..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 31 agosto 2015

Dalla persona allo schiavo

Che cos'è la persona? È un individuo irripetibile, quindi prezioso, con le proprie caratteristiche psicofisiche e le proprie particolari necessità vitali. La persona si caratterizza per tutta una serie di libertà che la rendono autonoma nel suo manifestarsi e pienamente cosciente della propria esistenza, della propria morale, e della propria autodeterminazione. Tali libertà e tali prerogative finiscono allorché la persona demanda a un'altra persona la gestione della sua vita, dei suoi bisogni, dei suoi ritmi, del suo lavoro, della sua educazione, e crede di dipendere in tutto dai codici esterni imposti con il ricatto, con la forza, con l'inganno. A quel punto la persona finisce di essere tale e diventa, di volta in volta, 'cittadino', 'elettore', 'consumatore', 'contribuente', cioè un ruolo sociale, una bandierina al vento della massificazione, un ingranaggio del sistema, una pedina in mano all'apparato delegato, carne da cannone, carne da produzione capitalista, uno strumento di quanti, a turno, vorranno sfruttarlo per un proprio tornaconto.
La persona che nasce e cresce in un contesto sociale dove ogni sua ormai ex libertà deve essere continuamente mendicata, trova del tutto naturale (anzi magnifica) l'organizzazione politica in cui si trova, tuttavia chi detiene il controllo dei codici comportamentali e il dominio sulle libertà degli individui, non allenta mai la presa, e programma continuamente la sua opera di convincimento, secondo cui non esiste altro modello di gestione sociale, generatore di presunta “civiltà”, di sedicente ”progresso”, di illusoria ”giustizia”, e di inesistente ”libertà”. Qualsiasi altra forma di gestione sociale è bandita o demonizzata, soprattutto quella forma capace di ridare al cittadino la sua dimensione umana di persona, con tutte le sue naturali libertà e prerogative: l'anarchia.
Le forme e i mezzi di convincimento perpetuo affinché i cittadini rimangano convinti della necessità di delegare le proprie libertà sono moltissime e variamente adattate alle circostanze culturali e storiche: dalla censura sistematica, al modello familiare, dalla scuola, ai media, dall'atomizzazione dell'unità del popolo, al progressivo abbrutimento dato dallo sfruttamento dei sentimenti (compresi quelli mistici) e dal funzionamento costante di tutti questi meccanismi.
L'artificio è tragicamente geniale. Si tratta di fare in modo che il cittadino, privato delle libertà e succube del sistema, invochi l'intervento del sistema stesso per la risoluzione dei suoi problemi. È un circolo vizioso. Più il sistema predispone la società al crimine attraverso la coercizione data dalle sue leggi, più il cittadino invoca le leggi del sistema per porre termine ai crimini. Geniale. È il sistema mafioso, allorché uno sgherro arriva nel quartiere a dettare la sua legge, intimorendo tutti e a riscuotere il pizzo, ma dove chi nasce in quel clima e in quel sistema (senza che gli si dia l'opportunità di conoscere altro) trova tutto assolutamente normale, e anzi, aiuta lo sgherro votandolo, lodandolo, perpetuando quel sistema mafioso, nella ingenua credenza che lo sgherro sia lì davvero a protezione del cittadino e delle sue libertà. Non è tutto, è come se lo sgherro mafioso, dopo aver intimorito tutti (si governa innestando la paura) diffondesse nel quartiere la diceria secondo cui qualsiasi altro sistema che non preveda la sua gerarchia e le sue leggi sia un male assoluto. E tutti ci credono. Geniale.
Da molto tempo siamo arrivati a un punto storico veramente paradossale, perché se da un lato proprio la Storia ci informa che non è mai esistito un governo che abbia ridato la libertà alle (ex) persone, dall'altro lato la storicizzazione non ha fatto altro che dogmatizzare il sistema. Ecco perché siamo di fronte a una moltitudine di sudditi lamentosi, ma sempre pronti a difendere il loro padrone. Ecco il paradosso. Lo schiavo si lamenta degli effetti dello Stato, ma poiché per lui lo Stato è diventato una religione, quindi qualcosa che si è innestato nei livelli più profondi della coscienza emotiva, lo difende a spada tratta. Lo Stato ne approfitta anche per mandare lo schiavo a morire in guerra, il quale va, convinto di farlo per una propria causa, ignorando (o volendo ignorare) che la libertà millantata dallo Stato è sempre menzogna, ormai storica, è solo l'ingrasso dei padroni a spese del popolo.
Ai sudditi qualche consiglio: non cascate nella trappola, non credete alle parole dello sgherro mafioso, state alla larga dai cercatori d'oro (l'oro, per loro, siete voi), state alla larga da chi vi vuole dividere, siate solidali, leggete sull'anarchia e troverete tutto ciò che vi occorre sapere. E al bando i pregiudizi.

