarato è costruire una forma di urbanità disciplinata, dove al controllo del territorio si aggiunge quello del comportamento dei suoi abitanti, e i governi mondiali e locali adopereranno tutte le armi a loro disposizione. Non solo quelle repressive, d’altronde sempre più sofisticate: uno degli ambiti più importanti è proprio quello della gestione dello spazio e dei flussi di persone che lo attraversano, motivo per cui ad architetti e urbanisti spetterà il compito di progettare o ristrutturare gli ambienti di modo che contribuiscano anch’essi a prevenire l’illegalità. Salvo rimettere in discussione la struttura della società globale, difficilmente la città può tornare a essere comunità. Anzi, continuerà ad accentuarsi la divisione tra ricchi e poveri.

Il Grande Fratello veglia sui primi e sorveglia i secondi.


lunedì 25 aprile 2022

La prima vittima del fascismo? Teresa!

Teresa Galli (1899-1919) è la prima donna antifascista assassinata.

Anzi, è proprio la prima vittima in assoluto della violenza dei fascisti.

Teresa però non è un personaggio famoso né una militante di spicco, è una semplice operaia, una camiciaia per l’esattezza, di soli 19 anni per cui la sua storia non la conosce quasi nessuno.

Invece la sua storia è importante per diversi motivi.

Eccone almeno tre.

Innanzitutto dimostra che il fascismo fu, sin dalla sua fondazione, profondamente violento e reazionario.

In secondo luogo ci mostra che sin da subito vi furono dei tentativi di reazione alle violenze nazionaliste e fasciste. Infatti, anche se dal punto di vista della storiografia ufficiale la Resistenza al nazifascismo inizia l’8 settembre del 1943, in realtà forme di resistenza al fascismo si erano sviluppate fin da subito e l’antifascismo inizia già nel 1919 con il Biennio Rosso.

Infine ci mostra ancora una volta come la Storia sia fatta non solo di grandi vicende e personaggi importanti, meglio se uomini, ma da tante piccole microstorie spesso ignorate.

Parlare di Teresa ci permette di ricordare che già nel primo dopoguerra vi fu un numero considerevole di donne attive nel contrastare il montante fascismo e che grande fu il contributo femminile alla Resistenza. Ad esempio a Trieste vi fu una sezione femminile degli Arditi Rossi – precedenti agli Arditi del popolo – con il nome di Ardite Rosse, di cui facevano parte una ventina di iscritte animate da Aurelia Benco. E tra il 1919 e il 1922, anno della Marcia su Roma, almeno una quarantina di donne furono assassinate dello squadrismo fascista.

Tra queste Teresa Galli, una donna, operaia e socialista, residente nel quartiere milanese proletario della Bovisa.

Questa la sua storia:

A Milano, il 13 aprile 1919 si tiene un comizio socialista che si conclude con l’uccisione di un dimostrante da parte della polizia e molti feriti. Siamo proprio all’inizio delle mobilitazioni operaie e contadine che contrassegneranno il primo dopoguerra.

Per reazione, due giorni dopo, il 15 aprile, i socialisti e la Camera del Lavoro proclamano uno sciopero generale con comizio per protestare contro la repressione poliziesca.

Dopo l’imponente comizio all’Arena, anarchici e spartachisti decidono di proseguire in un corteo spontaneo verso piazza Duomo.

Ma in piazza Duomo si è riunita nel frattempo una contro-manifestazione nazionalista che aggredisce il corteo. A poche settimane dalla loro fondazione (avvenuta il 23 marzo) i Fasci di combattimento – assieme a gruppi armati di nazionalisti, futuristi, militari e interventisti – mostrano la loro vocazione reazionaria attaccando in quattrocento il corteo, mentre i carabinieri lasciano fare. Lo scontro è impari. Gli aggressori infatti sono armati di tutto punto, con mazze ferrate, pugnali, pistole e bombe a mano.

Un proiettile attraversa la nuca della diciannovenne Teresa Galli che muore sul colpo.

Nell’aggressione rimangono in seguito uccisi anche l’impiegato diciottenne Pietro Bogni e il garzone sedicenne Giuseppe Luccioni, anch’essi colpiti da un proiettile alla testa.

Gli assalitori poi proseguiranno, incendiando e distruggendo completamente la redazione del quotidiano socialista “Avanti!”, sotto lo sguardo compiacente del reparto militare che dovrebbe difenderlo.

Alla sera, oltre ai morti, si registrano trentanove feriti, quasi tutti operai. È il debutto dello squadrismo “tricolore” e l’inizio della “controrivoluzione preventiva”, finanziata dal padronato e protetta dall’apparato statale.

Mentre Bogni e Luccioni verranno sepolti con rito religioso, Teresa Galli avrà un rito civile e viene accompagnata al cimitero di Musocco dalle bandiere rosse. Per i fascisti quell’aggressione e quei morti significheranno per loro ottenere la benemerenza di militari e padronato, che da quel giorno daranno loro credibilità e denaro, tanto denaro.

