..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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giovedì 30 dicembre 2021

La vita come vogliamo che sia

Dipende solo da noi diventare gli inventori della nostra vita.

La chiave di svolta è in ciascuno. Non ci sono istruzioni per l’uso. Quando avete scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete al riferimento a un nome – il nostro, il vostro – a un giudizio, a una categoria, cesserete di imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi una vita per se stessi.

Quanta energia gettata in questa vera fatica che è vivere in virtù degli altri, quando sarebbe sufficiente applicarla, per amore di sé, al compimento dell’essere incompiuto, del bambino chiuso dentro di noi.

A forza di snaturare ciò che pareva ancora naturale, la storia della merce tocca il punto dove bisogna deperire con essa, o ricreare una natura, una umanità totali. Sotto l’inversione dove il morto mangia il vivo, il soprassalto dell’autenticità abbozza una società dove il piacere va da se.

Il nostro godimento implica così la fine del lavoro, della costrizione, dello scambio, dell’intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza. Non vediamo alcuna giustificazione se non economica alla sofferenza, alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella nostra lotta per l’autonomia, c’è la lotta dei proletari contro la loro proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura onnipresente della merce. L’irruzione della vita ha aperto la breccia nella vostra civilizzazione di morte.

lunedì 27 dicembre 2021

Migranti! Aliens!

Nel 1919, a marzo trentanove 'indesiderati' furono portati a Ellis Island per completare le procedure di espulsione, tra loro Andrea Ciofalo del Gruppo Bresci di New York, a suo tempo tra gli espatriati in Messico. II Dipartimento del Lavoro prevedeva circa settemila deportazioni e la stampa riportava le reazioni soddisfatte delle autorità: "Gli Stati Uniti stanno per essere ripuliti dalla  presenza di stranieri anarchici e facinorosi."

Il primo a partire fu Pietro Marucco, un minatore del Gruppo Demolizione di Latobe, Pennsylvania, imbarcato sul transatlantico Duca degli Abruzzi. Durante la traversata, però, Marucco mori in circostanze non chiarite e fu sepolto in mare. Questo fatto fece crescere ulteriormente la tensione fra gli anarchici: esisteva forse un inconfessabile accordo tra i due governi per l’eliminazione dei sovversivi prima del loro arrivo in Italia?

In quei giorni un comunicato dal titolo Go-Headit! (Avanti!) firmato "The American Anarchists", fu diffuso in tutto l'Est del paese. I vecchi Fossili che governano gli Stati Uniti vedono rosso!

Subodorando la loro distruzione hanno tentato di tenere sotto controllo la tempesta promulgando la legge sulla Deportazione per tutti i rivoluzionari stranieri.

Noi, gli Anarchici Americani, non protestiamo, perché è Inutile sprecare energie con le persone deboli di mente guidate da Sua Maestà Fonografo Wilson.

Non pensiate che solo gli stranieri sono anarchici, siamo in gran numero anche qui.

La deportazione non impedirà alla tempesta di raggiungere le nostre coste. La tempesta é qui e molto presto vi farà saltare e annichilire nel sangue e nel fuoco.

Non avete mostrato pietà per noi. Non ne avrete da noi.

Deportateci! Vi faremo saltare in aria!

Deportateci tutti o liberateci tutti!

Fra le righe del documento si leggeva un appello alla classe operaia americana, l'eterna assente nella lotta di resistenza portata avanti dagli aliens e, per una volta, gli americani risposero bloccando per cinque giorni l'intera città di Seattle con uno sciopero generale. 

venerdì 24 dicembre 2021

Non basta togliere il potere a chi ce l'ha

La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto.

Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.

Come liberarci da questa falsificazione e garantirci che non si ripresenti per l'ennesima volta in nuove forme?

Non esistono sistemi che garantiscano la libertà di tutti se si propongono di cominciare col toglierla a qualcuno....

Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della libertà di tutti. Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità, non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.

Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.

La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro.
La libertà di tutti comincia dallo scambio gratuito di diverse sensibilità, diverse opzioni individuali e sociali. Ognuno deve poter prendere dagli altri quel che sembra migliorare il senso della vita, lasciando quel che ne complica le realizzazioni.

L’umanità dell'essere umano è infatti il dono che ognuno fa a se stesso per il piacere di tutti. Il dono che include tutti gli altri.

Come direbbe qualcuno: l'umanità soggettiva si nutre di un sogno che deve soltanto arrivare alla coscienza per diventare realtà.

La rivoluzione sociale bussa dunque alla nostra porta nel nome di una felicità per tutti e non in quello di un qualunque risentimento corporativo di ruolo o di genere.

martedì 21 dicembre 2021

L’intelligenza collettiva e il copyright

L’intelligenza collettiva non è semplicemente un modo di lavoro collettivo, è anche una modalità operativa di conoscenza del mondo, creata dall’umanità nel suo procedere storico con un'enormità di artefatti cognitivi, disseminati negli oggetti, nei testi, nei comportamenti e nella lingua in generale.  In pratica il processo del nostro pensiero non si avvale esclusivamente degli input che emergono dall'interno, ma si appoggia a una parte della mente disseminata negli artefatti cognitivi di cui il mondo abbonda e nelle molteplici culture che si sono susseguite, mescolate e rielaborate. Questo vuol dire che non possiamo fare a meno dell'intelligenza collettiva per elaborare pensieri sensati, quindi qualsiasi cosa prodotta da ognuno di noi è contemporaneamente anche il frutto dello sforzo del resto della collettività nello spazio e nel tempo.

È difficile quindi pensare di poter assegnare ad alcuni il diritto di possedere una proprietà intellettuale esclusiva su qualcosa.

Il Copyright, la «riserva del diritto d'autore sulla riproduzione di un'opera» (libro, disco, programma che sia), è un chiaro esempio di come sia il denaro a scandire la nostra vita, a regolarla e ad orientarla. Quando andiamo in libreria e acquistiamo un libro, sborsando una somma più o meno elevata, ne usciamo solitamente soddisfatti di poter godere un bene che riteniamo di aver liberamente scelto. Ma non è proprio così. La nostra scelta dipende dalle nostre possibilità economiche, dalla selezione di libri che qualcuno ha messo "a nostra disposizione"; qualcuno che a sua volta ha dovuto scegliere fra i libri che un altro ancora ha scelto per lui. Dunque il lettore è condizionato dalle scelte del libraio, che è condizionato dalle scelte del distributore, che è condizionato dalle scelte dell'editore.

Il risultato di questo iter non ha nulla a che vedere con il nostro "sapere e la nostra "cultura", ma solo col conto in banca dei tanti bottegai. In tutto ciò il copyright svolge un ruolo importante, determinando le scelte di un editore, il prezzo di un libro, la sua stessa presenza in libreria, fino alla nostra possibilità di acquisto.