sabato 29 agosto 2015

Bresci è condannato

Bresci è condannato. È condannato senza essere stato ascoltato, senza essere stato difeso, senza essere stato giudicato. La commedia giudiziaria che serve come epilogo al dramma di Monza non è che un argomento di più in favore delle dottrine rivoluzionarie, un’arma nuova e terribile contro le istituzioni ipocrite e barbare.
Bresci è condannato. Domani sarà in una cella lunga due metri, larga uno, con la catena ai piedi. Fra un anno sarà pazzo, ed è possibile sperare che prima di dieci anni sarà morto. Ma fin d’ora la monarchia italiana sembra salva e si respira al Quirinale. […] Si oserebbe forse pensare che la condanna di Milano cancellerà il ricordo dei massacri di Sicilia, delle fucilate di Milano, della miseria di un popolo, che a quattro leghe da Roma deve pascersi d’erba per non morire di fame? La scomparsa di un vinto non è che un incidente mediocre della lotta di tutta una nazione contro un regime di fango e sangue.
La Corte di Milano ha pronunciato. Bresci è al bagno e Umberto al Pantheon. La lotta continua.
 Da “L’Aurora” del 30 agosto 1900

giovedì 27 agosto 2015

Processo a Gaetano Bresci il 29 agosto 1900

Il processo parte con la lettura del primo interrogatorio a cui è stato sottoposto Bresci lo stesso 29 luglio:
“Io ho commesso questo fatto perché ho voluto attentare al Capo dello Stato che rappresenta il regime che ci governa. Io ho commesso questo fatto di mia iniziativa, non sono affiliato, come già dissi, ad alcuna setta e conseguentemente qualunque ricerca si farà al riguardo, nulla si potrà scoprire […]. Ammetto che nel tempo di mia dimora a Paterson ho fatto parte per circa due mesi di un circolo che pubblicava un giornale socialista anarchico intitolato ‘La Questione Sociale’. Da quel circolo mi ritirai perché mi sembrava che i suoi componenti non professassero veramente le idee socialiste anarchiche. […] Ho attentato al Capo dello Stato perché a parer mio egli è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta a fa difendere. E come ho detto altre volte concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia 7 o 8 anni or sono, in seguito agli stati di assedio emanati per decreto reale in contraddizione alla legge dello Stato. E dopo avvenute le altre repressioni del 1898, ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d’assedio, emanati con decreto reale, il mio proposito assunse in me maggior gagliardia. Ho agito per convinzione. Non domando clemenza a nessuno. L’ho fatto perché i miei principii me lo imponevano, perché la società attuale essendo guasta, è necessario colpirla nei suoi capi.”
Durante il dibattimento Bresci non risparmia le accuse sulle dirette responsabilità monarchiche della tragica situazione italiana:
Presidente: Era da tempo che avevate formato tale divisamento?
Accusato: L’ho detto nel mio primo interrogatorio.
Presidente: Ma qui dovete ripeterlo.
Accusato: Ebbene fu dopo gli stati d’assedio di Sicilia e di Milano, illegalmente stabiliti con decreto reale che io pensai di uccidere il re per vendicare le vittime.
Presidente: Ma il re non era responsabile dei decreti.
Accusato: Ma li aveva firmati lui. Oltre vendicare gli altri volevo vendicare anche me, costretto, dopo una vita miserabilissima, ad emigrare. I fatti di Milano, in cui si adoperò il cannone, mi fecero piangere di rabbia e pensai alla vendetta. Pensai al re, perché costui, oltre a firmare i decreti, , premiava gli scellerati che avevano compiuto le stragi.”