Per oltre novant’anni la figura di Teresa Galli è stata rimossa e dimenticata ma dal 2014 – la Federazione Anarchica milanese porta ogni 25 aprile un fiore sulla sua tomba.

Ricordare Teresa significa rendere omaggio alle migliaia di militanti anonim* che sin da subito, in modo spontaneo o organizzato, hanno cercato di opporsi alla violenza squadrista.

Significa ricordare anche quella che, a torto, viene denominata “Resistenza passiva” delle donne, le quali in realtà furono invece antifasciste attivissime.

Oggi, l’opposizione al fascismo iniziata da Teresa insieme a migliaia di altr* militant*, continua nella lotta contro ogni tipo di potere, per sua natura violento e oppressore, e nel desiderio di immaginare un presente migliore nella consapevolezza che quello attuale non è l’unico mondo possibile.



venerdì 22 aprile 2022

L'indignazione non è una moda

Tutti si lamentano dei privilegi della casta. Molto bene. Solo che i privilegi esistono da quando esistono i governi e le autorità, e continueranno a esserci anche in futuro. E di questa indignazione, che oggi si tocca con mano, i nostri nipoti non ne sentiranno nemmeno l'odore, così come noi oggi non sentiamo l'odore dell'indignazione del popolo nel 1920.

Se poi prendiamo i giovani di oggi, cosa volete che portino attaccato alla loro coscienza? Non certo l'indignazione del nostro '68 o del '77. Il guaio allora è questo: ogni nuova generazione è fresca, la vecchia (nostra) oppressione gli sembra normalità, è pronta a subire altre vessazioni. Che ne sanno le generazioni di domani di questo nostro annaspare? Come faranno i nostri nipoti a caricarsi di questa nostra eredità? La studieranno sui libri? E pensiamo davvero che studiandola sui libri (ammesso che i libri ne parleranno) essi percepiranno la nostra voglia di incazzatura e la spingeranno più avanti? Non è mai stato così. Non sarà mai così.

Vogliamo solo dire che è inutile lamentarsi se continuiamo a perpetuare governi. L'indignazione è un mezzo, non un fine, e nemmeno una moda. Loro hanno una linea di condotta ereditaria precisa dettata dallo Stato, un obiettivo criminale sempre uguale, mentre il popolo scorda ad ogni nuova generazione, ri-subisce, si ri-illude. Non votate più, fatelo per la vostra coscienza, perché l'indignazione abbia una coerenza, ma fatelo anche e soprattutto per i vostri nipoti, se ci tenete al loro futuro.

martedì 19 aprile 2022

L'essere umano e la morale anarchica

L'anarchia, gli anarchici, i principi libertari ed egualitari, non potrebbero esistere se non in ragione di una morale suprema che li governa e che li pone in relazione armoniosa con la Natura e con tutto ciò che in essa vive. La morale anarchica non è un elenco di azioni vergate da chissà quale dio, divulgate da chissà quale Mosé, vendute al popolo da chissà quale pontefice. La morale anarchica è l'essenza stessa dell'individuo (e come tale orientato dalla Natura nella ricerca del vitale) che non ha alcun bisogno di decaloghi imposti per sapere che il motivo della propria esistenza è la vita stessa. Se lo scopo è dunque vivere (anarchia è cultura della vita contro quella della morte), va da sé che ogni anarchico, ogni libertario, ogni individuo dotato di buon senso, sa bene che la qualità della vita si misura dal grado di cooperazione sociale che porta inevitabilmente al vero progresso, quello umano, con tutte le implicazione che il termine 'umano' porta con sé. E ne vedremo alcune.

Gli intellettuali al tempo della Seconda Rivoluzione Industriale sapevano che il positivismo, l'industria capitalista, l'economia dei potenti, la finanza delle banche, ecc. non rappresentavano il vero progresso, poiché i fantasmi dell'alienazione e dell'autoritarismo legalizzato dovuti proprio a questo falso mito di progresso si erano già da tempo materializzati e avevano prodotto i loro danni: popolo sempre più diviso, alienato e imbonito, tenuto in 'Stato' di sudditanza, sempre più controllato e offeso col pretesto di un illusorio 'ordine sociale'. Ma se la menzogna di Stato fondata esclusivamente sul progresso tecnico-economico continua a dare risultati nefasti e sperequativi, qual è, di contro, quel progresso umano veicolato dalla morale anarchica?

Per rispondere a questa domanda è indispensabile definire anzitutto l'essere umano, in quanto unità vivente, irripetibile e libera. Ardua impresa, certo, e non siamo qui a scrivere trattati. Diciamo però che alcuni punti-chiave possono essere evidenziati, ad esempio il fatto che l'essere umano, per essere tale, deve avere la possibilità di meditare serenamente su se stesso ogni volta che lo ritiene opportuno; deve sempre avere la possibilità di rapportarsi con qualsiasi elemento del contesto, senza coercizioni dall'una e dall'altra parte; deve poter utilizzare la fantasia per creare in libertà ogni volta che ne avverte la necessità; deve poter alimentare e accrescere la propria dignità; deve avere la possibilità di vivere con la Natura; deve potersi esprimere nelle forme che ritiene utili a se stesso e agli altri, ecc.