Come ogni proprietà. esso è un furto.

sabato 18 dicembre 2021

L’uomo libero

L’uomo libero è colui che esprime la propria sovranità di fronte alla legge, agli interessi, ai dettami dei valori dominanti, non ha partiti, né chiese ai quali appartenere, non ha terre né cieli da conquistare, non ha né individui né popoli da sottomettere.

L’uomo libero crede nell’amore di sé e per gli altri, ma soprattutto fa tutto ciò che il suo dissidio gli suggerisce. I percorsi in utopia dell’uomo libero sono un invito alla resistenza e una via aperta alla clandestinità, le sue armi non stanno nelle caserme, nelle redazioni dei giornali, nelle sedi dei partiti, le armi dell’uomo libero sono nella sua testa, nelle sue mani, nell’amore per tutto quanto è estremo e trasognante.

L’uomo ibero è ribelle in ogni luogo, libero di cambiare il mondo e di introdurvi i venti irrequieti della diversità che annunciano il nuovo.

La disobbedienza civile e la ribellione dei poveri, degli umiliati, degli offesi, sono il percorso accidentato verso una società più giusta e più umana.

La radicalità della ribellione invece si fonda sulla richiesta di comunità, sulla fine dei falsi idoli, sulla caduta delle dottrine del consenso sociale.

La ribellione afferma un diritto, il rifiuto dell’obbligazione politica e della genuflessione alla potenza delle istituzioni. I dogmi della società sono specchi dell’obbedienza che rientrano nel campo delle necessità private, mentre la visione e l’azione del ribelle rientra nel campo della libertà pubblica. La vera libertà è quella che ci costruiamo con le proprie mani e con le proprie idee. La disobbedienza del ribelle non risente dell’obbligo morale di rispettare la legge né le giustificazioni economiche, politiche degli indici della Borsa lo interessano, perché non c’è nessun fondamento civile che giustifichi la cattività nella quale è tenuta dai paesi ricchi una grande parte di umanità.

Nell’uomo nuovo cova il ribelle, l’uomo planetario, l’uomo dall’animo nobile che grida fuori dalle masse silenziose il proprio amore per la bellezza, la giustizia, la libertà di tutti gli uomini. Il ribelle non perdona né archivia, strappa ciò che è stato fatto, ed è capace di dar luogo a un nuovo inizio proprio là dove tutto sembrava concluso.

mercoledì 15 dicembre 2021

La chiave di svolta è in ciascuno di noi

La chiave di svolta è in ciascuno di noi. Non ci sono istruzioni per l'uso. Quando avrete scelto di non riferirvi che a voi stessi, riderete del riferimento a un nome  — il nostro, il vostro — a un giudizio, a una categoria, cesserete di imparentarvi a quella gente a cui il rimpianto astioso per non aver partecipato a un movimento della storia impedisce ancora di inventarsi una vita per se stessi.

Dipende solo da noi diventare gli inventori della nostra vita. Quanta energia gettata in questa vera fatica che è vivere in virtù degli altri, quando sarebbe sufficiente applicarla, per amore di sé, al compimento dell'essere incompiuto, del bambino chiuso dentro di noi.

Il nostro godimento implica così la fine del lavoro, della costrizione, dello scambio, dell'intellettualità, del senso di colpa, della volontà di potenza. Non vediamo alcuna giustificazione — se non economica — alla sofferenza, alla separazione, agli imperativi, ai rimproveri, al potere. Nella nostra lotta per l'autonomia, c'è la lotta dei  proletari contro la loro proletarizzazione crescente, la lotta degli individui contro la dittatura onnipresente della merce. L'irruzione della vita ha aperto la breccia nella vostra civilizzazione di morte.

La buona terra sa vedere in tutte le cose, in tutti gli eventi e in tutti gli uomini una semenza, una pioggia, un raggio di sole benvenuti. Si arricchisce di quello che prende come di quello che offre.

domenica 12 dicembre 2021

Rosario Sànchez Mora, la Dinamitarda

Rosario Sànchez Mora è nata a Villarejo de Salvanés in Spagna nel 1919. Suo padre, Andrés Sánchez, ha un'officina dove ripara automobili, cucine e attrezzi agricoli mentre sua madre muore qualche anno prima dell’inizio della guerra civile. Rosario rimase a Villarejo de Salvanés fino all'età di 16 anni quando va a vivere a Madrid a casa di amici. Al suo arrivo a Madrid, diventa militante comunista e lavora come apprendista di sartoria in un circolo culturale della Gioventù Unificata Socialista. Sanchez diventa una delle prime donne a unirsi alle milizie repubblicane contro le forze nazionaliste guidate dal generale Francisco Franco. Rosario si unì ai repubblicani all'età di 17 anni il 17 luglio 1936, lo stesso giorno in cui l'esercito spagnolo si ribellò per la prima volta contro la Seconda Repubblica Spagnola. Il 18 luglio 1936, Madrid aveva interrotto la rivolta militare iniziata il giorno prima nel protettorato spagnolo del Marocco, che si era diffuso come petrolio in tutta la penisola. Migliaia di lavoratori avevano aggredito la Caserma della Montagna, il fulcro principale dei ribelli, e si stavano preparando a difendere la città dall'autoproclamata Armata Nazionale, che stava avanzando da nord per impadronirsi dei bacini di Lozoya.

Dozzine di camion partirono la mattina del 19 per le montagne piene di giovani che si erano offerti volontari per combattere, convinti che nel giro di pochi giorni sarebbero tornati a casa. Tra quelli che viaggiavano su uno di quei camion, sulla strada per Buitrago, c'era una ragazza di diciassette anni, Rosario Sánchez Mora. Si era arruolata il pomeriggio precedente, senza dire nulla alla sua famiglia, nel centro culturale Aída Lafuente, che la Gioventù Unificata Socialista (JSU) aveva in 10 San Bernardino Street, a pochi isolati da casa sua.

Dopo due settimane di combattimenti, in cui riuscirono a contenere i ribelli, la guerra in montagna smise di essere una battaglia aperta e divenne una battaglia di posizioni. Rosario fu poi assegnato alla sezione dei dinamitri, che era sotto il comando del capitano Emilio González. González, un minatore trivellatore di Sama de Langreo (Asturie) specializzato nella gestione di esplosivi e dinamite. Il gruppo aveva sede in una casa abbandonata tra Buitrago e Gascones, a circa cinque chilometri dalla linea di fuoco, dove avevano una piccola polveriera in cui immagazzinavano gli esplosivi e costruivano bombe rudimentali. I manufatti in questione erano lattine di latte condensato che venivano riciclate in bombe a mano. Il processo era semplice: la lattina con chiodi, viti e vetro, veniva riempita con la dinamite. Il barattolo veniva poi chiuso con il suo coperchio e legato con spago e stracci in modo che il contenuto non si rovesciasse. Per la face d’innesco si occupava personalmente il capitano González. 