“A me la condanna, qual sia, non farà né caldo né freddo. Rimarrò indifferente dinanzi ad essa, ma mi appello alla prossima rivoluzione.”
Gaetano Bresci


sabato 22 agosto 2015

Sacco e Vanzetti

“Nella cella dei condannati a morte siamo appena stati informati del comitato di difesa che il governatore Fuller ha deciso di ucciderci. Questa notizia non ci sorprende perché sappiamo che la classe capitalista non ha pietà per i buoni soldati della rivoluzione. Noi siamo fieri di morire e cadremo come tutti gli anarchici devono cadere.”
Nicola Sacco


 










“Il braccio della morte è un posto brutto in tutte le stagioni ma, senza finestre, senz’aria e senza luce, è terribile quando fa caldo ... Non siamo criminali, ci hanno condannato con un complotto; ci hanno negato un nuovo processo; e se saremo giustiziati dopo sette anni quattro mesi e diciassette giorni di indicibili torture e ingiustizie è perché eravamo a favore dei poveri e contro l’oppressione dell’uomo da parte dell’uomo.”
Bartolomeo Vanzetti


 Il 23 agosto 1927 gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono assassinati dalla giustizia americana.

giovedì 20 agosto 2015

Io sono innocente!

Cari amici, sorella carissima

io sono innocente! Io posso tenere alta la fronte! La mia coscienza è pulita! Muoio come ho vissuto, lottando per la Libertà e per la Giustizia. Oh, che io possa dire a tutti gli uomini che non è per quel delitto mostruoso che io sono condannato! Nessun verdetto di morte, nessun giudice Thayer, nessun governatore Fuller, nessun Stato reazionario come quello del Massachusetts possono trasformare un innocente in un assassino.
Il mio cuore è traboccante d’amore per tutti quelli che mi sono cari. In che modo dir loro: addio? Cari i miei amici; cari i miei difensori! A voi, tutto l’affetto del mio povero cuore, a voi tutta la gratitudine di un soldato caduto per la Libertà. Voi avete lottato con fede e coraggio. Il fallimento non vi è imputabile. Non disperate. Continuate la battaglia intrapresa per la libertà e l’indipendenza dell’uomo.
Mia cara sorella, che gioia il rivederti e intendere le tue dolci parole d’amore e d’incoraggiamento.
Ma io credo che sia stato uno sbaglio terribile quello di averti fatto attraversare l’oceano per vedermi qui. Tu non puoi capire quanto io soffra di vederti assistere alla mia agonia e di vederti costretta a vivere le sofferenze che io devo affrontare.
Quando ti sarai riposata e quando avrai ritrovata la forza necessaria, ritorna in Italia, presso i nostri cari. A questi cari, come ai nostri buoni e fedeli amici, tu porterai il mio messaggio di amore e riconoscenza.
Che importa se nessun raggio di sole, se nessun lembo di cielo penetra mai nelle prigioni costruite dagli uomini per gli uomini?
Io so che non ho sofferto invano. Ecco perché porto la mia croce senza rimpianto.
Presto i fratelli non si batteranno con i loro fratelli; i bimbi non saranno più privati del sole e allontanati dai campi verdeggianti; non è più lontano il giorno nel quale vi sarà un pane per ogni bocca, un letto per ogni testa, della felicità per ogni cuore.
E questo sarà il trionfo della vostra azione e della mia, o miei compagni e amici.
Affettuosamente
Bartolomeo Vanzetti


(Il 23 agosto 1927 gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono assassinati dalla giustizia americana)

