..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 31 maggio 2022

Peppa 'a Cannunera - Luci e ombre

Nelle vicende siciliane legate al periodo Risorgimentale occupa un posto importante l’epopea di Peppa la Cannoniera, al secolo Giuseppa Bolognara (1826-1884)

 

LE LUCI

Le stampe d’epoca non la ritraggono fedelmente, dal momento che le notizie storiche più attendibili ce ne parlano come di una donna molto mascolina, che era solita vestirsi da uomo, con il viso butterato dal vaiolo e i capelli a spazzola. Nata a Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, a 14 anni venne a Catania e cominciò a lavorare come lavandaia. Secondo altre fonti avrebbe fatto anche la stalliera e la postina. Una vera eroina che con sprezzo del pericolo, nella giornata del 31 maggio 1860, ebbe un ruolo di primo piano nei combattimenti che si svolsero a Catania fra i patrioti e le truppe borboniche: per i rivoltosi, poco numerosi, male armati e male addestrati, il coraggio di Peppa fu un sostegno determinante che permise loro di dare del filo da torcere alle truppe borboniche prima dell’arrivo dei rinforzi. Peppa si rivelò anche un’abile stratega: prima architettò un vero e proprio “attacco sorpresa” nascondendo un cannone nell’atrio di un palazzo in piazza Ogninella; ad un suo comando venne poi aperto il portone all’improvviso e il cannone scaricato sui nemici. I borbonici subirono molte perdite e abbandonarono uno dei loro cannoni sulla via. Peppa, nell’entusiasmo generale, se ne impossessò con l’aiuto di una grossa fune. Arrivavano intanto dal mare i rinforzi dell’esercito borbonico. Fu la coraggiosa donna ancora una volta a distinguersi per sangue freddo e spirito d’iniziativa. Mentre lei ed alcuni patrioti trascinavano il cannone conquistato verso Palazzo Biscari, con l’intenzione di cannoneggiare i rinforzi nemici che venivano dal mare, si videro bloccare la strada dalla cavalleria borbonica. Peppa allora sparse un po' di polvere da sparo sulla volata del cannone e vi diede fuoco, facendo credere al nemico che il colpo avesse fatto cilecca; poi attese che i cavalieri si avvicinassero e diede fuoco alle polveri, con grave danno degli avversari. I ribelli catanesi ebbero comunque la peggio perché i rinforzi nemici riuscirono a sbarcare e a costringerli alla ritirata.

 


LE OMBRE

In questa sede bisogna spiegare ciò che lei stessa in quei giorni non riuscì a cogliere e cioè che la presenza garibaldina in Sicilia poteva essere e non fu un’autentica lotta di liberazione; certo lo fu “politicamente” perché i Borbone furono cacciati, ma non lo fu né socialmente, né economicamente. Così i contadini rimasero senza le terre demaniali, mentre borghesi e aristocratici riuscirono addirittura a portare i garibaldini sulle loro posizioni e mantenere, quindi, i loro privilegi di classe dirigente.

Peppa entrò nella Guardia nazionale e si prestò alla dirigenza aristocratico-borghese con­tro poveri e morti di fame: a Catania, dalle parti del collegio Cutelli, riuscì a scovare sotto un tavolo in una bottega di sartoria un malavitoso, accusato sommariamente di omicidio. Lo immobilizzò e lo fece legare e lo consegnò al plotone di esecuzione per la fucilazione.

Si guadagnò, così, la riconoscenza della guardia nazionale e del Governo che la ricompensò con un mensile di 19 ducati, poi trasformato in una “una tantum” di 216 ducati e fu anche decorata con la medaglia d’argento al valor militare. Come si sa la storia non è soltanto conoscenza dei fatti, ma anche memoria , giudizio e comparazione delle situazioni, dei problemi ed anche delle storie personali. E allora, solo per una riflessione, va detto che altre patriote e ribelli non ricevettero alcuna ricompensa. Peppa, comunque, non ebbe neppure la sorte di una vecchiaia serena: fino al 1876 restò a Catania, la si vedeva per le osterie vestita da uomo a bere e a fumare, poi tornò a Messina e cadde nella rete degli usurai a causa dei frequenti prestiti per sostenere le sempre più pesanti spese mediche. Fu ospite, accolta gratuitamente per spirito di carità, dalla proprietaria dell’albergo Dogali in via Bocca Barile, 2 e quando si aggravò la portarono in ospedale dove sarebbe morta.

domenica 29 maggio 2022

29 maggio 1971: scontri alle Porte Palatine

Il pomeriggio del 29 maggio del 1971, a Torino, una manifestazione animata da studenti, operai e solidali sfocia in cinque ore di duri scontri con le forze dell'ordine. Il corteo era stato indetto in solidarietà con gli operai FIAT, nei giorni in cui si stava chiudendo la vertenza sul contratto integrativo. Chiaramente i sindacati confederali non aderirono alla manifestazione, che vedeva come principali organizzatori Lotta Continua e Potere Operaio e che aveva come concentramento piazza Porte Palatine.

Intorno alle 16.30, quando alle Porte Palatine si trovavano più di 500 manifestanti, la Polizia decide di impedire la partenza del corteo, vista la presenza di un gran numero di manifestanti armati di bastoni. Da subito quindi sale la tensione, la polizia riesce a sequestrare una decina di bastoni, e in breve tempo si arriva allo scontro. Una trentina di carabinieri cerca di caricare per far disperdere il corteo che però risponde subito con grande determinazione. Dalle borse e dalle tasche dei manifestanti spuntano furori sassi e alcune bottiglie molotov. I carabinieri vengono praticamente accerchiati, molti militari alti in grado vengono presi particolarmente di mira: il vicequestore Mastronardi viene colpito da un sampietrino in pieno volto, si accascia a terra.

