..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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martedì 30 maggio 2023

Il Movimento reale

Non si tratta di togliere alle lotte ancora prigioniere della separazione ogni senso vivo, si tratta, liberandole dalla loro schiavitù al senso morto, di scoprire ciò che le sottende, ma che esse non arrivano ad esprimere nella sua interezza e totalità. Il movimento reale non è l'esercito rivoluzionario annidato in una latenza ineffabile, ma l'articolarsi vivente, nelle contraddizioni dell'esistente e nell'inganno delle lotte fittizie, di una emergenza che le trapassa senza morirvi, che si rinnova e rafforza al di là delle tagliole allestite per catturarla e deviarla. A emergere, è una certezza senza precedenti storici: la consapevolezza di un comunismo realizzabile senza "transizione", sulla base materiale conquistata dalle forze produttive; strappato che sia il mondo degli uomini alle mani di chi sta devastandolo pur di perpetuare una rapina secolare. L'umanizzazione del pianeta e dell'universo naturale, e l'umanizzazione dell'uomo stesso, è il possibile che traspare al di là dei diagrammi del collasso capitalista, al di là della mostruosità imposta al mondo e agli uomini da un modo di produzione necrotizzante, fondato sulla valorizzazione del falso storpiando il vero sin dal seme e sin dalla culla. La produzione di profitto mortifero e di sottouomini a esso incatenati deve aver fine, o finirà ogni progetto umano. Questa certezza realizza e incarna, nel movimento reale, il contenuto delle "teorie rivoluzionarie" del passato, superando la loro forma ancora idealisticamente coscienziale. li passaggio in armi dalla speranza alla certezza, dalla "coscienza' alla esperienza vivente, alla vera gnosi, è la transizione necessaria. La certezza fatica a liberarsi dalle forme vuote in cui l'ideologia la trattiene; a mano a mano che la falsa guerra sceneggiata dall'ideologia mostra ai rivoluzionari la corda con cui strozza il loro furore, la certezza avanza, la vera guerra procede. È questo il compito della critica radicale.

(Giorgio Cesarano, Piero Coppo, Joe Fallisi, Cronaca di un ballo mascherato, 1974)

venerdì 26 maggio 2023

Kropotkin – La morale

Noi non chiediamo che una cosa: eliminare tutto ciò che nella nostra società ostacola il libero sviluppo di questi due sentimenti, tutto ciò che travia il nostro giudizio: lo Stato, la Chiesa, lo sfruttamento; il giudice, il prete, il governo, lo sfruttatore. Oggi, quando vediamo un Jack lo Squartatore sgozzare dieci donne tra le più povere e le più miserabili - e moralmente superiori ai tre quarti delle ricche borghesi - il nostro primo sentimento è quello dell'odio. Se noi lo avessimo incontrato il giorno in cui ha sgozzato quella donna che voleva farsi pagare da lui i sei soldi del suo tugurio, noi gli avremmo sparato una palla nel cranio, senza riflettere che la palla sarebbe stata meglio nel cranio del proprietario del tugurio. Ma quando ci ricordiamo di tutte le infamie che hanno condotto Jack lo Squartatore a questi assassinii, quando pensiamo alle tenebre nelle quali egli vaga, perseguitato dalle immagini viste in libri immondi e da pensieri attinti da libri stupidi, - il nostro sentimento si sdoppia. E il giorno in cui sapremo che Jack è finito nelle mani di un giudice il quale ha massacrato freddamente uomini, donne e bambini, dieci volte più di tutti i Jack; quando lo sapremo tra le mani di questi maniaci a sangue freddo, o di quelle persone che mandano un delinquente qualsiasi in galera per dimostrare ai borghesi che vigilano sulla loro salvezza - allora tutto il nostro odio contro Jack lo Squartatore sparirà, e si rivolgerà altrove, e diventerà odio contro la società vile e ipocrita, contro i suoi rappresentanti riconosciuti. Tutte le infamie di uno squartatore si dileguano davanti a questa serie secolare di infamie commesse nel nome della Legge. Ed è questa che che noi odiamo. Oggi il nostro sentimento si sdoppia continuamente. Noi sentiamo che tutti siamo più o meno volontariamente o involontariamente i sostegni di questa società. Noi non osiamo più odiare.