Va da sé che questi concetti, che sono esigenze naturali e vitali, portano l'individuo a sganciarsi autonomamente e naturalmente dai meccanismi perversi e artificiali del rigido sistema attuale, per indirizzarlo verso un rapporto più solidale e cooperativo con gli altri individui. Questo nuovo essere umano si renderà conto in maniera naturale che la propria autonomia, la propria esistenza indirizzata al bello e alla vita, non potrà mai essere costretta in quell'organismo artificiale chiamato Stato, inventato per soggiogare i popoli e tenerli in quel costante e terribile inganno che ogni tiranno chiama impropriamente 'ordine'. Non c'è che un solo ordine al quale tutti siamo chiamati con gioia ad obbedire, quello naturale, quello della vita, quello della libertà.

  

PS. Per la complessità dell'argomento, questo articolo non può essere esaustivo, ma è proposto come spunto di riflessione. La trattazione qui riportata è il frutto dell'elaborazione di vari testi. Si raccomanda, a tal proposito, anche la lettura di Pëtr Alekseevič Kropotkin:"La morale anarchica".

sabato 16 aprile 2022

Perchè anarco-primitivismo?

L'anarco-primitivismo ha molto contribuito con il suo discorso anti-autoritario ad una visione di un mondo senza l'ingombro di politiche gerarchiche e di dominio sulla vita umana e non umana da parte della tecnologia. Il valore dell'analisi dell'anarco-primitivismo sta nel fatto che difficilmente gli aspetti della cultura umana possono sfuggire alla sua analisi politica; dalle basi stesse dell'agricoltura e della produzione di massa fino alle interrelazioni fra questi fenomeni e le forme istituzionalizzate di gerarchia e dominio, molto poco è stato dato per scontato. Come tradizionalmente gli anarchici hanno sempre costantemente criticato e combattuto le manifestazioni del pensiero gerarchico e dei rapporti sociali autoritari, così l'anarco-primitivismo attacca i presupposti che sono all'origine dell'autoritarismo e della gerarchia.

Gli anarco-primitivisti rivolgono il loro studio al 99% della esperienza umana precedente l'avvento dell'agricoltura, il periodo del primato dell'economia di raccolta e caccia e del relativo accordo sociale. Questo primario modo di vita dell'uomo, caratterizzato dall'assenza di forme istituzionalizzate di potere, è la dimostrazione di qualcosa di radicalmente differente dagli attuali regimi del capitalismo statalista o privato degli attuali sistemi di industrializzazione transnazionale e delle sue politiche.

Una cultura libertaria non è quindi solo possibile ma, come si evidenzia dalla documentazione esistente, questo modello culturale è stato per lungo tempo efficiente e ben efficacie a realizzare il benessere umano. L'esistenza e la persistenza di queste culture anarchiche dimostrano che non è affatto necessario lo sviluppo di un sistema economico predatorio.

Come il comunismo, il socialismo, sindacalismo, l'individualismo, il femminismo sono niente altro che mere variazioni di forme autoritarie, stataliste se non si accompagnano ad una fondamentale identità anarchica, così il primitivismo privato da una fondamentale e strutturale essenza anarchica diviene uno sterile esercizio filosofico.

La critica e il rifiuto del capitalismo industriale e della civilizzazione dominata dalla tecnologia non possono prescindere da una cultura anti-autoritaria e anarchica se non vogliono divenire vicoli ciechi.

martedì 12 aprile 2022

12 Aprile 1811: Luddisti all'assalto a Nottingham

Tra il 1811 e il 1816, migliaia di soldati inglesi hanno combattuto contro i Luddisti, che hanno distrutto le macchine tessili per protestare contro il degrado delle loro condizioni di lavoro e di vita.

All'inizio del diciannovesimo secolo, i lavoratori hanno visto peggiorare le loro condizioni di lavoro e di vita a causa dell'uso di macchinari in attività agricole e industriali, il che ha portato a orari di lavoro più lunghi e più difficili, a ridurre la domanda di lavoro e imposto salari più bassi. La risposta del movimento luddista fu la distruzione dei macchinari.

I luddisti accusarono i datori di lavoro di usare le macchine per produrre componenti scadenti e degradare le condizioni di lavoro dei lavoratori. Il governo ha mobilitato migliaia di soldati per combatterli e gli scontri armati si sono moltiplicati. Nel 1812, l'uomo d'affari William Horsfall, che aveva promesso che il sangue dei Luddisti avrebbe raggiunto la sua sella, fu teso un'imboscata da un gruppo di lavoratori che gli spararono mentre era a cavallo.

Nel 1811, gli uomini d'affari iniziarono a ricevere lettere minacciose firmate da un certo generale Ludd, un personaggio probabilmente immaginario che apparentemente evoca il nome di un apprendista tessitore.