mercoledì 19 agosto 2015

Le strade dell'odio sociale

È sorprendente notare come le persone che fino a ieri stavano in mezzo al popolo, una volta giunte al soglio governativo (elette o no) imparino immediatamente ad essere contro lo stesso popolo. Da ciò si evince che non è mai l'uomo a cambiare lo Stato, ma esattamente il contrario. È il tragico gioco gerarchico, quello che ci insegnano fin da quando siamo in fasce, dove a valere non è mai la persona, ma il ruolo che essa ricopre. Non è un caso che il sistema educativo nazionale e la mentalità borghese insegnino ai bambini a competere per ogni cosa e ad ossequiare i ruoli e le posizioni sociali. Il pensiero unico imposto attraverso la scuola e i mass-media non fa altro che allenare ogni individuo all'obbedienza nei riguardi di qualsiasi autorità, facendo annegare nel mare dell'oblio tutti i valori umani che possiede una persona in quanto tale. Così l'essere umano soccombe in favore del ruolo, del mestiere, della posizione nella scala gerarchica. E tutti ambiscono ai ruoli, anziché ad essere persone.
La società che riceve questo imprinting non potrà far altro che alimentare la cultura del dominio, quindi dell'aggressività, sia in chi esercita l'autorità, sia in chi la subisce. Va da sè che, in questo modo, i crimini diventano persino fisiologici e sistemici, facendo apparire questo perverso meccanismo normale, naturale. È sufficiente che un alunno venga eletto capoclasse perché quell'alunno, imbevuto di cultura del dominio (i bambini copiano il comportamento delle loro maestre), diventi immediatamente autoritario nei confronti dei compagni, così come un semplice condomino eletto amministratore di un palazzo, o un impiegato nominato vice-qualcosa o capo-qualcosa, fino a vedere una semplice professoressa universitaria diventare ministro e distruggere in un attimo i diritti dei lavoratori conquistati in cento anni di lotte. Figuratevi dei massoni mafiosi, già ricchi di loro, borghesi dalla nascita, quindi distanti dal popolo, che si fanno eleggere a capo di un partito per mirare al vertice della piramide del comando. E nell'ottica dell'azione elettiva di un popolo per un governo, onestamente non crediamo che sia più responsabile e integerrimo un popolo che si autopunisca, piuttosto che un popolo punito da parte di un governo non eletto. Sarà un caso che la Chiesa insegni che l'autopunizione è cosa buona e altamente morale? Senza giustificare né l'uno né l'altro tipo di governo, è assai più miserevole e indegno un popolo che elegge di suo pugno chi lo dovrà bastonare. Tutto ciò è aberrante e innaturale.
Quando l'essere umano avrà capito di essere stato imprigionato in un meccanismo malato e perverso, comincerà una nuova era di pace, di giustizia, di libertà. Ma l'essere umano non c'è più, al suo posto ci sono soltanto ruoli e medaglie da conquistare. Ogni podio contiene l'idea di ingiustizia e di fascismo.

“Nessun uomo ha ricevuto dalla Natura il diritto di comandare gli altri”
                                                                                    (Denis Diderot)

lunedì 17 agosto 2015

Ci chiamano assassini

Al popolo!
Un altro uomo è caduto, colpito a morte, in questa truce mischia che è la vita sociale. E molti, più o meno sinceramente, piangono, e molti gridano e molti imprecano.
Chi piangete: Umberto o il re? Se piangete il cittadino, il padre, lo sposo, se le vostre lacrime son per l’uomo ucciso dall’uomo, se ciò che della tragedia di Monza vi ha commosso è solamente il sangue versato, voi ne avete diritto. […] Ma se è sopra una vita troncata che piangete, se è solo un senso di umanità che vi spreme dal ciglio codeste lacrime, perché non ne versate di altrettanto amare sui cadaveri insanguinanti che la plebe, urlante pure in nome del suo diritto alla vita, lasciò per la città e per i campi sotto la gragnola del piombo fratricida durante quest’ultimo ventennio nel reame d’Italia?
[…] Noi non seminiamo che le speranze di redenzione, ridestando le coscienze assopite del proletariato misero e vilipeso, alla coscienza dei suoi diritti e dei suoi destini. Ma credenti nella vita e nell’inviolabilità di essa, non solo contro il piombo e il ferro, ma anche contro le torture della fame, della persecuzione e della violenza, noi la difendiamo in tutti, perché a tutti vogliamo assicurato il benessere, l’istruzione, gli affetti dolci e gentili, in una intensità comune e fraterna di gioia e libertà.
Ci chiamano assassini perché qualche esasperato dalla vita, sollevato a furore dalla propria e dalla altrui disperazione, si dichiari o no anarchico, spezzò l’esistenza di un potente; e strillano ferocemente, alla crudel follia della setta, non perché costui era un uomo, ma perché era un potente, rimettono a nuovo la bestialità del sicario estratto a sorte, e creano la mostruosità giuridica di una responsabilità collettiva per tutti i socialisti-anarchici della terra, anche per quelli che mai seppero che il Bresci esisteva, anche per quelli, e sono moltissimi che, pure spiegandone le cause sociali determinanti, non vogliono innalzare l’omicidio, sia pur politico, a bandiera di redenzione operaia.
[…] Noi attendiamo che la storia, la schietta, la vera, scriva anche le pagine sanguinose di quest’ultimo ventennio di monarchia in Italia: Villa Ruffi, Conselice, Caltavuturo, e le stragi siciliane del ’94 e quelle milanesi del ’98 superanti le borboniche e le croate; e la pagine infami di Porto Ercole e delle isole ove credevasi relegare il pensiero, tormentando i corpi e avvelenando le anime; e le truci commedie dei tribunali di guerra, disseminanti la indigenza e il rancore in migliaia e migliaia di famiglie innocenti, e le ruberie sfacciate delle banche, coperti di onori e di cariche i ladroni maggiori, e tuta la putredine di un basso impero, avido solo di piaceri e di prepotenze a danno delle classi più umili e più laboriose.
Cotesti erano pure delitti, anche se commessi col manto della legge e col pretesto dell’ordine.