Giungono i rinforzi, 300 tra reparto mobile e carabinieri. I manifestanti però non si disperdono e riescono sempre a ricompattarsi. Gli scontri si spostano davanti al Duomo, alcuni manifestanti vi entreranno per sfuggire alle cariche, altri continueranno ad ingaggiare un violentissimo corpo a corpo fin sopra le scalinate della chiesa. Gli scontri continuano e si spostano nelle vie circostanti, nel pieno centro di Torino. Via Garibaldi e la centralissima piazza Castello sono lo scenario di una vera e propria battaglia: da un lato delle improvvisate barricate sassi bastoni e molotov, dall'altro lacrimogeni scudi e manganelli. Sono ormai le 19.15, quando la polizia riesce a sfondare le barricate e a guadagnare terreno, il corteo non è più compatto, ma i manifestanti non abbandonano le strade e continuano a fare azioni improvvisate, "imboscate" ai danni di volanti e blindati che trasportano i fermati (una sessantina).

Solo alle 21 la situazione sembra essere rientrata sotto il controllo delle forze dell'ordine, che hanno subìto più di quaranta di feriti, ma il clima è ancora teso e l'aria densa di lacrimogeni. Auto incendiate, vetrine sfondate, strade disselciate sono l'immagine di una Torino che (come si legge in un comunicato) quel giorno scese in piazza "per combattere la repressione padronale e poliziesca, per rendere agli sbirri ciò che si meritano".


giovedì 26 maggio 2022

Le parole libere

Le parole libere di esprimersi non devono essere messe al servizio della difesa dell’umano: esse appartengono, in quanto libertà, alla libertà dell’umano. Non è soltanto ciò che desta la coscienza e il portavoce del suo risveglio: è il linguaggio restituito al vivente, quello che esprime il modo in cui viviamo il mondo e lo stile con cui intendiamo viverlo.

Le parole libere ridanno vita al linguaggio, al contrario dell’economia che ne fa una lingua morta, rinsecchita, composta di vocaboli intercambiabili, oggetto di scambio e non elemento soggettivo e intersoggettivo, nato dalla magia, dall’incanto, dalla poesia. Infatti è nella natura del linguaggio il radicarsi nella vita, in quanto esperienza fondamentale dell’esistenza quotidiana, che diversifica gli esseri e le cose, che li allontana e li avvicina ma, costituendo la loro sostanza comune, non li separa mai.

La libertà d’espressione smetterà di essere il surrogato della libertà d’azione quando la vitalità e l’efficienza che essa racchiude in sé scongiureranno e scoraggeranno le contraffazioni creando una consonanza tra la fraternità delle parole e la fraternità degli uomini.

La libertà di dire tutto esiste soltanto se la si rivendica di continuo. Rinnega se stessa se si riduce a un consumo passivo di idee preconcette, la cui proliferazione caotica la soffoca.

Resta una libertà soltanto a patto che si restituisca alle parole quella vita inscindibile dal vissuto quotidiano, senza la quale una lingua si fossilizza e diventa stereotipo.

Rompere con il vecchio sistema di sfruttamento che ci ha dominati finora significa restituire al linguaggio quella vocazione poetica dotata in origine, del potere di influire sulle circostanza e sul destino degli esseri.

martedì 24 maggio 2022

24 maggio 1968: le chienlit c'est lui

Il 24 maggio 1968 Il generale De Gaulle compare in televisione con un proclama alla nazione, scossa dalla contestazione studentesca. È un discorso forte, una dura requisitoria contro gli studenti in agitazione e vaghe promesse di riforme sociali, di una maggiore democrazia. De Gaulle annuncia anche un referendum sulla sua politica. L'annuncio di un referendum però non può soddisfare né i più duri, né i moderati tra gli scioperanti.

Gli studenti, che ammassati davanti la Gare de Lyone aspettano di ascoltare il Presidente della Repubblica non sono più soli, sono stati raggiunti da giovani operai e dagli impiegati delle banche e della funzione pubblica. Alle 20 il generale parla. Bastano pochi minuti di discorso per scatenare l'ira della folla. A quel punto la stazione diventa teatro di violenti scontri che dureranno tutta la notte. Gli scontri però si susseguono per tutta la città arrivando fino alla Bastiglia e fin sotto la Borsa, che per poco non viene incendiata.

A questo punto gli scioperi che continuano a infiammare la città di Parigi si espandono per le altre città della Francia, che sembra ormai essere sul punto di un'insurrezione generale.

Lo stesso De Gaulle si rende conto quella sera di aver fallito l'obiettivo: i suoi stessi biografi lo descriveranno in quei giorni come un uomo depresso, pronto a scappare da Parigi, convinto della imminente vittoria della rivoluzione.

Il primo ministro Pompidou invece per far sì che i lavoratori lascino le fabbriche occupate, pronpone ai leader sindacali delle concessioni che vanno ben al di là di quello che questi ultimi hanno richiesto nel periodo precedente. Molti lavoratori accetteranno quello che i dirigenti sindacali presentano come una vittoria.

È cosi che quella che è stata realisticamente una rivoluzione possibile, agli inizi di giugno si placa, con i sindacati che accettano i compromessi per salvare la democrazia capitalista e una generazione intera di studenti, che si "accontenta" di aver stravolto i costumi e il modo di vivere dei giovani.

sabato 21 maggio 2022

La democrazia e il suo spettacolo

La democrazia come ci insegnano sin da piccoli è di per se etica quindi va imposta con qualsiasi mezzo così come è stato per i modelli di civilizzazione occidentale.

Fuori dalle regole del gioco democratico c'è solo, all'esterno, barbarie e fanatismo e all'interno sovversione, terrorismo, demenza, delinquenza e follia.

La democrazia per tanto è la forma dello spettacolo al suo più alto grado di concentrazione ed efficacia e, nel contempo, di diffusione capillare. È la democrazia delle merci, più ancora che quella del lavoro. È il diritto di cittadinanza nel mondo della società del capitale che si, integra a livello planetario e pianifica le differenze.