La mattina del 15 settembre, Rosario e i suoi compagni si esercitavano con bastoncini di dinamite, molto più facili da maneggiare rispetto alle bombe in scatola. Durante l’esercitazione la cartuccia esplose nella mano destra di Rosario, riducendola in poltiglia.Gravemente ferita, è stata operata all'ospedale della Croce Rossa a La Cabrera, dove sono riusciti a salvarle la vita. 

Rosario ritornò al fronte fu ricevuta come eroina e assegnata al Comitato di Agitazione e Propaganda. 

"La mia è stata una vita dura e coraggiosa, perché se non la avessi affrontata non saprei cosa sarebbe successo a me", dice Rosario settant'anni dopo quella mattina di luglio del 1936. Fino alla sua morte il 17 aprile 2008, a Madrid all’età di 88 anni, Rosario ha continuato ad essere una donna ribelle con un ricordo prodigioso, che si sforza di conservare i suoi ricordi scrivendoli in enormi quaderni ad anelli. "Lottare per la libertà", dice, "ne è valsa la pena".


giovedì 9 dicembre 2021

La libertà delle parole

La libertà delle parole esiste se resta una libertà soltanto a patto che si restituisca alle parole quella vita inscindibile dal vissuto quotidiano, senza la quale una lingua si fossilizza e diventa stereotipo.

La libertà di dire tutto esiste soltanto se la si rivendica di continuo. Rinnega se stessa se si riduce a un consumo passivo di idee preconcette, la cui proliferazione caotica la soffoca.

La libertà delle parole ridà vita al linguaggio, al contrario dell’economia che ne fa una lingua morta, rinsecchita, composta di vocaboli intercambiabili, oggetto di scambio e non elemento soggettivo e intersoggettivo, nato dalla magia, dall'incanto, dalla poesia. Infatti è nella natura del linguaggio il radicarsi nella vita, in quanto esperienza fondamentale dell’esistenza quotidiana, che diversifica gli esseri e le cose, che li allontana e li avvicina ma, costituendo la loro sostanza comune, non li separa mai.

La libertà d’espressione non deve essere messa al servizio della difesa dell’umano: essa appartiene, in quanto libertà, alla libertà dell’umano. Non è soltanto ciò che desta la coscienza è il portavoce del suo risveglio: è il linguaggio restituito al vivente, quello che esprime il modo in cui viviamo il mondo e lo stile con cui intendiamo viverlo.

La libertà d’espressione smetterà di essere il surrogato della libertà d’azione quando la vitalità e l’efficienza che essa racchiude in sé scongiureranno e scoraggeranno le contraffazioni creando una consonanza tra la fraternità delle parole e la fraternità degli uomini.

Rompere con il vecchio sistema di sfruttamento che ci ha dominati finora significa restituire al linguaggio quella vocazione poetica dotata in origine, del potere di influire sulle circostanza e sul destino degli esseri.

lunedì 6 dicembre 2021

L’egoismo – Max Stirner

L’egoismo cui fa riferimento Stirner, tuttavia, non va inteso nel senso più comune e basso del termine, ma proprio nel senso di una nuova consapevolezza individuale: la consapevolezza di essere padroni di se stessi e di poter disporre liberamente delle proprie facoltà e potenzialità, senza dover rendere conto a qualche presunto valore universale che abbia la pretesa di porsi come ideale verso cui gli individui dovrebbero aspirare. Inoltre, la consapevolezza dell’egoismo, che consiste poi nella consapevolezza della propria unicità, del proprio essere in-fondati, del non avere un’essenza umana da realizzare, una volta generalizzata, porterebbe secondo Stirner a una condizione che definisce di uguale disuguaglianza, dove ogni singolo individuo, oltre a essere consapevole della propria unicità, è consapevole anche dell’unicità di ogni altro singolo individuo, di modo che si arriverebbe a riconoscere a tutti gli individui un uguale valore assoluto. In questo senso, l’egoismo di Stirner si configura quale nuovo paradigma esistenziale alternativo a quello idealistico; un paradigma per il quale i rapporti tra individui non saranno più di tipo gerarchico, cioè rapporti obbligati di sfruttamento, ma saranno rapporti caratterizzati dal reciproco interesse, dalla libera scelta, rapporti diretti, cioè non mediati da alcuna presunta idea superiore, prima fra tutte l’idea di Dio e dello Stato. Solo in questo modo, secondo Stirner, potranno darsi le condizioni affinché ogni singolo individuo possa sviluppare le proprie potenzialità e si raggiungeranno i presupposti per una vita che non sia più di tipo rinunciatario, alle dipendenze di un qualsiasi ideale, ma che sia invece libera e gioiosa. Rispetto a quest’ultimo punto, anche se non mancano alcune indicazioni, Stirner non fornisce istruzioni concrete su come dovrà configurarsi tale nuovo modello di vita, e non lo fa proprio perché non si ha a che fare con un modello: il suo infatti non è un progetto politico né una nuova utopia, ma tematizza solamente un diverso modo di intendere le relazioni tra individui, vale a dire in modo appunto non più gerarchico ma orizzontale, di reciprocità. In questo senso il valore ancora del tutto attuale di quest’opera risiede nel fatto che la sua critica al sistema idealistico, cioè a un sistema di valori ritenuti fondamento dell’esistenza, può benissimo essere applicata a qualsivoglia ordinamento politico e sociale, con tutte le implicazioni che tale critica comporta. e inoltre, allo stesso tempo, quest’opera suggerisce la possibilità di un’alternativa, un’alternativa tutta da costruire, ma che a ogni modo può sempre fungere da orizzonte, in modo da orientare le nostre scelte.

venerdì 3 dicembre 2021

L'attesa è in sé meravigliosa – André Breton

Al culmine della scoperta, dall'istante in cui, per i primi navigatori, fu in vista una nuova terra, a quello in cui approdarono; dall'istante in cui uno scienziato poté convincersi di avere assistito a un dato fenomeno fino a lui ignoto a quello in cui cominciò a valutare la portata della sua osservazione  — abolito ogni senso della durata, nell'ebbrezza della chance — un sottilissimo pennello di fuoco lascia sprigionare o completa come nient'altro il senso della vita. È alla riproduzione di questo particolare stato dello spirito che il surrealismo ha sempre aspirato, disdegnando in ultima analisi la preda e l'ombra in favore di ciò che non è già più l'ombra e non è ancora la preda: l'ombra e la preda fuse in un unico lampo. 