Manifesto diffuso a Buenos Aires e datato agosto 1900
Sottoscritto da un gran numero di anarchici tra cui Pietro Gori


sabato 15 agosto 2015

A proposito di emigrazione

Sul finire dell’Ottocento la situazione in Italia è particolarmente drammatica. La fantomatica unificazione del Paese ha impoverito sempre di più le aree del sud, favorendo lo sviluppo in alcuni grandi centri del nord, ha riempito sempre di più le tasche dei benestanti e dei padroni a svantaggio delle tasche sempre più vuote dei ceti inferiori, dove la fame e il malessere regna. In più ci si mette pure la scellerata politica coloniale ed espansionistica dei governi Depretis e Crispi, che vuole occupare le poche terre africane rimaste ancora libere dalle fauci delle potenti nazioni europee. Così i soldi delle casse del giovane Stato italiano, riempite con le tasse pagate dal popolo sfruttato, vengono spesi in armamenti e nelle spedizioni per conquistare Somalia, Etiopia ed Eritrea, aride terre da bonificare, coltivare e da industrializzare, dimenticando che il sud Italia di terre da coltivare, e spazi per costruire industrie ce ne sono in abbondanza. Tutto questo a discapito del popolo che ha sempre più fame e non ha lavoro.
Hanno inizio così gli anni della prima grande emigrazione di massa, che non riguarderà solo, come si potrebbe credere, le povere regioni del Meridione, ma tutta l’Italia, e in particolare il Veneto, le Romagne, il Piemonte e vaste zone della Lombardia. Destino comune a milioni di italiani che, costretti a cercare altrove la soluzione ad una vita di stenti, si troveranno esuli in terra straniera perché la patrie non è più in grado di sfamarli né di garantirgli i diritti civili più elementari.
Oggi secondo i razzisti nostrani, privi di memoria e inclini alla demagogia, gli italiani non sono più i protagonisti disperati, ma piuttosto la vittime degli attuali flussi migratori: gli emigranti, infatti, non siamo più noi, e il fenomeno migratorio porta in Europa “orde di barbari” provenienti dai paesi poveri e del tutto simili a quelle masse che andavano ad “invadere” i civili paesi del nord, quando i bravi borghesi americani si chiedevano seriamente se gli italiani fossero davvero esseri umani, e, in caso affermativo, se appartenessero alla razza bianca o a quella “negra”. Anni lontani di cui si è perso il ricordo, quelli in cui i nostri lavoratori, super sfruttati nelle miniere del Belgio e nelle officine tedesche, venivano chiamati i cinesi d’Europa, per la loro inclinazione ad accettare qualsiasi lavoro, anche il più umiliante e il meno garantito, pur di liberarsi da una miseria atavica. Quando i figli dei nostri emigrati “clandestini” dovevano vivere rinchiusi in case dalle finestre sbarrate per nascondere ai bravi cittadini svizzeri la loro molesta e illegale presenza. Bambini non solo siciliani o calabresi, ma bergamaschi, vicentini, cuneesi, di pura, purissima razza padana.