Per democrazia si intende un regime in cui periodicamente vengono indette “libere” elezioni a cui prendono parte un certo numero di cittadini; a queste elezioni partecipano partiti apparentemente diversi fra loro in rappresentanza di ipotetiche ideologie o di gruppi sociali con interessi differenti, ma con unico scopo e con la medesima aspirazione quella del controllo e dell'amministrazione del potere.

La democrazia si propone per tanto come forma, il suo contenuto, cioè il suo contenuto sociale risiede altrove: nei rapporti capitalistici, nell'autoritarismo dello stato, nella riproduzione costante ed accelerata dello spettacolo. Ipotizzare oggi organizzazioni societarie diverse da quella cosiddetta democratica si passa per provocatori o terroristi.

La merce ideologica denominata democrazia deve venire esportata ovunque e dovunque sotto le regole apparentemente flessibili dello spettacolo, e di quelle rigide e autoritarie del capitale.

Il totalitarismo ideologico raggiunge così il suo apogeo. Di fronte alla crisi di tutti i valori, due si presentano come fondamentali ed ineludibili: lo stato e la democrazia. Il capitale ne è la base materiale. lo spettacolo la rappresentazione totale.


mercoledì 18 maggio 2022

18 maggio 1944: "gira per la città Dante di Nanni"

Il 18 maggio ricorre l'anniversario della morte di una figura storica dell'antifascismo italiano: quella di Dante Di Nanni, giovane militante dei GAP torinesi, ucciso nel 1944, all'età di 19 anni, dalle truppe nazifasciste.

Figlio di genitori di origine pugliese, fin da giovanissimo comincia a lavorare nelle fabbriche cittadine, proseguendo gli studi alla scuola serale; allo scoppio della seconda guerra mondiale si arruola nell'aeronautica, che abbandona subito dopo l'armistizio del 1943. Rifugiatosi nelle montagne piemontesi, si unisce inizialmente ad un gruppo partigiano guidato da Ignazio Vian, per poi convergere nei GAP di Giovanni Pesce. È il 17 maggio del '44 quando Di Nanni, assieme ai compagni Giuseppe Bravin, Giovanni Pesce e Francesco Valentino, effettua un attacco ad una stazione radio che disturbava le comunicazioni di Radio Londra. Prima dell'azione, il gruppo di Gappisti disarma i militari preposti alla difesa della stazione e decide di graziarli in cambio della promessa di non dare l'allarme; ma i nove soldati tradiscono l'accordo e, ad azione terminata, i quattro partigiani vengono sorpresi ed attaccati da un gruppo di nazifascisti. Ne segue uno scontro a fuoco in cui Bravin e Valentino vengono feriti e catturati; portati alle carceri Le Nuove, saranno torturati a lungo ed infine impiccati il 22 Luglio: Bravin aveva 22 anni, Valentino 19. Anche Pesce e Di Nanni vengono colpiti durante lo scontro, ma il primo riesce a portare in salvo il compagno più giovane, gravemente ferito da 7 proiettili. Di Nanni viene trasportato nella base di San Bernardino 14, a Torino, dove un medico ne consiglia l'immediato ricovero in ospedale; Giovanni Pesce, allora, si allontana dall'abitazione per cercare aiuto e organizzare il trasporto del compagno, ma al suo ritorno trova la casa circondata da fascisti e tedeschi, avvertiti della presenza dei Gappisti dalla soffiata di una spia. Nonostante le gravi condizioni in cui versava, Di Nanni rifiuta di consegnarsi al nemico e resiste a lungo all'attacco nazifascista, barricandosi nell'appartamento del terzo piano e riuscendo ad eliminare diversi soldati tedeschi e fascisti con le munizioni rimastegli.

Casa di Dante Di Nanni a Torino

La sua eroica resistenza è riportata dalle parole dello stesso Giovanni Pesce che assistette in prima persona alla scena: «Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l'ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto poi con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola; da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L'ultimo fascista cade fulminato col colpo. Adesso non c'è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano. È in quell'attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio.» (Giovanni Pesce, Senza tregua - La guerra dei GAP, Feltrinelli, 1967) Nel 1945 viene insignito della Medaglia d'Oro al valor militare. A 67 anni di distanza dalla sua morte, vogliamo ricordare Dante Di Nanni come un esempio a cui guardare per la determinazione e la forza con cui, assieme a tant* antifascist*, scelse la strada della resistenza e della lotta contro l'oppressione nazifascista.

lunedì 16 maggio 2022

16 maggio 1944: la rivolta dei gitani ad Auschwitz

6 maggio 1944, le SS decidono di smantellare il Familienzigeunerlager, il “campo per famiglie zingare” ad Auschwitz. "Smantellare il campo" è una triste formula che porta con sé allegato il significato di "eliminare tutti gli internati". E' consuetudine, ad Auschwitz, che ad una decisione presa dai nazisti segua docile la sua messa in atto, senza ostacoli o impedimenti. Non ci si aspetta che qualcuno tra i reclusi nel lager possa alzarsi in piedi a dire di no: non è mai successo, e diversi anni di esperienza nei campi hanno insegnato questa usanza a prigionieri e secondini.

Ma quel 16 maggio, all'ordine di uscire dalle baracche e dirigersi verso le camere a gas, segue sorda la risposta di chi non ha mai voluto imparare costumi e usanze del posto. In 4.000 escono dai capannoni. Hanno dipinti sul volto i segni della fame e dei soprusi, ma negli occhi brilla ancora una scintilla di dignità che impedisce loro di andare a morire in silenzio. Uomini donne e bambini. Chi armato di spranga, chi di bastone. Alcuni raccolgono da terra pietre e calcinacci, altri si gettano sugli aguzzini a mani nude. Le SS sono costrette a desistere di fronte alla rivolta, sconcertate da una reazione che non pensavano potesse verificarsi e che non si verificherà più.