lunedì 22 maggio 2023

I disastri dello sviluppo capitalistico

I disastri, che si abbattono con tanta violenza sulla nostra terra, sono l’effetto perverso di due secoli e mezzo di sviluppo capitalistico. Uno sviluppo basato su due fattori fondamentali: lo sfruttamento della classe operaia e la rapina delle risorse naturali del pianeta. Si è avuta una crescita economica senza precedenti. Le condizioni di vita, almeno in occidente, sono considerevolmente migliorate. Il prezzo pagato, però, è stato caro. Sono aumentate le disuguaglianze sociali e territoriali. Il divario tra livelli di povertà e ricchezze smisurate nelle mani di pochi è diventato intollerabile. Uomini e cose sono sottomessi alla logica alienante e disumana del massimo profitto. Questione sociale e questione ambientale si intrecciano. La quantità di C02 emessa nell’atmosfera,\ per soddisfare le esigenze del mercato, è sempre maggiore. Da qui il climate change. Ma sono i paesi poveri a subirne le conseguenze più pesanti. L’acqua del mare si innalza e invade i campi coltivati del Bangladesh, distruggendone la fertilità. Le dune del deserto avanzano nei villaggi e nelle città delle aree subsahariane e, a causa della siccità e della fame, si determina una forte spinta alle migrazioni di massa. I governi dei paesi occidentali, in genere a trazione liberale, sono convinti che una trasformazione radicale del sistema energetico avrebbe conseguenze devastanti sull’industria dell’auto, sulla chimica e sugli altri settori da cui dipende la ripresa economica. Il punto è proprio questo. La conversione ecologica non è compatibile con l’idea della crescita illimitata. Il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili presuppone un cambiamento profondo nel modo di produzione e di consumo, e negli stili di vita. La «transizione» non può ridursi ad escamotage per rinviare il momento di scelte strategiche e risolutive. La sinistra sembra accomodata nel ruolo di coscienza critica del pensiero liberal. Stenta a diventare protagonista di un’iniziativa autonoma e di massa che ponga al centro la contraddizione insanabile tra la logica del profitto e l’esigenza di salvaguardare il pianeta.

Il monito di Rosa Luxemburg «socialismo o barbarie» risuona più che mai attuale.


giovedì 18 maggio 2023

Il dono per un futuro migliore

In un mondo dove qualunquismo egoismo, individualismo becero e arrogante, dove quasi tutto ormai è sempre più artificiale, in cui l’umanità sembra ormai incapace di esprimere la sua volontà di vivere e di resistere a ciò che ne ostacola la felicità, urge una riscoperta dello spirito del dono per rovesciare la prospettiva di una sopravvivenza programmata per essere consumata contro natura.

Il mostro dell’economia autonomizzata va urgentemente fermato e nessuno potrà farlo al nostro posto.

Al dogma della crescita economica comincia a opporsi il progetto di una decrescita piacevole e conviviale, tendente a ristabilire sul piano demografico, su quello dei consumi, su tutti i piani del vivente il predominio della qualità sulla quantità.

Sta a noi non ridurlo a un’ennesima morale di rinuncia. Non abbiamo niente da perdere se non una immensa insoddisfazione in una tragedia planetaria. Abbiamo da esplorare la gioia di vivere al di fuori di qualsiasi sacrificio.

Non è una certezza, ma una scommessa, cui ogni istante siamo invitati a non rinunciare mai, che finalmente dalle ambiguità dell’apatia generale venga fuori una volontà di battersi per creare se stessi armonizzando la società col godimento di sé.

Niente ci impedirà di distinguere, all’ombra dei patiboli, delle prigioni, delle fabbriche, delle scuole, nella clandestinità delle città, la folla insolita di coloro che hanno vissuto e tentano di vivere in rottura con gli imperativi della sopravvivenza. Una tale folla è in ciascuno di noi. Basta sentirla al di sopra del vano gridio della morte.