giovedì 13 agosto 2015

Il progresso del sistema, è il regresso dell'umanità

L'umanità sarà intrappolata dal potere statale per molte migliaia di anni ancora. Questo per effetto di una centralizzazione burocratica che riguarda aree sempre più grandi del pianeta. Nell'antichità neolitica, laddove l'evoluzione umana ha avuto i cambiamenti più repentini seguendo il senso libertario, le comunità erano ristrette e in relazione solidale tra loro. All'interno di ogni comunità, le esigenze rappresentavano quella 'problematizzazione' che poneva l'essere umano in un cammino evolutivo di autonomia e di progresso. E ancora le comunità medievali, soprattutto quelle poste al di fuori delle cinte murarie, potevano godere di una certa libertà in un rapporto reticolare solidale (v. Kropotkin). Con l'imposizione degli stati nazionali (XVI sec.), la scala del dominio si fece più ampia, e il controllo sulle persone divenne capillare per mezzo di istituzioni locali, ma che facevano tutte capo ad un unico governo centrale. Le costituzioni, che ancora oggi rivestono di una patina retorica la pillola amara del giogo, si rendono ancora più farsesche e contraddittorie, giacché gli stati-nazione sono sottoposti agli ordini sovrannazionali del capitalismo. E più la scala gerarchica è ampia, meno contano i singoli individui, i quali sono sempre più lontani dall'esercitare un seppur flebile controllo sul potere, sempre più divisi tra loro, e in cerca di soluzioni antistoriche, anti umane, e fatalmente fallimentari.

sabato 8 agosto 2015

Vecchi "rivoluzionari" dimenticano

Nel 1857 Carlo Pisacane, Battistino Falcone, Giovanni Nicotera ed una ventina di rivoluzionari sequestrarono un piroscafo, assaltarono il carcere di Ponza, liberarono trecento detenuti, ripartirono per il Cilento e tentarono un'insurrezione che finì malissimo. Pisacane e Falcone vengono praticamente fatti a pezzi, mentre Nicotera si prende tre accettate in testa, gli sparano ad una mano e viene preso a picconate tanto da estrargli l'ombellico, come scrisse un medico.
Venti anni dopo un gruppo di anarchici issò la bandiera rossa e nera sui palazzi del governo di Letino e Gallo Matese e finirono diritto diritto in tribunale. Silvia Pisacane, figlia di Carlo, intercede per loro cercando aiuto nel padre adottivo, quel Nicotera che si salvò per un pelo nell'insurrezione del Cilento. Nicotera può aiutarli perché venti anni prima era un rivoluzionario, ma ora ė il ministro degli Interni.
Ė proprio a lui oltre che a Depretis, Crispi e Cairoli si rivolgono gli internazinalisti della banda del Matese. Vogliono il processo politico e cercano negli ex rivoluzionari una sponda. Invece verranno processati come cospiratori e si salveranno per la difesa dell'avvocato Francesco Saverio Merlino e anche per la morte di un re, quel Vittorio Emanuele che per i libri di storia aveva fatto l'Italia, ma si era dimenticato di cambiarsi il nome, così il primo sovrano del regno unito si chiamò "secondo".
Dopo di lui salì sul trono Umberto primo che proclamò l'amnistia e contribuì a far uscire di galera anche gli anarchici senza sapere che sarebbe stato proprio un anarchico, una ventina di anni dopo, ad attraversare l'oceano per andargli a sparare. E sarà di nuovo l'avvocato Merlino a difenderlo in tribunale.
È solo un girotondo di date e nomi ma sarebbe saggio ricordare che Pisacane e Nicotera a Sanza come Bresci a Monza o Malatesta e Cafiero nel Matese dovevano ancora compiere quarant'anni e un paio di loro non li festeggeranno mai. Rivoluzionari di vent'anni e trent'anni col passare degli anni finiscono in galera, al camposanto o in parlamento. Non tutti, ma la maggioranza. E quando i cinquantenni al potere incontreranno i ventenni ... non si riconoscono. Succederà ancora nel corso del novecento quando gli ex partigiani al governo non sapranno confrontarsi con i movimenti degli anni settanta, o come gli ex sessantottini con i giovani di adesso.
Non so quanto uno storico potrebbe ritenere che questo post possa essere di supporto ad una teoria seria, ma mi piace pensare che Bresci abbia voluto dare il suo contributo ad una lunga rivoluzione sognata dai ragazzini e tradita dai vecchi. E l'abbia fatto con una curiosa leggerezza che è anarchica e giovanile allo stesso tempo, l'unico slancio che può spingere un tessitore toscano a tornarsene dal New Jersey con una pistola ed una macchina fotografica non per immortalare il re, ma per vederlo morto.