Lo Zigeunerlager viene liquidato il 2 agosto dello stesso anno, e tutti i detenuti all'interno uccisi. I nazisti hanno smesso di passare i rifornimenti al campo, e i Gitani presi per fame vengono ridotti all'obbedienza e alla fossa.

Si parla poco della morte di oltre 500.000 tra Rom, Sinti e Manush sotto il regime nazista e fascista, e della predilezione che il dottor Mengele aveva nei suoi esperimenti per i bambini zigani. Durante il Processo di Norimberga i superstiti non vengono neanche ammessi come parte civile, e pochi stati attualmente annoverano il Porrajmos (termine che il lingua romani significa "divoramento") subito dai gitani come parte dei crimini nazisti.

venerdì 13 maggio 2022

Che cos’è il diritto di proprietà? È un diritto naturale?

Su quali basi poggia la società borghese? Fatta astrazione dai principi di famiglia, patria e religione, che non sono altro che dei corollari, possiamo affermare che le due pietre di volta, i due principi fondamentali dello stato attuale sono l'autorità e la proprietà.

Tutti i mali di cui soffriamo derivano dalla proprietà e dall'autorità. La miseria, il furto, il crimine la prostituzione, le guerre, le rivoluzioni non sono altro che risultanti di questi due principi. Dunque, essendo cattive le due basi della società, non c'è da esitare. Non bisogna sperimentare un mucchio di palliativi (cioè il socialismo) che servono solo a spostare il male; bisogna distruggere i due germi viziati ed estirparli dalla vita sociale.

Per questo noi anarchici vogliamo sostituire alla proprietà individuale il comunismo, e la libertà all'autorità.

Quindi, niente più titoli di possesso, né titoli di dominazione: eguaglianza assoluta.

Quando noi diciamo eguaglianza assoluta non pretendiamo che tutti gli uomini avranno una stessa mente, una messa organizzazione fisica, sappiamo molto bene che ci sarà sempre la più grande diversità tra le attitudini cerebrali e corporali. Ed è questa varietà di capacità che realizzerà la produzione di tutto ciò che è necessario all'umanità, e su di essa noi contiamo per mantenere l’emulazione in una società anarchica.

L’autorità e la proprietà marciano sempre insieme, si sostengono l’un l'altra, per tenere schiava l'umanità!

Che cos’è il diritto di proprietà? È un diritto naturale? 

Ci saranno ingegneri e manovali, questo è evidente, ma senza che l'uno abbia la minima superiorità sull'altro; perché il lavoro dell'ingegnere non servirebbe a niente senza il concorso del manovale, e viceversa. 

mercoledì 11 maggio 2022

11 maggio 1968: Parigi, la notte delle barricate

Nella notte tra il 10 e l’11 maggio 1968, a Parigi si ha uno degli episodi più significativi del Maggio Francese: la “notte delle barricate”.

Il maggio francese, inizialmente animato perlopiù dagli studenti vede il suo convenzionale inizio con l’occupazione della Sorbona e i conseguenti scontri succeduti allo sgombero ed agli arresti da parte della polizia. Da quel momento il movimento inizia ad organizzare ed a prepararsi allo scontro con le forze dell’ordine, precedentemente raro e non particolarmente intenso.

Il 10 maggio un corteo di 20.000 persone si muove verso il ministero della giustizia per chiedere la riapertura della Sorbona (fatta chiudere dal rettore dopo i fatti del 3 maggio) e la liberazione degli studenti arrestati. La polizia occupa i ponti sulla senna, il corteo decide dunque di non provare a forzare gli sbarramenti della polizia per continuare verso il ministero, ma di occupare il Quartiere latino, area universitaria nei pressi della Sorbona. E’ intorno alle 21 che si concretizza l’idea di ingaggiare le forze dell’ordine in uno scontro deciso e iniziare la resistenza ad oltranza: una sessantina di persone inizia ad erigere le prime barricate. Da subito tutti accorrono a rafforzare le difese (“Mai la passione della distruzione si era mostrata più creatrice. Tutti corsero alle barricate. I leaders non avevano più la parola”, commenterà Vienet).

Verso mezzanotte una delegazione di studenti ed insegnanti viene accolta dal rettore, che decide di riaprire l’università, ma che chiaramente non può dare garanzie riguardo agli arrestati.

Solo intorno alle 2.15 la polizia, dopo aver lanciato una enorme quantità di lacrimogeni, decide di caricare gli occupanti. A quell’ora rimanevano in strada circa 2.000 persone, la maggior parte studenti (moltissimi liceali, oltre che studenti universitari), qualche centinaio di operai, gruppuscoli di blousons-noirs (piccoli delinquenti), molti stranieri e molte ragazze. Gli scontri continuarono intensissimi per più di tre ore. Intorno alle sei del mattino, dopo più di 500 arresti, e con la fuga degli occupanti (molti dei quali nascosti dalla popolazione della zona, che si mostrò da subito solidale) il quartiere si poteva dire “ripulito” dalle forze dell’ordine, che continuarono i rastrellamenti fino in tarda mattinata. Il Quartiere Latino sembrava però devastato da un tornado, con macchine ribaltate ovunque, masserizie, arredo urbano divelto e ancora ammassato a formare lo scheletro di una notte di resistenza. Le radio e la televisione avevano seguito in diretta lo svolgersi degli scontri, mostrando l’inaudita violenza repressiva delle forze dell’ordine e l’opinione pubblica francese, sin dalla mattina dell’11 era scossa dai fatti della notte: i sindacati indirono uno sciopero in solidarietà con gli studenti.