Si tratta di non lasciare, dietro di sé, che i sentieri del desiderio si aggroviglino. Per scongiurare ciò, nell'arte, nelle scienze, non c'è risorsa migliore che questa volontà di applicazioni, di bottino, di raccolta. Al diavolo ogni prigionia, fosse anche in nome dell'utilità universale, fosse anche nei giardini di pietre preziose di Montezuma! Ancora oggi, se mi aspetto qualcosa è soltanto dalla mia disponibilità, da questa sete di vagare incontro a tutto; e sono certo che essa mi  mantiene in comunicazione misteriosa con gli altri esseri disponibili, come se fossimo chiamati da un momento all'altro a riunirci. Mi piacerebbe che la mia vita non lasciasse dietro di sé altro mormorio che quello di una canzone di veglia, di una canzone per ingannare l'attesa. Indipendentemente da ciò che sopraggiunge, o non sopraggiunge, l'attesa è in sé meravigliosa.

martedì 30 novembre 2021

Riforma o rivoluzione

Di fronte alla devastazione del contesto sociale e alla degradazione delle comunità compaiono due tipi di lotta. Uno punta a ricostruire la comunità al margine dell’ordine sociale dominante scontrandosi con esso; l’altro cerca di agire dall'interno servendosi delle istituzioni, cercando obiettivi limitati mediante la negoziazione. Ci troviamo di fronte alla vecchia alternativa tra Riforma o Rivoluzione. I partigiani delle riforme e del dialogo con l’ordine stabilito pensano che non si debbano contrapporre i miglioramenti quotidiani ottenuti nei palazzi alle mete finali perseguite in piazza; alla fin fine la meta, qualunque essa sia, non ha importanza; il successo costante delle riforme è tutto. I partigiani della liquidazione sociale pensano il contrario: che il fine è tutto, che le riforme non sono possibili nelle condizioni attuali di sviluppo capitalista e che non si possono raggiungere degli obiettivi, per minimi che siano, se non attraverso dure lotte e ampie mobilitazioni. Inoltre, alla fin fine, tra le lotte per fermare gli effetti catastrofici dell’ideologia dello sviluppo e la ricostruzione di una società libera in cui l’essere umano sia la misura di tutte le cose, esiste un vincolo indissolubile: le lotte sono il mezzo, l’umanizzazione della società il fine.

La controversia tra i metodi istituzionali e l’azione diretta di massa non è dunque una semplice questione di tattica, perché in gioco c’è l’esistenza stessa dei movimenti di lotta contro l’inquinamento e la degradazione in quanto movimenti reali di trasformazione sociale. Sono metodi che non si possono combinare: o si sceglie la via della pressione istituzionale e si accettano le regole del gioco politico, oppure non si accettano e si sceglie la via dell’alterazione dell’ordine. Il modo in cui l’ordine viene alterato dipende dal momento; nell’assemblea il chicco nuovo rompe il guscio, cioè il movimento di lotta trova la sua rotta e la sua adeguata espressione. Attraverso il sistema delle assemblee – l’unico davvero democratico – il movimento di lotta può trasformarsi in un potere comunale parallelo, ed è precisamente di questo che si tratta; attraverso il sistema delle piattaforme civiche il movimento continuerà ad essere un complemento secondario della politica, lo sfondo delle discussioni su quale sia il livello tollerabile di distruzione. I piattaformisti, che non a caso di solito sono militanti sindacali o politici, cercano la risoluzione del conflitto tra gerarchi, avvocati ed esperti, dimenticando che quello che è in gioco non sono le loro poltrone ma la vita delle persone messe, senza il loro consenso, sul piatto della bilancia degli interscambi mondiali. È proprio per questo che anche la più modesta delle lotte è troppo importante per essere lasciata nelle mani di questi apprendisti stregoni, e la popolazione colpita non può occuparsi di argomenti che così tanto la riguardano se non attraverso le assemblee.

sabato 27 novembre 2021

Un immaginario ribelle e libertario

Il movimento migrante, negli ultimi decenni, ha iniziato a mettere in crisi confini, culture, lingue, Stati, economie rivelando la possibilità di nuove concatenazioni di lotte per le libertà. Una delle connessioni più interessanti per la configurazione di nuove lotte è proprio quella tra condizione precaria e condizione migrante.

In  questa nuova configurazione la parola rivoluzione non significa nulla. Non significa niente alcuna parola che si iscriva in una prospettiva universale. Non esiste più un piano etico, immaginario, progettuale che sia comune alle figure del lavoro frammentario globalizzato, perché non esiste un piano di consistenza sociale che sia loro comune. Il capitale ovviamente attraversa tutte le figure del lavoro frammentato e mantiene la posizione di agente di codificazione generalizzata. È qui che deve operare, con analisi, pratiche e azioni, un movimento ribelle all'altezza dei tempi, senza inseguire triti concetti ottocenteschi  come: federalismo, conservazione (o innovazione) delle culture territoriali, nazione..., svuotati di significato dalla storia e dalle interpretazioni reazionarie e razziste, alle quali si deve rispondere, non con la proposta di cambiamento di segno o interpretazione della muffa di un tempo, ma con la creazione di nuove parole, concetti e pratiche che sappiano rilanciare un immaginario ribelle e libertario.

mercoledì 24 novembre 2021

La società come prigione

Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.

La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto.

La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro.

Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della libertà di tutti. Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità, non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.

Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.

La libertà di tutti comincia dallo scambio gratuito di diverse sensibilità, diverse opzioni individuali e sociali. Ognuno deve poter prendere dagli altri quel che sembra migliorare il senso della vita, lasciando quel che ne complica le realizzazioni.

L’umanità dell'essere umano è infatti il dono che ognuno fa a se stesso per il piacere di tutti. Il dono che include tutti gli altri.

La rivoluzione sociale bussa dunque alla nostra porta nel nome di una felicità per tutti e non in quello di un qualunque risentimento corporativo di ruolo o di genere.

Se anche non riusciremo a rovesciare la prospettiva del mondo avremo avuto ancora una volta il piacere concreto di averci provato.

domenica 21 novembre 2021

Il rifiuto di essere schiavo

 

Bisogna tenere sempre presente che le istituzioni non sono sorte per caso, ma per compensare la debolezza di chi vi partecipa. E in questo assolvono una funzione storica. Ogni istituzione si fonda sul sacrificio dei suoi membri, si nutre di vita umana. Si tratta quindi di porgere un invito a mordere, incamminarsi verso i giorni della gioia dove ogni individuo potrà sfoderare il proprio sogno nei colpi di ritorno contro i potentati che tengono le briglie e i giochi del proletariato arreso. Occorre muoversi nei percorsi accidentati del contrasto e andare a produrre un disordine linguistico/figurale dell’ordine apparente.

La rivolta è una filosofia della strada che si riconosce e si sviluppa ai bordi della storia. La rivolta mette a fuoco la realtà autorizzata, semina teoria della ribellione nel rovesciamento di forme e mitologie sovvenzionate dal mercato della verità ideologizzata. La rivolta si apre al rischio di vivere pericolosamente il rapporto tra idea e azione. Il gesto estremo, a volte disperato dei ribelli, coglie nel coraggio di minoranze bastonate, carcerate, uccise, le tracce di una differente esistenza.