martedì 4 agosto 2015

Settanta anni fa l’orrore nucleare

La testimonianza di Sumiteru Taniguchi, sopravvissuto Nagasaki.

“Quando venne sganciata la bomba ero sulla bicicletta con le spalle rivolte al punto dell’esplosione, mi trovavo ad una distanza di circa due chilometri dal luogo dell’impatto. Udì il rumore distinto di un aereo e mi insospettì, voltai l’angolo e accadde, in quel momento. Improvvisamente ci fu una luce accecante, non sentì il calore, non sentì nulla, non ci fu il tempo di sentire. In un baleno venni bruciato e spazzato via. Venni scaraventato a quattro metri di distanza insieme alla bicicletta. Mi alzai e diedi un’occhiata alle mie condizioni, la pelle del braccio sinistro, dalla spalla alla punta della mano, era ridotta a brandelli e penzolava, mi toccai la schiena e mi accorsi che non avevo più gli indumenti, la pelle era viscida per le ustioni ed una sostanza scura mi rimase attaccata alla mano, la bicicletta aveva il telaio e le ruote completamente deformate e non era più utilizzabile, non accusavo nessun dolore e non sanguinavo, non sentivo niente in particolare e mi sembrava di stare bene. Vidi i cadaveri di due bambeini, uno era carbonizzato, l’altro era morto senza ferite apparenti. Venni soccorso da una persona che si trovava li vicino, dietro mia richiesta asportò la pelle che mi pendeva dal braccio, mi liberò dai fastidiosi brandelli dei vestiti bruciati e con dell’olio per motori mi ripulì il braccio. Ero sporco di fango e di polvere. La mattina del terzo giorno mi sistemarono sul pavimento di una scuola elementare. Il sesto giorno dall’esplosione della bomba, le ferite iniziarono a sanguinare e pian piano cominciai a sentire dolore. Nel mese di settembre una parte delle ustioni cominciò ad infettarsi, un soldato dell’esercito americano scattò questa immagine.

Il primo novembre di quell’anno venni trasferito a quello che all’epoca era l’ospedale militare dell’aeronautica a trenta chilometri da Nagasaki, ho una foto anche di quel periodo, è un’immagine d’archivio che forse avrete già visto, erano trascorsi circa sei mesi dall’esplosione della bomba, secondo la mia cartella clinica, questa foto venne scattata il 31 gennaio del 1946. in quel periodo lottavo contro il dolore, le ferite mi causavano atroci sofferenze e gridavo ogni notte implorando di essere ucciso. 
Dopo un anno e nove mesi, nel maggio del 1947, finalmente riuscì con le mie forze a sollevarmi, a stare seduto sul letto, e in seguito riuscì anche a camminare, mi sentivo proprio come se fossi ritornato a vivere. Nel marzo del 1949, dopo tre anni e sette mesi di degenza, finalmente venni dimesso e mi dissero che avrei potuto continuare a curarmi a casa. Ritornai al mio vecchio lavoro alle poste anche se le mie condizioni di salute non erano completamente ristabilite. Fino ad oggi sono stato ricoverato nove volte ed ho subito diciassette operazioni chirurgiche. Ho trascorso quindi 59/60 anni della mia vita lottando contro il dolore, ho vagato per l’inferno e sono sopravvissuto, lasciandomi sfuggire l’occasione di morire.”
Sumiteru Taniguchi