Quest’ultimo fatto non è di secondaria importanza. Se inizialmente i vertici sindacali liquidarono le mobilitazioni studentesche come piccolo borghesi, mentre la base sindacale si sentiva comunque vicina a questi movimenti (partecipando spontaneamente alla notte delle barricate), la dirigenza si dovette ricredere, prova ne fu il fatto che lo sciopero generale del 13 portò in piazza a Parigi un milione di persone.

lunedì 9 maggio 2022

9 maggio 1976: morte di Ulrike Meinhof

9 maggio 1976, il corpo di Ulrike Meinhof viene trovato senza vita, appeso alla finestra della sua cella nel braccio speciale del carcere di Stoccarda Stammheimer. Le perizie legali, sempre molto lacunose ed incomplete, si orientano tutte verso l’ipotesi del suicidio della militante rivoluzionaria. Ma ci sono elementi che non convincono; gli altri detenuti non credono alla versione ufficiale in cui poliziotti e medici legali si contraddicono senza pudore. E non sono solo i suoi compagni di prigionia ad avere dei dubbi: anche nell’opinione pubblica comincia a farsi spazio quest’idea che la Meinhof sia “stata suicidata” da terzi. Così nasce la Commissione internazionale di inchiesta sulla morte di Ulrike Meinhof, che comincia a portare alla luce tutte quelle discordanze prodotte dalle autopsie legali. Non ultimo il problema di un cappio troppo largo per sostenere il corpo. Citiamo dalla traduzione italiana: “Si può appendere un cadavere in un cappio troppo largo, solo se si approfitta della rigidità cadaverica per mettere la testa in una posizione fissa, che non permetta più al cappio di scivolare.”.

Ulrike Meinhof è in prigione in attesa del processo che probabilmente la condannerà al carcere a vita. È membro fondatore della Rote Armee Fraktion (Fazione dell’Armata Rossa), un’organizzazione rivoluzionaria della Germania ovest, attiva dal 1970 al 1998. Incarcerati insieme a lei ci sono altri membri della prima generazione del gruppo: Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan-Carl Raspe e Irmgard Möller. Anche loro, il 13 ottobre dell’anno successivo “decideranno” di suicidarsi. Baader e Esslin moriranno nelle loro celle, Raspe in ospedale, mentre la Möller non “riuscirà” a togliersi la vita con una serie di coltellate in petto, e avrà quindi la possibilità di raccontare in un libro, di come i suoi tre compagni abbiano subito la stessa sorte di Ulrike.

Il movimento nella Germania ovest è alquanto eterogeno. Molto forti sono le correnti libertarie e situazioniste; rara la militanza in forma organizzata. Tutte le proteste hanno come epicentro la sensazione che la denazificazione nella repubblica federale non sia stata neanche abbozzata. Le strutture e i volti del potere sono gli stessi che operavano sotto il regime hitleriano. È in questo clima che nel gruppo di Baader e Meinhof sorge spontanea la necessità di organizzarsi in una risposta armata al regime di cose presente. Si sceglie come nome Rote Armee Fraktion, per chiarire quel sentimento di appartenenza ad un movimento rivoluzionario più ampio e mondiale. Fin dall’inizio la RAF prende contatti con organizzazioni rivoluzionarie straniere: dalle BR, ai Tupamaros, all’FPLP, cui i militanti tedeschi devono l’addestramento militare in Cisgiordania. L’influenza che queste esperienze internazionali hanno sulla RAF è impressionante. L’organizzazione tedesca comincia a sperimentare sul suo campo di battaglia metodi e strutture saggiati dai movimenti uruguayano e palestinese. Un’organizzazione articolata in cellule di combattimento, simile anche se meno radicale della struttura di Settembre Nero; una teoria della guerriglia urbana mutuata dai teorici del Sud America fanno delle RAF una delle organizzazioni rivoluzionarie europee più longeve del secondo dopo guerra.

domenica 8 maggio 2022

8 maggio 1978: l'uccisione di Peppino Impastato

Nella notte tra l’otto e il nove maggio 1978, il corpo di Peppino Impastato, posto sulla linea ferroviaria Palermo – Trapani, è dilaniato da una carica di tritolo. Il suo funerale, partecipato da centinaia di giovani provenienti da tutta la Sicilia, viene aperto da uno striscione con la scritta “Con le idee e il coraggio di Peppino, noi continuiamo”.

E proprio dalle idee che lo spinsero a schierarsi apertamente contro la “borghesia mafiosa” della provincia palermitana è bene cominciare, per comprendere a pieno il profilo di un compagno per lungo tempo dimenticato e attualmente riciclato in uno dei tanti santini dell’antimafia da salotto.

Giuseppe Impastato nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato, quest’ultimo ben inserito nel contesto mafioso della provincia di Palermo (era stato inviato al confino durante il periodo fascista, mentre una delle sorelle aveva sposato il capomafia Cesare Manzella, ucciso con una giulietta al tritolo nel 1963). Ancora ragazzo, Peppino rompe con il padre, che lo caccia via di casa, e comincia a dedicarsi all’attività politica: nel 1965 fonda il giornale "L'Idea socialista" e aderisce al Psiup. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo “Musica e cultura”, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti ecc.) e al cui interno trovano particolare spazio il "Collettivo Femminista" e il "Collettivo Antinucleare"

Lui stesso descrive questa intensa fase con le seguenti parole :"Arrivai alla politica nel lontano novembre del '65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare ormai divenuta insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale. E' riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività”.

Nell’estate del 1973 aderisce a Lotta Continua e conosce Mauro Rostagno, di cui apprezza in particolar modo le posizioni libertarie. Nel 1976 fonda Radio Aut, emittente privata e autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Il programma più ascoltato è “Onda pazza”, trasmissione condotta da Peppino stesso, durante la quale denuncia quotidianamente i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo primario nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali, e viene eletto nel Consiglio comunale di Cinisi appena pochi giorni dopo essere stato assassinato.