L'attività dei luddisti causò il panico tra i proprietari terrieri inglesi e i grandi uomini d'affari, che vedevano il movimento come un vero pericolo per i loro affari e profitti.

Poi è esploso tutto. È successo ad Arnold, una città vicino a Nottingham, la principale città manifatturiera nell'Inghilterra centrale. L'11 marzo 1811, nella piazza del mercato, i soldati del re disperse un incontro di lavoratori disoccupati . Quella stessa notte, quasi un centinaio di macchine furono distrutte nelle fabbriche dove i salari erano stati abbassati.

Queste furono reazioni collettive spontanee, ma presto acquisirono una certa coerenza. A novembre, nella vicina città di Bulwell, uomini mascherati con mazze, martelli e asce hanno distrutto diversi telai. Nel corso dell'attacco ci fu una sparatoria che mise fine alla vita di un tessitore.

La prima distruzione di un impianto industriale avvenne il 12 aprile 1811, quando trecento lavoratori attaccarono la filanda di William Cartwright nel Nottinghamshire e distrussero i loro telai con colpi di martello. Il piccolo presidio accusato di difendere l'edificio ferì due giovani sellai, John Booth e Samuel Hartley, che furono catturati e morirono senza rivelare i nomi dei loro compagni.

Nel febbraio 1812, il Parlamento approvò il disegno di legge che puniva la distruzione di un telaio con la pena di morte.

La repressione continuò: ci furono 14 esecuzioni e 13 persone furono deportate in Australia. Tuttavia, la mano pesante non fermò i Luddisti al punto che un esercito di dodicimila uomini fu riunito per inseguirli . Questo fatto dimostra il terrore suscitato dai luddisti tra le classi dirigenti , ma parla anche delle dimensioni di quel tipo di guerra civile che ha dovuto affrontare il capitalismo emergente - basato sulla fabbrica, la disciplina del lavoro e la libera concorrenza - con i Luddisti.

Denunciando l'accelerazione del lavoro che li ha incatenati alla macchina , i Luddisti hanno rivelato l'altro lato della tecnologia. Hanno messo in dubbio il progresso tecnico difendendo la cooperazione contro la concorrenza, l'etica contro il profitto. Non è che nella loro ignorante resistenza alle novità hanno negato tutta la tecnologia, ma solo ciò che ha attaccato la comunità. Ecco perché i loro attacchi sono stati precisi: hanno rotto le macchine che appartenevano ai datori di lavoro che producevano oggetti di scarsa qualità, a basso prezzo e con salari peggiori.

La repressione governativa culminò in un terribile processo tenuto a York e nell'esecuzione di 17 Luddisti nel gennaio 1813. Mesi prima, una serie di processi a Lancaster era terminata con otto impiccati e 17 deportati in Tasmania. Le dure punizioni e la ripresa economica che seguirono le guerre napoleoniche decretarono la fine del movimento luddista.

lunedì 11 aprile 2022

Anteo Zamboni, il ragazzino che sparò al Duce

Anteo Zamboni nacque l'11 aprile 1911: Bologna, domenica 31 ottobre 1926, quarto anniversario della marcia su Roma. La mattina, alle 9.30, prima apertura del Littoriale, il nuovo stadio, simbolo ambizioso dell’investimento che il fascismo intende promuovere sullo sport, meglio, sul calcio.

Tre squilli di tromba e il duce fa il suo ingresso a cavallo. Nel pomeriggio, dopo l’inaugurazione di un convegno medico all’Archiginnasio, Mussolini sale sul sedile posteriore destro di un’Alfa Romeo rossa, guidata da Learco Arpinati, capo del fascismo bolognese, da quell’anno sino al 1932 presidente della Federazione italiana gioco calcio, auto che, intorno alle 17.40, proveniente da via Rizzoli, svolta per via Indipendenza.

All’altezza del Canton dei Fiori parte un colpo di pistola (una Beretta 7,65). Il proiettile trapassa il bavero dell’uniforme del duce e la fascia dell’Ordine mauriziano; trafigge il cilindro che il sindaco Umberto Puppini, seduto al suo fianco, tiene con la mano destra sulle ginocchia, perfora la manica sinistra della giacca e della camicia, conficcandosi, infine, nell’imbottitura dell’auto. È il parapiglia. Il corteo rallenta. La vettura col duce riparte a gran velocità.

Secondo le versioni accreditate, il presunto attentatore viene bloccato inizialmente da Carlo Alberto Pasolini, il padre di Pier Paolo (nato a Bologna il 5 marzo 1922), tenente del reparto del 56° reggimento di fanteria schierato in quel punto. Altri fascisti giungono a strappare il presunto attentatore dalle mani di Pasolini e a trascinarlo verso il bar Centrale dall’altra parte della strada. È un massacro in pieno giorno. 