La persona che si ribella e che poi tende al rivoluzionamento lo fa, come causa prima, in risposta ad esigenze ed emozioni in origine del tutto personali e di stretta contingenza alla sua condizione. Solo in un successivo, secondo tempo le sue medesime esigenze ed emozioni, incontrandosi, integrandosi, completandosi con analoghe situazioni reclamanti altre necessità e scaturenti da altrettante motivazioni, daranno luogo alla collettivizzazione dell’atto, che da rivoltoso si tramuterà così in rivoluzionario.

Occorre di mettersi di taglio alla costellazione della miseria delle democrazie formali. Infrangere lo spettacolo delle ideologie nelle teste di legno della società opulenta.

Cancellare dalla mente gli incubi di schiavo, per diventare il re dell’incubo, finalmente superiori a tutti gli altri, chiusi ciascuno nella sua superiorità. Diventare il produttore del film della propria vita.

Il rifiuto di essere schiavo è ciò che veramente cambia il mondo.

giovedì 18 novembre 2021

La ribellione come avversità ad ogni dominio

Ogni rivoluzione che vuoi essere veramente distruttiva dell' ordine esistente deve contenere almeno una parte della ribellione come superamento della storicità del dominio determinato; deve essere, in altri termini, pervasa da una dimensione metafisica. «Rivoluzione e ribellione non devono essere considerati sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento della condizione sussistente o status, dello Stato o della società, ed è perciò un'azione politica e sociale; la seconda porta certo, come conseguenza inevitabile, al rovesciamento delle condizioni date, ma non parte di qui, bensì dalla insoddisfazione degli uomini verso se stessi, non è una levata di scudi, ma un sollevamento dei singoli, cioè un emergere ribellandosi, senza preoccuparsi delle istituzioni che ne dovrebbero conseguire. La rivoluzione mira a creare nuove istituzioni, la ribellione ci porta a non farci più governare da istituzioni, ma a governarci noi stessi, e perciò non ripone alcuna radiosa speranza nelle istituzioni.

La ribellione, però, non è alternativa o indifferente alla rivoluzione perché è molto di più. Essa è sempre comprensiva dell'avversità ad ogni dominio storico, anche se, contemporaneamente, indica l'impossibilità per sé di auto-determinarsi in quanto negazione metafisica dell'onticità stessa del dominio.

La rivoluzione ordina di creare nuove istituzioni, la ribellione spinge a sollevarsi, a insorgere.

La natura profondamente anarchica della ribellione è dunque chiara: essa è diretta ad ottenere una situazione in cui gli individui non siano più governati da istituzioni (cioè da poteri stabiliti), ma si autogovernino da se stessi (modello perfetto dell'anarchia).

lunedì 15 novembre 2021

Nessuna libertà è possibile con mezzi autoritari

Non esiste un’unica “Grande teoria anarchica”, poiché questa sarebbe contraria ai suoi stessi presupposti. E' diffusa invece una forza, una passione nel diffondere i valori condivisi che nasce nello spirito e nel cuore dei processi del partecipazionismo anarchico, nei piccoli gruppi di affinità che non è settaria o prevaricatrice o autoritaria. Ne deriva quindi il riconoscere il bisogno di differenti prospettive teoriche, unite da un insieme di impegni e analisi condivise, una discussione che si concentra su questioni pratiche, che tiene conto inevitabilmente di una serie di prospettive differenti, riunite dal desiderio condiviso di comprendere la condizione umana, in moto verso una libertà più grande. Pertanto prende forma una cosiddetta “teoria bassa”, piuttosto che una “teoria alta”, necessaria per fare i conti con i problemi reali e immediati che emergono nel corso di un progetto di trasformazione della realtà. Ad esempio: contro il concetto di “linea politica” che è la negazione stessa della politica, contro “l’anti-utopismo”; Una teoria sociale anarchica non può quindi che rifiutare in maniera consapevole ogni residuale avanguardismo. Il compito dei movimenti libertari è quindi guardare chi sta creando alternative percorribili, cercare di immaginare quali potrebbero essere le più vaste implicazioni di ciò che si sta già facendo, e quindi riportare queste idee, non come disposizioni, ma come contributi e possibilità.

Un progetto libertario dovrebbe avere due momenti: “uno etnografico e l’altro utopico, in costante dialettica fra loro, che siano in grado di produrre forme di contropotere: il mondo contemporaneo è pieno di testimonianze libertarie, di luoghi liberati, dei quali però non si rileva traccia nella narrazione ufficiale. Il contropotere prende forma nelle istituzioni tipiche della democrazia diretta, basate su determinati valori, quali la convivialità, l’unanimità, la prosperità, la bellezza, la gratuità.

E' ineluttabile che la dove esista un alto livello di disuguaglianza, tali valori assumano di per se valenza rivoluzionaria.

Un’azione rivoluzionaria è qualsiasi azione collettiva che affronti e respinga una qualche forma di dominio e di potere, e che nel contempo, alla luce di questo processo, ricostituisca nuove relazioni sociali. Le lotte contro le disuguaglianze tra Nord e Sud, le lotte contro il lavoro in quanto relazione di dominio, la negazione dell'autoritarismo, la resistenza alle regole imposte dalla società mercantile, l'affermazione della democrazia diretta sono i pilastri su cui si fondano le libere e autonome municipalità libertarie.

I movimenti libertari da sempre hanno fondato il loro agire sull'etica della pratica rivoluzionaria. E' necessario che i mezzi siano adeguati ai fini poiché c'è la consapevolezza che nessuna libertà è possibile con mezzi autoritari, al centro la necessità di dare forma concreta alla società che si desidera realizzare a partire dalle proprie relazioni personali.

venerdì 12 novembre 2021

Due parole sul termine SPRECO

Un piccolo tentativo per precisare l'uso che del termine spreco si fa in opposizione al mero consumo.