Fin da subito, stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, di un suicidio “eclatante”. Il 9 maggio del 1979 il Centro siciliano di documentazione (nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato a Giuseppe Impastato) organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il paese. Dopo diverse archiviazioni, depistaggi e ostruzioni da parte della polizia, il caso dell’omicidio viene riaperto nel 1996 grazie alle forza e alla determinazione dei compagni e della madre di Peppino e del Centro di documentazione Impastato; il 5 marzo 2001 la Corte d’Assise ha riconosciuto come colpevoli dell’omicidio Gaetano Badalamenti nel ruolo di mandante e Vito Palazzolo in quello di esecutore.

Della figura di Peppino a noi interessa però sottolineare l’importanza della sua antimafia sociale, contro un sistema di relazioni in cui sono strettamente intrecciate mafie, politica, amministrazione, finanza. Come ha scritto Giovanni Russo Spena, “L’antimafia sociale contro la borghesia mafiosa, contro processi di accumulazione mafiosa che sono veri e propri percorsi di valorizzazione del capitale globale (…) Noi ci impegniamo a ricostruire, pur dentro alle difficoltà del presente, partecipazione, protagonismo, autorganizzazione, intorno ad una antimafia, come quella che Peppino ha incarnato, non ipocrita, non di facciata, ma viva, vera, sociale; lottare contro le mafie è, per tanti giovani e tante ragazze, anche lotta contro la precarietà, per il salario sociale, il reddito di cittadinanza. Per questo Peppino è parte fondativa del nostro vissuto politico. Per questo rifiutiamo interpretazioni edulcorate e centriste: Peppino fu uomo del ’68, non va dimenticato. Fu militante anticapitalista che organizzava conflitti sociali, dagli studenti ai braccianti, ai contadini poveri. E fu precursore, anche come organizzatore culturale, di un’intensa e moderna criticità come rovesciamento e senso comune di massa. Radio Aut fu la struttura comunicativa più moderna del Mezzogiorno, negli anni Settanta, esempio straordinario di inchiesta e controinformazione. La metafora, il sarcasmo, la desacralizzazione dei capi mafiosi diventarono, con Peppino, strumento di lotta politica”.

Perciò fa strano vedere la figura di Peppino innalzata a fredda icona di tanti professionisti dell’antimafia, come l'associazione Libera e l'universo legalitario che le gravita attorno (per non parlare del Movimento 5 Stelle, del partito di Repubblica, di Travaglio e compagnia cantante). E' utile ricordare inoltre la recente diffida del Centro di documentazione Impastato nei confronti di Roberto Saviano, reo di aver inventato di sana pianta che fu il film “I cento passi” e non i compagni, i familiari e il Centro stesso a far riaprire le indagini sul caso di Peppino, quasi a voler cancellare le lotte, le idee e il ricordo del compagno che meglio ha incarnato lo slogan "nè con la mafia nè con lo Stato".

Al contrario, bisogna legare l'antimafia alla lotta per l'uso razionale delle risorse sottraendole ai reticoli clientelari, per la difesa del territorio e contro il nucleare, per la partecipazione non intesa soltanto come liturgia delle elezioni e delle primarie. L'antimafia che attualmente cerca di coniugare la difesa delle istituzioni (la Costituzione, i magistrati impegnati, la legislazione antimafia) con la decriminalizzazione del potere, dimentica completamente la portata fondamentale della lotta sociale che Peppino Impastato ha combattuto nelle piazze e nel Movimento.


venerdì 6 maggio 2022

6 Maggio 1877: Cavallo Pazzo si arrende

“Noi non abbiamo chiesto a voi uomini bianchi di venire qui. Il Grande Spirito ci diede questa terra perché ne facessimo la nostra casa. Voi avevate la vostra. Non abbiamo interferito con voi. Il Grande Spirito ci affidò un grande territorio per viverci, e bufali, cervi, antilopi e altri animali. Ma voi siete arrivati; state rubando la mia terra, state uccidendo la nostra selvaggina rendendoci difficile la sopravvivenza. Ora ci dite di lavorare per mantenerci, ma il Grande Spirito non ci creò per faticare, bensì per vivere di caccia. Voi uomini bianchi siete liberi di lavorare, se volete. Noi non vi ostacoliamo, e ancora chiedete perché non ci civilizziamo. Non vogliamo la vostra civiltà! Vogliamo vivere come i nostri padri e come i padri dei nostri padri.”

 

Queste la parole di Tashunka Uitko, ovvero in lingua Lakota “il suo cavallo è pazzo”, perché dopo la sua nascita, un cavallo selvatico si aggirava nella valle in cui era nato e anche per il suo modo intrepido di combattere riscontratogli da giovane. Ma Passo alla storia come Cavallo Pazzo, per gli americani Crazy Horse, forse il più grande condottiero dei nativi americani, eroe della vittoria contro il Generale Caster a Little Big Horn, ammantato di leggende . Anche la sua data di nascita è oggetto di mistero, forse nel 1841, forse nel 1849, ma di certo nacque in una delle 7 tribù Lakota – il nome Sioux (cioè "Mezzi Serpenti") era un epiteto spregiativo coniato da indiani rivali- gli Oglala, e fu anche atipico per quella etnia, alto solo 170 cm quando gli altri arrivavano anche ai due metri, inoltre era chiamato anche ricciuto, a causa dei suoi capelli particolarmente ricci e chiari, caratteristica rara negli indiani. Ma il giovane Cavallo Pazzo era destinato a grandi imprese,infante sopravvisse alla distruzione del suo villaggio ad opera dei soldati federali del generale George Crook, soprannominato Volpe Grigia, colui che per una vita intera fu il suo acerrimo nemico.