La successiva autopsia accerterà che delle numerose ferite di arma da taglio tre risultano “penetranti in profondità” e tali da poter aver determinato un esito mortale. Le immagini dei poveri resti, raccapriccianti. Un’indagine per tentare di individuare gli assassini non viene neppure iniziata. Il delitto rimane impunito. La vittima, Anteo Zamboni, ragazzo di appena 15 anni e 6 mesi, soprannominato Patata in famiglia. S’incrociano così, quel pomeriggio del 31 ottobre 1926, nel cuore di Bologna, i destini di Benito Mussolini e di Anteo Zamboni. Il duce bersaglio di un fallito attentato; Anteo barbaramente linciato come presunto sparatore. Davide contro Golia. 

venerdì 8 aprile 2022

La banda del Matese

Dopo la fallita insurrezione di Bologna (1874), il movimento anarchico italiano dovette fronteggiare una grave crisi in conseguenza della dura repressione cui fu sottoposto (persecuzioni, arresti, scioglimento di diverse organizzazioni ecc.).

Nel giugno 1876, dopo il processo per i moti di Bologna (1874), tutti gli anarchici coinvolti ritornarono in libertà, decisi più che mai della necessità di rimettere in moto l'attività rivoluzionaria. Nell'inverno del 1876\77, subito dopo il Congresso internazionalista di Berna (26-29 ottobre 1876), soprattutto Cafiero e Malatesta dichiararono che la Federazione italiana era pronta ad un nuovo atto insurrezionale:

«La Federazione Italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare con delle azioni il principio socialista, sia il mezzo di propaganda più efficace ed il solo che, senza ingannare e corrompere le masse possa penetrare nei più profondi strati sociali...».

Essi credevano che l'insurrezione dovesse partire non dalla città ma dalla campagna. Non con il contributo degli operai, come sostenevano i marxisti, bensì spingendo alla rivolta i contadini delle aree più depresse della penisola. Quest'idea peraltro non era nuova e si ispirava profondamente al pensiero di Carlo Pisacane che tanto proselitismo aveva fatto durante il risorgimento italiano. Non solo, lo stesso Bakunin, aveva più volte ribadito l'importanza del movimento contadino rispetto ai propositi rivoluzionari anarchici.

Ecco perché Cafiero e Malatesta (la banda del Matese si costituì principalmente per merito loro) individuarono nel Matese la zona adatta alla guerriglia rivoluzionaria convinti che la popolazione locale, per lo più poverissima, li avrebbe seguiti con entusiasmo. I fatti dimostrarono però che si sbagliavano.

La Banda del Matese aveva in Carlo Cafiero, Errico Malatesta, Francesco Pezzi, Napoleone Papini e Cesare Ceccarelli gli elementi di maggior spicco. Con loro vi erano studenti, contadini, calzolai, muratori, ecc. provenienti dia più disparati luoghi. Tutti furono addestrati dal russo Sergio Kravcinskij.

Nel marzo del 1877 "la banda" ritenne fosse giunto il momento di agire, ma il clima Rigido di quell'anno consigliò loro di spostare l'azione di qualche settimana. Quando le condizioni climatiche divennero più accettabili, i rivoluzionari decisero di ritrovarsi in un piccolo paesello, a San Lupo (Benevento).

Il 3 aprile 1877 Malatesta e Cafiero giunsero a San Lupo (Benevento), spacciandosi per turisti inglesi. Scaricarono molto materiale che avrebbe dovuto servire per la guerriglia dei giorni successivi. La sera del 5 aprile arrivarono altri rivoluzionari, tra cui Cesare Ceccarelli, Antonio Cornacchia e Napoleone Papini. Purtroppo per loro un certo Salvatore Farina, che avrebbe dovuto fungere da tramite con i contadini della zona, vendette le informazioni in suo possesso alla forza pubblica.

La notte fra il 7 e l'8 aprile 1877, gli anarchici, scoperti dai carabinieri, furono costretti a fuggire dopo una sparatoria che provocò il ferimento di due carabinieri (uno dei quali morì successivamente). Il piano di insurrezione per San Lupo (Benevento) fu dichiarato decaduto (da sottolineare che erano stati preventivati un centinaio di insorti, invece se ne presentò solo qualche decina: inoltre, non si presentarono nemmeno le guide e ciò comportò, successivamente, seri problemi d'approvvigionamento alimentare e di orientamento nel territorio).

Malatesta e Cafiero non si persero d'animo e dopo aver camminato una notte intera giunsero nel comune di Letino (Caserta): issarono sul municipio la bandiera rosso-nera occuparono il Municipio, staccarono immediatamente il ritratto del re Vittorio Emanuele, proclamarono decaduta la monarchia, dichiararono abolita la tassa sul macinato e bruciarono tutte le carte comunali e catastali.

L'intervento della polizia mise in fuga la banda, evidenziando la scarsa preparazione del piano d'azione rivoluzionario, che cercò di fuggire nella foresta, ma dopo tre giorni gli anarchici si arresero al capitano Ugo De Notter.