Preferiamo dire “sprecare”: poiché l'altro termine, consumo, che è quello che la moda ha imposto per indicare il modo d'essere della Nuova Società, è ancora incerto ed equivoca; e lo è soprattutto perché, mentre col verbo sprecare il nome davvero importante è quello dell'Oggetto (“Si sprecano i beni”), col verbo consumare il termine importante è quello del Soggetto (“Io  consumo” o “Gli abitanti consumano”), che si può propriamente sdoppiare in un Dativo (“Consumo per me” o “per il mio consumo”. “Consumano per loro”), cosa che evidentemente non si può fare col verbo “sprecare”. E si fa troppo onore al cliente dei nostri mercati quando lo si chiama consumatore: quando l'unica cosa che si esige da lui è che sia uno (tra i molti altri) degli strumenti, di spreco dei beni, necessario, pare, per il mantenimento di quest'Ordine. E tuttavia, ciò non toglie che l'ipocrita attribuzione di soggettività che ancora rimane nel termine di consumatore sia essenziale perché l'individuo continui ad agire proprio come strumento di spreco. Ma il processo di svalutazione della Persona che nel processo di spreco è compreso (e subito si manifesta nello spreco delle persone stesse) è proprio fondato, sulla svalutazione (ed in certo modo annullamento) delle cose e dei beni che il suo spreco esige.

martedì 9 novembre 2021

È tempo di prendere coscienza

Bisogna imparare a scommettere sulla nostra creatività per affondare un sistema che si distrugge minacciandoci di distruzione. Quando avremo capito che il desiderio di una vita diversa è già quella vita, smetteremo di cadere nella trappola dei dualismi intellettuali - bene e male, riformismo e radicalismo, ottimismo e pessimismo - che ci distolgono dai nostri veri problemi. La disperazione è oggi insieme alla paura, l'arma più efficace per il totalitarismo mercantile. Questo è ormai arrivato a rendere redditizia la speranza, facendo quotidianamente della verità, del suo declino una verità universale che incita a una saggia rassegnazione, meglio accontentarsi di un oggi miserabile dal momento che il domani sarà peggiore.

È tempo di prendere coscienza delle occasioni offerte all'autonomia individuale e alla creatività di ciascuno. Secondo il parere dei suoi promotori, il capitalismo finanziario è condannato all'implosione a più o meno lunga scadenza. Ciononostante in una forma sclerotizzata si profila un capitalismo risanato che progetta di approfittare delle energie rinnovabili facendocele pagare allorché sono gratuite. Ci vengono proposti biocarburanti a condizione di accettare delle culture transgeniche di colza, l'ecoturismo getta le basi di un saccheggio della biosfera. A questi livelli è già possibile intervenire. Le risorse naturali ci appartengono, sono gratuite e devono essere messe al servizio della gratuità della vita. Toccherà alle comunità autonome assicurare la loro indipendenza energetica e alimentare liberandosi dal peso delle multinazionali e degli stati che sono loro vassalli. Ci è offerta l'occasione di riappropriarci delle energie naturali riappropriamoci della nostra stessa esistenza.

Abbiamo troppo spesso concesso degli alibi alla disperazione che nasce dal sentimento di dover lottare contro un nemico troppo potente. In effetti non si tratta di affrontare quel che uccide, ma di battersi per vivere meglio. 

 

sabato 6 novembre 2021

Il linguaggio del potere

Esiste un linguaggio al servizio del potere gerarchico. Esso non alligna solamente nell'informazione, nella pubblicità, nel senso comune, nelle abitudini, nei gesti condizionati, ma è presente anche in tutti i discorsi che non preparano la rivoluzione della vita quotidiana, in tutti i discorsi che non sono posti al servizio dei nostri piaceri.

I giornali, la radio, la televisione sono i veicoli più grossolani della menzogna, non solo perché allontanano dai veri problemi, dal “come vivere meglio?” che si pone concretamente ogni giorno, ma perché costringono gli individui ad identificarsi con immagini ben fatte, a porsi astrattamente al posto di un capo di stato, di una vedette, di un assassino, di una vittima, a reagire come altro da sé. Le immagini che ci dominano sono il trionfo di tutto ciò che non siamo e di tutto ciò che ci allontana da noi stessi; di ciò che ci trasforma in oggetti destinati unicamente ad essere classificati, etichettati, gerarchizzati secondo i parametri del sistema della merce universalizzata.

Il sistema mercantile impone le sue rappresentazioni, le sue immagini, il suo senso, il suo linguaggio. Questo tutte le volte che si lavora per lui, quindi per la maggior parte del tempo. L’insieme di idee, di immagini di identificazioni, di condotte determinate dalla necessità di accumulazione e di riproduzione della merce costituisce lo spettacolo in cui ciascuno recita ciò che non vive realmente e vive falsamente ciò che non è. Perciò il ruolo è una menzogna vivente, e la sopravvivenza una maledizione senza fine.

Lo spettacolo (ideologie, cultura, arte, ruoli, immagini, rappresentazioni, parole-merci) è l’insieme delle condotte sociali mediante le quali gli uomini entrano a far parte del sistema mercantile. Partecipare questa farsa significa rinunciare a se stessi, ridursi a meri oggetti di sopravvivenza (merci), e rinviare per l’eternità il piacere di vivere concretamente per se stessi e di costruire liberamente la propria vita quotidiana.


mercoledì 3 novembre 2021

La rivoluzione di Errico Malatesta

La rivoluzione non sarà anarchica, se come è purtroppo il caso, le masse non saranno anarchiche. Ma noi siamo anarchici, dobbiamo restare anarchici ed agire come anarchici, prima, durante e dopo della rivoluzione.

Senza gli anarchici, senza l’opera degli anarchici, se gli anarchici aderissero ad una qualsiasi forma di governo e ad una qualsiasi costituzione cosiddetta di transizione, la prossima rivoluzione invece di segnare un progresso della libertà e della giustizia ed un avviamento verso la liberazione integrale dell’umanità, darebbe luogo a nuove forme di oppressione e di sfruttamento forse peggiori delle attuali, o nella migliore ipotesi non produrrebbe che un miglioramento superficiale, in gran parte illusorio e completamente sproporzionato allo sforzo, ai sacrifici, ai dolori di una rivoluzione, quale quella che si annunzia per un avvenire più o meno prossimo.

Nostro compito dopo aver concorso ad abbattere il regime attuale è quello di impedire, o cercare d’impedire, che si costituisca un nuovo governo; o non riuscendovi, lottare almeno perché il nuovo governo non sia unico, non accentri nelle sue mani tutto il potere sociale, resti debole e vacillante, non riesca a disporre di sufficiente forza militare e finanziaria, e sia riconosciuto ed ubbidito il meno possibile.

(Errico Malatesta, su “Umanità Nova”, 14-10-1922)


domenica 31 ottobre 2021

La parola Autorità

Questa non deve arrivare che dalla ragione. Diventa abusiva se imposta, in qualsiasi maniera lo sia. Politica, legiferante, autoritaria, è la nemica. "Bisogna pensare che io respiro ogni autorità? lungi da me una simile idea. Se si tratta di stivali, mi adeguo all'autorità del calzolaio, per ogni scienza speciale mi rivolgo all'uno o all'altro scienziato. Ma non mi lascio imporre  dal calzolaio, né l'architetto, né lo scienziato. Li ascolto liberamente e con tutto il rispetto che la loro intelligenza merita, che merita il loro carattere, la loro scienza, riserbandomi però il mio incontestabile diritto di critica e di controllo. Non mi accontento di consultare una sola autorità specialista, ne consulto diverse; paragono le loro opinioni e scelgo quella che mi sembra la più giusta. Non mi fido di nessuno in maniera assoluta. Questa fiducia sarebbe fatale alla mia ragione, alla mia libertà, allo stesso successo della mia opera. Non penso che la società debba maltrattare le persone di genio come ha fatto finora. Ma non penso neppure che li debba ingrassare troppo, né accordare loro, soprattutto, dei privilegi o dei diritti esclusivi di qualunque tipo."

giovedì 28 ottobre 2021

Quel che vogliamo, è la sovranità dell’essere umano!