Inoltre Aveva già rubato molti cavalli ai Crow prima di avere tredici anni e guidò la sua prima spedizione di guerra prima di compierne venti. Cavallo Pazzo combatté nel guerra del 1865-1868 guidata dal Capo degli Oglala Sioux Nuvola Rossa contro i coloni americani del Wyoming e giocò un ruolo chiave nella distruzione del battaglione guidato da Fetterman a Forte Phil Kearny nel 1867. Poi essendo nipote di un leggendario capo tribù e guerriero Bisonte Nero e suo padre fu uno sciamano, questo aiutò ad accrescere il suo carisma presso i Lakota ed anche i Cheyenne avendone sposata una donna, unito al suo coraggio e audacia in battaglia Cavallo Pazzo era visto tra la sua gente come un uomo sacro al quale “la visione” aveva dato incarico di preservare e difendere le tradizioni e il modo di vita dei Lakota. Anche se giovane di età, Cavallo Pazzo era un guerriero leggendario. Cavallo Pazzo guadagnò la sua fama tra i Lakota non solo per la sua destrezza e audacia in battaglia, ma anche per la sua fiera determinazione nel preservare il modo di vivere tradizionale della sua gente.

Le sue immense doti carismatiche e di guerriero, gli valsero la nomina di grande capo guerriero dai capi tribù Toro Seduto e Nuvola Rossa. Da quel giorno, dedicò la sua vita quasi esclusivamente nel combattere le armate che tentavano di impadronirsi del loro territorio e che minacciavano la loro vita e soprattutto la loro libertà. Il 25 giugno 1876, la battaglia di Little Bighorn, rese Cavallo Pazzo un eroe leggendario. Quando nel 1876 il Dipartimento per la Guerra ordinò a tutte le bande dei Lakota di rientrare nell'ambito delle riserve loro assegnate, Cavallo Pazzo divenne uno dei leader della resistenza indiana. Strettamente alleato ai Cheyenne riuscì a radunare un contingente di Sioux e Cheyenne forte di 1200 persone in un unico villaggio e costrinse il Generale Crook ad un rapido dietrofront il 17 giugno del 1876 allorquando il Generale stava tentando di risalire il Rosebund Creek diretto verso l’accampamento di Toro Seduto sul Little Bighorn. Il 22 giugno, il generale George Armstrong Custer (chiamato dagli indiani Capelli Lunghi), ricevette l’ordine di recarsi in esplorazione a monte del fiume Rosebund. Due giorni dopo, i suoi esploratori gli riferiscono che un gruppo di Lakota andava verso la valle di Little Bighorn ed egli stesso volle accertarsene. Sottovalutando la forza dei pellirossa, il 25 giugno decise di attaccare gli indiani, tentando di accerchiarli con tre truppe: quella guidata dal generale Custer, quella con il capitano Frederick Benteen e la truppa del maggiore Marcus Reno, in cui diversi italiani ne facevano parte e alcuni di questi sopravvissero alla battaglia. Increduli, i federali si trovarono di fronte più di 1.200 uomini Sioux e Cheyenne, sotto la guida del leggendario Cavallo Pazzo, di Pianto in volto, Due lune e Pizi, il quale costrinsero prima le truppe di Reno alla ritirata, poi quelle di Benteen, per poi sterminare quasi del tutto le truppe di Custer. In poche ore i federali furono costretti a trincerarsi, riuscendo a fuggire dalla valle solo quattro giorni dopo e subendo circa 270 perdite, mentre le truppe indiane, armate solo di tomahawk, arco e frecce, furono quasi indenni. Dopo questa battaglia, nasce la leggenda che vede Cavallo Pazzo invulnerabile ai proiettili (a causa di una ferita, forse di striscio, che non gli causò problemi) e che il suo spirito, ancora oggi sovrasta le capanne indiane. Dopo questa vittoria, Cavallo Pazzo unì le proprie forze a quelle di Toro Seduto e il 25 giugno 1876 guidò la sua banda nel contrattacco che portò alla distruzione del VII Cavalleria guidato dal Generale Custer, assalendo gli americani da nord e ovest, mentre i guerrieri Hunkpapa Sioux, guidati dal capo Gall, li caricavano da sud e da est. Ma i successi militari durarono ben poco, i Lakota furono costretti a fuggire e il 6 maggio1877, 900 Oglala, tra cui Cavallo Pazzo, furono costretti ad arrendersi e a consegnarsi al comandante Clark di Fort Robinson, che li terrà sott’occhio in una riserva poco distante. Di Cavallo Pazzo non si conoscono fotografie certe, a differenza di altri capi indiani non voleva far catturare il suo “spirito” dai bianchi, e il suo innato senso di libertà lo porto ben presto a d avere problemi anche in prigionia, portandolo alla morte. Nel mese del settembre del 1877, avrebbe lasciato la riserva senza autorizzazione per accompagnare sua moglie malata dai genitori e il Generale George Crook, temendo che tentasse un ritorno alla battaglia, ne avrebbe ordinato l'arresto. Cavallo Pazzo inizialmente non avrebbe opposto resistenza ma, resosi conto che lo stavano conducendo ad una prigione, avrebbe cominciato a lottare con le guardie: mentre veniva trattenuto da un uomo della polizia indiana che lo scortava, un soldato semplice di nome William Gentiles lo avrebbe colpito alla schiena con una baionetta, ferendolo a morte: era il 5 settembre, esistono altre versioni Ma Gli indiani non si sono mai interessati più di tanto nel sapere come è morto, hanno sempre preferito ricordarlo da vivo.

giovedì 5 maggio 2022

Camillo Berneri in Catalogna

 