Dopo l'arresto, i componenti della banda incarcerati a S. Maria Capua Vetere. Inizialmente l'intenzione era quella di far giudicare gli insorti da un tribunale di guerra, il che avrebbe significato la condanna a morte per fucilazione. Per fortuna ciò non accadde ed invece furono giudicati da un tribunale civile. Decisiva fu l'intercessione della figlia di Carlo Pisacane, Silvia, che era stata adottata del Ministro degli Interni Nicotera e che probabilmente aveva avuto contatti con gli internazionalisti napoletani. Era stato l'avvocato Carlo Gambuzzi, già amico di Bakunin, a chiederle aiuto «e tanto scongiurò la giovane perché intercedesse presso il padre adottivo, in nome dell'affinità d'idee dell'analogia dei casi che legavano al ricordo del Pisacane la banda del Matese che Silvia riuscì a strappare al Nicotera la revoca della primitiva decisione. La minaccia del giudizio sommario era scongiurata».

Il processo contro la banda del Matese, difesa tra gli altri anche dal giovanissimo Francesco Saverio Merlino, iniziò il 14 agosto 1878 e si concluse il 25 dello stesso mese. La sentenza dichiarò innocenti i ventisei anarchici imputati della morte di un carabiniere, attribuita invece a causa sopravvenuta. Al termine della lettura nella sala scoppiò un caloroso battimano.

giovedì 7 aprile 2022

Alle origini del luddismo

Il luddismo si appellava alle leggi paternalistiche che imponevano sanzioni «contro gli imprenditori privi di scrupoli e ingiusti» e riconoscevano ai salariati «un ordine riconosciuto, sebbene inferiore». Dove il libero proprietario di fabbrica o il grande cotoniero o il produttore di calze su telai meccanici, che si arricchiva con questi mezzi, fosse visto non solo con gelosia, ma come uomo impegnato in azioni immorali e illecite. I tumulti e la protesta erano mossi in altre parole da una economia morale – di cui facevano parte la tradizione del giusto prezzo e del salario equo – in conflitto all’ideologia del laissez faire, vista non come una legge naturale ma come una imposizione. Tutte le rivendicazioni erano insieme rivolte al passato e all’avvenire; e contenevano in sé l’immagine confusa non tanto di una comunità paternalistica, quanto di una comunità democratica, in cui l’espansione dell’industria fosse regolata in base a priorità etiche, e la ricerca del profitto subordinata alla soddisfazione dei bisogni umani.

Il luddismo ha origine dalle tradizioni popolari: quelle sociali della rivolta popolare, quelle politiche dell’inglese nato libero, quelle religiose del dissenso.

La prima di queste tradizioni sono i tumulti che traggono origine dal carovita, dai pedaggi, dalle gabelle, dall’accisa, dall’introduzione di nuove macchine, dalla recinzione di campi e pascoli comuni, dall’arruolamento forzato. I tumulti per il carovita – imposizioni di un calmiere popolare, blocchi dei carichi di cereali – possono essere violenti ma si collocano nel quadro di un comportamento tradizionale, in quanto trovano la loro legittimazione nei presupposti di un’antica economia a sfondo morale, che bolla di immoralità qualunque metodo consistente nel trarre profitto dalle necessità del popolo rincarando i prezzi dei viveri. Nelle comunità sia urbane sia rurali, una coscienza del consumatore precedette ogni altra forma di antagonismo politico o economico: l’indice più sensibile del malcontento popolare non erano i salari, ma il costo del pane. Le leggi divine della domanda e dell’offerta, per cui la penuria dei beni provoca inevitabilmente una lievitazione dei prezzi, erano ben lontane dall’essere accettate dalla coscienza popolare, in cui perduravano nozioni più antiche di contrattazione faccia a faccia. L’antica economia morale di tipo paternalistico si contrapponeva così alla libera economia di mercato.

La seconda tradizione culturale poggia sul mito dell’inglese nato libero: un mito fondato sulla libertà dal dominio straniero, dall’assolutismo e dall’ingerenza dello Stato, sull’eguaglianza di ricco e povero di fronte alla legge, sulla protezione delle leggi contro le ingerenze di un potere arbitrario, e infine sulla libertà di parola, di pensiero e di coscienza. Su questa base si affermano teorie come quelle di Tom Paine, «ai limiti di una teoria anarchica», secondo cui «nell’istante in cui è abolito il governo formale, la società comincia ad agire».