Due realtà si combattono e si urtano con violenza. Una è la realtà della menzogna. Beneficiando del progresso delle tecnologie, essa s’impegna nel manipolare l’opinione pubblica a favore dei poteri costituiti. L’altra è la realtà di quel che è vissuto quotidianamente dalle popolazioni. Da un lato delle parole vuote partecipano al gergo degli affari, dimostrano l’importanza delle cifre, dei sondaggi, delle statistiche; architettano dei falsi dibattiti la cui proliferazione maschera i veri problemi: le rivendicazioni esistenziali e sociali. Le loro finestre mediatiche riversano ogni giorno la banalità delle truffe e dei conflitti d’interesse che ci riguardano unicamente per le loro conseguenze negative. Le loro guerre di devastazione redditizia non sono le nostre, non hanno altro scopo che dissuaderci dal combattere la sola guerra che ci riguarda, quella contro la disumanità mondialmente propagata. Da un lato, secondo l’assurda verità dei dirigenti, le cose sono chiare: rivendicare i diritti dell’essere umano rileva della violenza antidemocratica. La democrazia consisterebbe dunque nel reprimere il popolo, nel lanciare contro di lui un’orda di poliziotti spinti a comportamenti di stampo fascista, la cui l’impunità è garantita dal governo e dai candidati dell’opposizione vogliosi di occuparne il posto. Immaginate a quali tremiti si dedicheranno gli zombi mediatici se l’immolazione tramite il fuoco di una vittima della pauperizzazione genererà l’incendio del sistema responsabile! Dall’altro, la realtà vissuta dal popolo è altrettanto chiara. Nessuno ci farà ammettere che si possa ridurre a un oggetto di transazione mercantile l’obbligo del lavoro mal retribuito, la pressione burocratica che aumenta le tasse, diminuendo il montante delle pensioni e delle conquiste sociali, la pressione salariale che riduce la vita a una limitata sopravvivenza. La realtà vissuta non è una cifra, è un sentimento d’indegnità, è la sensazione di essere niente tra le grinfie dello Stato, un mostro che si riduce sempre di più a causa del prelievo delle malversazioni finanziarie internazionali. Sì. È nello scontro tra queste due realtà – una imposta dal feticismo del denaro, l’altra che si rivendica del vivente – che una scintilla, spesso impercettibile, ha dato fuoco alle polveri.

Quel che vogliamo, è la sovranità dell’essere umano. Niente di più e niente di meno!

lunedì 25 ottobre 2021

Abbattere dominio costruire libertà

Due sono le forze propulsive dell'anarchismo, quella distruttrice e quella costruttrice: abbattere dominio, costruire libertà.

La prima non si riconosce nel presente, anzi lo delegittima, lo combatte e mira gradualmente a distruggerlo; la seconda invece è tutta intenta a prospettare di già il futuro: una società della libertà e dell'uguaglianza.

Insomma, gli anarchici, convinti che le iniquità siano dovute all'organizzazione gerarchica della società, propongono che ognuno riprenda nelle proprie mani il destino e che tutti insieme riprendiamo in mano il destino dell'umanità, per renderci artefici di una società in orizzontale, che parta dall'individuo per giungere poi alla libera associazione fra individui, alla comune ed infine ad una federazione dal basso, che unisca le libere comuni dal territorio al mondo intero.

Ecco, è così che gli anarchici amano pensare il municipalismo o il comunalismo libertario, come dir si voglia: come una proposta radicale, rivoluzionaria, ma nello stesso tempo gradualista; una proposta che si colloca nelle conflittualità dell'oggi per la difesa degli interessi immediati delle classi subalterne, ma si prefigge, nel contempo, di iniziare a costruire nel "qui ed ora" le basi alternative su cui edificare la società libera del domani.

venerdì 22 ottobre 2021

Il piacere di vivere non ha né regole né leggi

Il sogno di un'apocalisse ossessiona il subconscio della società mercantile. Solo l'idea di una rapida distruzione l'ha aiutata a sopportarsi, a contemplare il suo riflesso progressivamente incancrenito. La disperazione vendicativa dei millenaristi e dei rivoluzionari suicidi è stato il suo specchio più fedele prima che la sopravvivenza rivelasse la sua realtà d'agonia climatizzata, il suo suicidio al rallentatore inutile da perseguire, perché arriva per forza di cose.

Mentre la criminalità, Il terrorismo e i suoi edulcorati sostituti, esprimono i sussulti di una volontà di potenza moribonda, cresce la voglia di una festa funebre che inghiotte tutto il vecchio mondo in un'attesa in cui i piaceri servono da passatempo.

Arrivati all'ultima degradazione, quando gli stessi sensi subiscono la riduzione dal biologico all'economico, i piaceri rivelano allo stesso tempo sia la loro inversione millenaria che la parte di vita assolutamente ribelle al recupero mercantile.

L'ultimo ponte della proletarizzazione è gettato su un nuovo sentire da dove contempleremo il suo crollo finale.

Una natura rinascerà poco a poco dov'è il desiderio creerà l'organo.

Il piacere di vivere non ha né regole né leggi ciò che lo definisce, lo circoscrive, lo specializza è precisamente ciò che lo nega e lo rovescia: il lavoro, la costruzione, lo scambio, la separazione e la colpevolezza.

Mi rifiuto di scegliere tra due forme di morte, la mia sola stella è quella della vita a oltranza.

martedì 19 ottobre 2021

Malatesta e la libertà

La libertà è il solo mezzo per arrivare, mediante l'esperienza, al vero ed al meglio: e non vi è libertà se non vi è libertà dell'errore.
Libertà dell'errore, vale a dire libertà come concetto laico di verità e quindi come possibilità, per tutti, di dare seguito alle proprie idee purché non limitino la realizzabilità di quelle altrui. Questa libertà, scopo e mezzo di ogni progresso umano, deve essere infatti per noi e per i nostri amici, come per i nostri avversari e nemici. Gli anarchici, cioè, amano correre i rischi della libertà. Noi siamo per la libertà non solo quando ci giova, ma anche quando ci nuoce. E solo così vi può essere libertà. Essa si definisce come possibilità di pensare e propagare il proprio pensiero, libertà di lavorare e di organizzare la propria vita nel modo che piace; non libertà s'intende di sopprimere la libertà e di sfruttare il lavoro degli altri. Per conseguenza gli anarchici intendono conquistare la libertà per tutti, la libertà effettiva, s'intende, la quale suppone i mezzi per essere liberi, i mezzi per poter vivere senza essere obbligati di mettersi alla dipendenza di uno sfruttatore, individuale o collettivo.  

sabato 16 ottobre 2021

Due parole sulla libertà

Da quando è cominciata la pandemia da coronavirus non si fa altro che sentire parlare di libertà. Fin dal “lontano” marzo 2020: sacrificare la libertà in nome del bene più grande, far diminuire i contagi a costo di rinunciare alla libertà, limitazioni alla libertà di movimento e spostamento… insomma, la parola libertà ci è stata propinata in tutte le salse e in tutte le forme. In occasione della campagna di vaccinazione e di quell’aberrazione etica che è l’introduzione del “green pass“ il tema della libertà è diventato prassi del discorso politico, rivendicazione di partito, retorica demagogica. Non è ozioso dunque tentare un piccolo esercizio filosofico sul concetto di libertà.