Scoppiata la guerra civile spagnola, Berneri fu tra i primi ad accorrere in Catalogna, centro dell'attività di massa libertaria esprimentesi nella Confederación Nacional del Trabajo: qui si trovò a fianco di Carlo Rosselli con tanta parte dell'antifascismo italiano e internazionale. Furono gli ultimi mesi febbrili della sua vita: inadatto alle fatiche del fronte, si dedicò con entusiasmo all'opera formativa, al dibattito ideale e alle incombenze politiche pubblicando a Barcellona dal 9 ottobre 1936 un proprio periodico dal titolo Guerra di classe che sintetizzava la sua precisa interpretazione del conflitto in corso. In esso infatti Berneri, preoccupato per il crescente isolamento non tanto del legittimo governo repubblicano quanto delle più tipiche realizzazioni rivoluzionarie e libertarie conseguite in Catalogna, Aragona e altre regioni, si batté vigorosamente per la stretta connessione di guerra e rivoluzione ponendo agli antifascisti e ai suoi stessi compagni anarchici il dilemma: vittoria su Franco, grazie alla guerra rivoluzionaria, o disfatta. Tale la sostanza di numerosi suoi articoli e discorsi come della famosa Lettera aperta alla ministra anarchica della Sanità Federica Montseny che con altri tre anarchici era nel governo di Largo Caballero.

Molteplici, seppure inascoltati, furono anche i suoi suggerimenti politici per colpire le basi operative del fascismo proclamando l'indipendenza del Marocco, coordinare gli sforzi militari, potenziare gradualmente la socializzazione. Fu dunque quella di Berneri una funzione singolarmente impegnata che lo espose ben presto alle feroci repressioni condotte dai comunisti ormai prevalsi dopo l'avvento del governo di Juan Negrín: scomparvero così tragicamente, vittime dei massacri di massa, migliaia di combattenti antifascisti non comunisti, anarchici ma anche comunisti non stalinisti, come i miliziani del POUM. L'assassinio di Camillo Berneri, sulle cui esatte circostanze esistono diverse versioni [1], si colloca precisamente nella sanguinosa resa dei conti tra stalinisti e loro avversari antifascisti conosciuta come la battaglia di Barcellona (maggio 1937). Il 5 maggio Berneri fu prelevato insieme con l'amico anarchico Francesco Barbieri dall'appartamento che i due condividevano. I cadaveri dei due anarchici italiani furono ritrovati crivellati di proiettili. La moglie di Camillo Berneri allevò i figli di Antonio Cieri, anche lui caduto in Spagna. Camillo Berneri fu sepolto nel cimitero di Sants(Barcellona);purtroppo sul luogo della sua sepoltura pare che sia stato costruito un campo di calcio in occasione delle ultime olimpiadi. Il tentativo di sua madre e di sua moglie di riportarlo in Italia,non ebbe successo ed oggi quindi la sua sepoltura è perduta.

mercoledì 4 maggio 2022

DYNAMITE, Chicago 1886

La bomba a Haymarket

21 aprile 1886

“Chi accetta l’ordine attuale delle cose non ha nessun diritto di lamentarsi dell’estorsione capitalistica, perché ordine significa sostenerla; chi si rivolta … è un ribelle, e non ha diritto di lamentarsi se è costretto a scontrarsi con i soldati. Ogni classe si difende come può. Il ribelle che si mette a mani vuote davanti alla bocca del cannone dei suoi nemici, è un folle”.

 

28 aprile 1886

“Dobbiamo affrontare la polizia e i soldati … con eserciti armati di lavoratori. Oggi le armi sono più necessarie di ogni altra cosa. Chi non ha soldi venda il suo orologio, se ne ha uno, per comprare un fucile. Non bastano pietre e bastoni contro gli assassini prezzolati di coloro che estorcono il denaro. È venuto il momento di armarci!”

 

La circolare Vendetta

01 maggio 1886

“Avanti con coraggio! La lotta è cominciata … lavoratori la vostra parola d’ordine sia: nessun compromesso! I codardi alla retroguardia, gli uomini al fronte! Il dado è tratto! Il primo maggio è arrivato … pulite i fucili, procuratevi le munizioni. Gli assassini prezzolati dei capitalisti, polizia e milizia, sono pronti ad uccidere. Nessun lavoratore in questi giorni deve uscire di casa con le tasche vuote”.

 

04 maggio 1886

“SANGUE! Piombo e Polvere sono la medicina per i lavoratori insoddisfatti.

Questa è la Legge e l’Ordine! …

Nei loro palazzi si riempiono i calici con vini costosi e brindano alla salute dei sanguinari banditi della Legge e dell’Ordine. Asciugatevi le lacrime, poveri che soffrite. Prendete coraggio! Fate insorgere il vostro potere e abbattete nella polvere il dominio esistente del ladrocinio!”

domenica 1 maggio 2022

Per un primo maggio di lotta, sciopero, solidarietà tra sfruttati contro sfruttatori e governanti.

Nel 1886 a Chicago i lavoratori lottavano per le otto ore lavorative. In prima fila gli anarchici, che in quella lotta vedevano un passo verso la rivoluzione sociale, la fine della società classista e gerarchica.

Cinque di loro furono impiccati. L’anarchia faceva e fa paura a padroni e governanti.

La morte dei quattro anarchici non spense il fuoco della rivolta. Anzi!

Quel fuoco continua a divampare nelle nostre lotte.

·       Tra i lavoratori che sanno che la guerra di classe si combatte facendo male ai padroni

·       Tra gli sfrattati che non si rassegnano alla strada e si prendono le case vuote.

·       Tra i lavoratori che bloccano e occupano magazzini e strade per vivere meglio.

·       Tra chi lotta contro la devastazione dell’ambiente e la predazione delle risorse.

·       Tra chi vuole spezzare il confine tra i sommersi e i salvati e cerca di abbattere le frontiere e si unisce ai migranti che ogni giorno provano a bucarle

Cambiare la rotta è possibile. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi e le lotte territoriali.

Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di liberi ed eguali è possibile.

Tocca a noi costruirlo.