Terza tradizione culturale, il dissenso religioso. Un esempio: il metodismo, i cui precetti erano quelli della sottomissione personale e della santificazione del lavoro, recitò «la doppia parte di religione degli sfruttatori e di religione degli sfruttati», riuscendo a essere simultaneamente religione della borghesia industriale e di vasti strati della classe proletaria, tanto che tensioni continue insorgevano in seno ad una religione i cui precetti erano pur tuttavia quelli della sottomissione personale e della santificazione del lavoro. Il ribelle politico metodista portava nella sua attività radicale o rivoluzionaria un intenso fervore morale, un senso di devozione e vocazione, una capacità metodista di impegno organizzativo tenace, e un alto grado di responsabilità personale»; in particolare nelle campagne il metodismo poteva prendere una forma improntata a una più viva coscienza di classe, consentendo ai lavoratori dei campi di acquisire «indipendenza e rispetto di sé».

martedì 5 aprile 2022

5 Aprile 1944: Lettera del condannato a morte Paolo Braccini

Di anni 36 - docente universitario - nato a Canepina (Víterbo) il 16 maggio 1907 -- Incaricato della cattedra di zootecnia generale e speciale all'università di Torino, specializzato nelle ricerche sulla fecondazione artificiale degli animali presso l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte e della Liguria - nel 1931 allontanato dal corso allievi ufficiali per professione di idee antifasciste - all'indomani dell'8 settembre 1943 abbandona ogni attività privata ed entra nel movimento clandestino di Torino - è designato a far parte del I Comitato Militare Regionale Piemontese quale rappresentante dei Partito d'Azione - pur essendo braccato dalla polizia fascista, per quattro mesi dirige l'organizzazione delle formazioni GL -. Arrestato il 31 marzo 1944 da elementi della Federazione dei Fasci Repubblicani di Torino, mentre partecipa ad una riunione del CMRP nella sacrestia di San Giovanni in Torino -. Processato nei giorni 2-3 aprile 1944, insieme ai membri del CMRP, dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato -. Fucilato il 5 aprile 1944 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino, da plotone di militi della GNR.

 

3 aprile 1944

 

Gianna, figlia mia adorata,

è la prima ed ultima lettera che ti scrivo e scrivo a te per prima, in queste ultime ore, perché so che seguito a vivere in te.

Sarò fucilato all'alba per un ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno.

Non piangere mai per la mia mancanza, come non ho mai pianto io: il tuo Babbo non morrà mai. Egli ti guarderà, ti proteggerà ugualmente: ti vorrà sempre tutto l'infinito bene che ti vuole ora e che ti ha sempre voluto fin da quando ti sentì vivere nelle viscere di tua Madre. So di non morire, anche perché la tua Mamma sarà per te anche il tuo Babbo: quel tuo Babbo al quale vuoi tanto bene, quel tuo Babbo che vuoi tutto tuo, solo per te e del quale sei tanto gelosa.

Riversa su tua Madre tutto il bene che vuoi a lui: ella ti vorrà anche tutto il mio bene, ti curerà anche per me, ti coprirà dei miei baci e delle mie tenerezze. Sapessi quante cose vorrei dirti ma mentre scrivo il mio pensiero corre, galoppa nel tempo futuro che per te sarà, deve essere felice. Ma non importa che io ti dica tutto ora, te lo dirò sempre, di volta in volta, colla bocca di tua Madre nel cui cuore entrerà la mia anima intera, quando lascierà il mio cuore.

Tua Madre resti sempre per te al di sopra di tutto.

Vai sempre a fronte alta per la morte di tuo padre. 

lunedì 4 aprile 2022

4 aprile 1968: assassinio di Martin Luter King

4 aprile 1968: un proietile calibro 30-60 sparato da un fucile di precisione colpisce alla testa il leader nero Martin Luther King, uccidendolo sul colpo.

Nella stanza dell'albergo Lorrain Motel di Menphis, Tenessee, veniva così ucciso uno dei leader storici del movimento contro la segregazione e per i diritti dei neri.

King ,attivista e pastore protestante, dedicò la sua intera vita alla causa dei diritti civili della popolazione di colore. Rappresentò e fu di fatto la guida di tutta quella l'area del movimento nero che abbracciava il metodo della non violenza e del riformismo, che da sempre si era opposta al resto del movimento che si poneva l'obbiettivo di una rivoluzione armata per la liberazione del popolo afro-americano contro il razzismo.

Nonostante la sua appartenenza all'area più moderata e istituzionale del movimento, collaborò con le organizzazioni comuniste giovanili statunitensi, e con il resto del movimento afro-americano.

Di fatto King e tutta l'area pacifista rappresentarono e furono una sponda per le istituzioni bianche del governo degli Stati Uniti: l'appoggio dei Kennedy e dei riformisti bianchi consacravano l'appartenenza di King alla piccola borghesia nera e tutta quella parte di afroamericani che non avevano interessi in un'insurrezione armata dei neri e delle altre minoranze.

Il rifiuto della violenza, contestualizzato nel movimento di quegli anni, fu uno strumento utilizzato dai riformisti per arginare la lotta messa in atto dalla stragrande maggioranza dei neri. Infatti negli anni '50, '60 e '70 furono numerosissime le esperienze di difesa armata dei ghetti neri, di attacco ai commissariati e alla polizia, il saccheggio dei negozi dei bianchi e gli attacchi ai quartieri benestanti.

Criticare la scelta storica della nonviolenza da parte di King, vuol dire restituire la giusta dignità spesso rubata dal revisionismo storico, alla lotta dei rivoluzionari neri che si offrirono in prima persona per riscattare la loro gente da più di quattrocento anni di sfruttamento e violenze da parte della borghesia bianca statunitense. Il governo americano, in particolare l'amministrazione Kennedy, sfruttarono King e l'area pacifista del movimento per controllare indirettamente il movimento insurrezionale nero.