Il concetto di libertà ha radici antiche quanto il mondo, tuttavia per quanto riguarda la sua accezione moderna possiamo identificare abbastanza agevolmente una data di nascita: il 1789. Si tratta di una data simbolica certo ma ci permette di indicare un prima e un dopo: a partire da quella data la libertà diventa un concetto fondante della nascente era borghese del mondo, faceva irruzione nella vita politica e ne determinava le scelte, usciva dai libri di filosofia per diventare parte integrante e fondamentale della complessa compagine sociale del mondo contemporaneo che vedeva la luce.

Marx, ne La Questione Ebraica, attacca punto per punto i capisaldi della Rivoluzione Francese. In merito alla libertà scrive: “La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza recare danno altrui, è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due campi è stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell’uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. (...) Ma il diritto dell’uomo alla libertà si basa non sul legame dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sull’isolamento dell’uomo dall’uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell’individuo limitato, limitato a se stesso”. Innanzi tutto è interessante soffermarsi sull’inversione che opera Marx in relazione al concetto di libertà, egli ponendo l’accento sul concetto di limite mette in evidenza ciò che la libertà divide, piuttosto che ciò che essa unisce. E continua: ”La libertà individuale, come l’utilizzazione della medesima, costituisce il fondamento della società civile. Essa lascia che ogni uomo trovi nell’altro uomo non già la realizzazione, ma piuttosto il limite della sua libertà”.

In questo contesto sembrerebbe, dunque, che la libertà sia in realtà un qualcosa da cui guardarsi, un qualcosa che opererebbe come disgregante della società e come impulso alle spinte egoistiche ed individualistiche dell’uomo. E se si pensa al funzionamento intrinseco delle società capitalistiche non dovrebbe stupire molto questa conclusione: il concetto borghese di libertà sembrerebbe una giustificazione dell’egoismo, della prevaricazione, della competitività sociale e, in ultima istanza, una giustificazione della diseguaglianza.

Torniamo rapidamente a guardare la situazione attuale. Quali sono i partiti che, più assiduamente, si appellano alla libertà, criticando l’adozione del green pass, così come, in passato, le misure del contenimento dell’epidemia? Sono i partiti di destra che, seppur a forte tendenza conservatrice, come tutta la destra moderna sono intrisi di ideologia liberale.

La libertà del liberalismo classico, oggi appannaggio delle destre, è ben altra cosa dalla libertà reale e concreta dell’uomo. Come realizzare questa libertà è la più grande sfida che ogni vera forza rivoluzionaria e trasformatrice si trova ad affrontare.

Più di 150 anni fa, due pensatori anarchici – Pierre-Joseph Proudhon e Michail Bakunin – allo Stato padrone, che occupa ogni spazio di libertà, e all’individualismo borghese che lo difende dall’invadenza altrui, sostituirono il pensiero della comunità solidale. Non un sistema compiuto il loro, né un distillato di filosofie radicali, ma semplicemente un’intuizione che, rompendo con l’idealismo di Kant, di Hegel e dei loro seguaci, aveva osato porre in dubbio il precetto del liberalismo classico per cui “la libertà di ogni essere umano avrà come limite la libertà di tutti gli altri esseri umani”.

Scrive Bakunin: “Io posso dirmi e sentirmi libero solo in presenza degli altri uomini e in rapporto a loro ... Io stesso sono umano e libero solo quando tutti gli esseri umani, uomini e donne, sono ugualmente liberi. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o la negazione della mia libertà, ne è al contrario la condizione necessaria e la conferma ... Così che più numerosi sono gli uomini liberi – e più profonda e più ampia è la loro libertà -, più estesa, più profonda e più ampia diviene la mia libertà”.

Trovandomi d’accordo con Bakunin (come potrei non esserlo) dico che "la libertà di ogni essere umano continua con la libertà di tutti gli altri esseri umani". 

Ecco una definizione più completa della libertà secondo il rivoluzionario russo: “La libertà consiste nel pieno sviluppo e nel completo godimento di tutte le facoltà e le potenzialità umane di ognuno attraverso la società, che è necessariamente precedente al sorgere del suo pensiero, della sua parola e della sua volontà; in quanto l’uomo realizza la sua umanità solo per mezzo degli sforzi collettivi di tutti i membri, passati e presenti, della società, base e punto d’avvio dell’esistenza umana”.

Quella di Bakunin è una libertà che si costruisce dal basso in alto, dalla periferia al centro, e cresce di forza e consapevolezza con le libertà di ognuno, graduandosi in tante idee concrete e particolari di libertà, in relazione al contesto in cui si sviluppa e alla comunità solidale che la accoglie.

È il mancato sacrificio della libertà propria che alimenta la libertà degli altri. Per tornare al caso concreto della pandemia in corso, ciò ci consente di distinguere tra la libertà di vaccinarsi e l’adozione del “green pass”. Il vaccinarsi contro il Covid 19, l’uso delle mascherine, il distanziamento ed ogni altra tipo di precauzione è, per un anarchico, un atto di libertà solidale, cosciente, nei confronti di chi, rischiando la vita con il contagio, rischia di perdere per sempre anche il gusto per la libertà. Come scrivono i compagni del “Gruppo di ricerca pandemico”: “Libertà si coniuga così con solidarietà, con salute, con sicurezza nel senso di garanzia di vivere una buona vita”.

L’obbligo del “green pass”, comunque mascherato, pone problemi del tutto differenti. Il “green pass” è uno strumento di controllo (al pari della carta d’identità o del passaporto) e di pressione (= ricatto) ma è soprattutto una fonte di discriminazione tra chi può e chi non può o non vuole, per i più svariati motivi, vaccinarsi. 

A costoro vanno garantiti libertà, diritti acquisiti e servizi essenziali. Non è il vaccinarsi ma è il “green pass” ciò che dovremmo oggi contestare.