Al culmine della scoperta, dall'istante in cui, per i primi navigatori, fu in vista una nuova terra, a quello in cui approdarono; dall'istante in cui uno scienziato poté convincersi di avere assistito a un dato fenomeno fino a lui ignoto a quello in cui cominciò a valutare la portata della sua osservazione — abolito ogni senso della durata, nell'ebbrezza della chance — un sottilissimo pennello di fuoco lascia sprigionare o completa come nient'altro il senso della vita. È alla riproduzione di questo particolare stato dello spirito che il surrealismo ha sempre aspirato, disdegnando in ultima analisi la preda e l'ombra in favore di ciò che non è già più l'ombra e non è ancora la preda: l'ombra e la preda fuse in un unico lampo.
Si tratta di non lasciare, dietro di sé, che i sentieri del desiderio si aggroviglino. Per scongiurare ciò, nell'arte, nelle scienze, non c'è risorsa migliore che questa volontà di applicazioni, di bottino, di raccolta. Al diavolo ogni prigionia, fosse anche in nome dell'utilità universale, fosse anche nei giardini di pietre preziose di Montezuma! Ancora oggi, se mi aspetto qualcosa è soltanto dalla mia disponibilità, da questa sete di vagare incontro a tutto; e sono certo che essa mi mantiene in comunicazione misteriosa con gli altri esseri disponibili, come se fossimo chiamati da un momento all'altro a riunirci. Mi piacerebbe che la mia vita non lasciasse dietro di sé altro mormorio che quello di una canzone di veglia, di una canzone per ingannare l'attesa. Indipendentemente da ciò che sopraggiunge, o non sopraggiunge, l'attesa è in sé meravigliosa.