Nei giorni seguiti all'assassinio il presidente degli Stati Uniti si appellò al buon senso delle persone di colore, perché non fosse la violenza la risposta all'omicidio compiuto dal razzista James Earl Ray. Di tutta risposta il movimento afro rispose con duri scontri nei ghetti, assalti ai quartieri benestanti bianchi, e attacchi alla polizia.

La rielaborazione storica della figura di King è stata strumentale a far apparire tutta la lotta afro-americana come pacifica e fatta di marce e sit-in, per cercare di relegare l'uso diffuso dello scontro e della violenza ad un'area minoritaria e "deviata" del movimento. Aldilà delle rivisitazioni di comodo di chi è rimasto di fatto al potere e della borghesia nera che negli anni si è integrata bene nel sistema capitalista e consumista degli USA, quello che è sicuro è che il movimento nero e l'insurrezione degli afroamericani sono stati attraversati da una potente scossa di violenza manifestatasi in varie forme, e molte volte capace di essere strumento fondamentale per la lotta.

venerdì 1 aprile 2022

Bonnie e Clyde

«I nostri omicidi non sono personali. Semplicemente, i poliziotti stanno dove non devono stare».

1 aprile 1934, domenica di Pasqua. Bonnie Parker e Clyde Barrow stanno viaggiando insieme al loro complice Henry Methvin vicino a Grapevine in Texas.

Incontrano due poliziotti della stradale, che li riconoscono. Prima che le giovani guardie possano estrarre la pistola, Methvin e Parker sparano uccidendoli.

Bonnie e Clyde, a formare la coppia di rapinatori più famosa d'America, si conoscono a casa di un'amica comune nel gennaio del '30. Entrambi provengono da famiglie povere che sono emigrate a Dallas durante gli anni '10 in cerca di miglior sorte. L'infanzia di lei è fatta di stenti per poter pagare la scuola e ottenere ottimi risultati, che in ogni caso non conducono al di là di un posto da cameriera al Marco's café; per lui, abbandonata presto la carriera scolastica, una tenda familiare sotto il viadotto di Houston Street, e una serie di furti d'auto e soggiorni in galera. Lo scenario è quello della crisi del '29, le cose vanno male a tutti gli Stati Uniti, a maggior ragione a chi non ha mai ottenuto molto dal Sogno Americano. Insieme scoprono che non ne possono più di una vita giocata al risparmio, con gli occhi bassi dinnanzi al presente, e una speranza che si sgretola ogni giorno di più di fronte all'austerità dettata dalla crisi. Si lanciano in una battaglia per se stessi e contro tutti.

Fino al giugno 1930 la loro resta una storia di azioni sparute e brevi periodi dentro e fuori la cella, finché lui non uccide un negoziante durante una rapina, e comincia la fuga della coppia. Le loro prime azioni non colpiscono particolarmente l'opinione pubblica: piccoli furti a pompe di benzina e gioiellerie. La loro viene liquidata come l'ennesima cricca di sbandati che non trova niente di meglio da fare che rapinare i bottegai del paese. I due cominciano ad essere visti sotto un'altra luce, dopo un agguato della polizia a Joplin nel Missouri. Bonnie e Clyde riescono a scappare sparando per coprirsi la fuga, ma non hanno il tempo di recuperare le loro cose. È in questo modo che un giornalista trova diversi rullini kodak nel covo ormai scoperto. Le foto, sviluppate, raccontano la storia di due giovani, innamorati l'uno dell'altra e della vita, che hanno scelto di rifiutare un'esistenza di indigenza, con la crisi che morde le calcagna, preferendo la fuga continua dalla società e dalla legge.

Ecco che nasce la leggenda. La maggior parte degli americani inizia ad impersonarsi in quelle due mitiche figure che hanno avuto il coraggio di fare ciò che tutti nel profondo desiderano.

Ma come spesso succede ai banditi imprendibili, anche Bonnie e Clyde commettono l'errore di allevare in seno la propria fine. E se fu Robert Ford, uno degli amici più stretti, a torgliere la vita a Jesse James, Henry Methvin, fattasi la situazione troppo scottante, non si fece scrupoli a barattare la sua libertà con la vita dei due compagni.

Ci sono ambiguità su come siano andate effettivamente le cose, fatto sta che il 23 maggio 1934, in una località vicino a Bienville Parish in Louisiana, una task force di texas ranger e poliziotti sa dove attendere i due rapinatori. Che puntuali arrivano a tutta velocità sulla loro Ford. Su di loro vengono scaricati più di 200 proiettili.

Ai funerali di Bonnie migliaia di persone accorrono a porgerle l'ultimo saluto, a testimonianza del fatto che la loro vita, vissuta contro la legge, aveva rappresentato per molti un segnale di alternativa all'austerità degli anni '30 americani.