sabato 13 maggio 2023

L’anarchismo che cambia è l’anarchismo che lotta

Lottare non è più soltanto denunciare, opporsi e affrontarsi, è anche creare qui e ora realtà differenti. Le lotte devono produrre risultati concreti senza lasciarsi condizionare dalle speranze per il futuro. Si tratta dunque di strappare spazi al sistema per svilupparvi esperienze comunitarie dal carattere trasformatore, perché è soltanto quando un’attività trasforma realmente e radicalmente una realtà, anche se in modo provvisorio e parziale, che si gettano le basi per andare al di là di una semplice (benché sempre necessaria) opposizione al sistema e per creare un’alternativa concreta che lo sfidi nei fatti. In questa prospettiva, buona parte del neoanarchismo si sforza di creare spazi di vita e modi di essere che si pongano in radicale rottura con le norme del sistema e che facciano nascere nuove soggettività radicalmente ribelli. Come dice un collettivo anarchico degli Stati Uniti: La nostra rivoluzione deve essere immediata e riguardare la vita quotidiana, dobbiamo cercare da principio e prima di tutto di modificare il contenuto della nostra esistenza in senso rivoluzionario, più che orientare la nostra lotta verso un cambiamento storico e universale, che non potremo mai vedere nel corso della nostra vita. Si tratta dunque di agire su un ambiente che noi trasformiamo e che, al tempo stesso, ci permette di trasformare noi stessi modificando la nostra soggettività. Possiamo realizzare tutto ciò creando legami sociali differenti, costruendo complicità e relazioni solidali, che prospettino nella pratica e nel presente una realtà diversa e una vita differente. Come sostiene la rivista francese «Tiqqun», si tratta di stabilire modi di vita che siano di per sé modi di lotta. Tutto ciò non è del tutto nuovo, naturalmente, e lo si può far risalire, con qualche distinguo, ai luoghi di vita creati dagli anarchici della fine del XIX secolo e inizio del XX. Allora, per sintetizzare, quello che emerge è che le lotte attuali non si articolano su basi identitarie, criticano i discorsi totalizzanti, sono refrattarie a qualsiasi prospettiva escatologica, sono decisamente presentiste e legate al cambiamento, qui e ora, di certi aspetti esistenziali, sociali e politici e mirano a opporsi radicalmente e nell’immediato ad aspetti concreti, benché limitati, dei dispositivi di dominio. L’anarchismo contemporaneo cambia nella misura in cui si trova coinvolto, con altri collettivi, nelle lotte attuali, e inserisce nel proprio bagaglio le caratteristiche principali di tali lotte. In definitiva, l’anarchismo che cambia è l’anarchismo che lotta e che lotta al presente.


martedì 9 maggio 2023

UN PUNTO di vista anarchico

 NON IL, ma un punto di vista anarchico. Quindi contiene le caratteristiche tipiche della visuale anarchica che, pur essendo parziale, relativa e non assoluta, come tutte le visuali che non si limitino ad uno specifico campo d’azione, rappresenta una chiave di lettura capace di abbracciare valori universali, proposti con la consapevolezza di una validità estensibile a tutti ed a tutte le situazioni. Ed il punto di vista anarchico principe presuppone sopra ogni altra cosa il rifiuto incondizionato di ogni genere di sopraffazione di potere e di ogni forma di dominio, in nome del riconoscimento di fatto di un’eguaglianza sociale diffusa, di pratiche costanti di libertà e del ripudio di qualsiasi esercizio della violenza nell’espletamento delle decisioni e della volontà collettive, rese operanti attraverso strutture orizzontali, non gerarchiche e non rigide. Qual è il problema di fondo rispetto all’auspicabile possibilità della realizzazione di una futura società anarchica? Corrisponde al superamento e all’abbattimento delle barriere storicamente consolidate, strutturali senza dubbio, ma soprattutto culturali, che mantengono in piedi la stabilità degli assetti di potere del vigente dominio. L’istituzionalizzazione del potere in atto, infatti, che legittima la necessità del comando gerarchico e della sua esecuzione attraverso l’uso della forza costituita, ha in sostanza due tipi di giustificazione: la prima, la più antica ed ancestrale è di tipo religioso, secondo la cui credenza dio o più dei, dal momento che non si fidano dell’imperfezione umana da essi stessi creata, dall’alto del loro potere superumano obbligano l’umanità ad obbedire ad alcuni uomini scelti da loro per eseguire la volontà divina, rivelata e in genere sancita da sacre scritture; l’altra, di carattere laico, è l’homo homini lupus hobbessiano, secondo cui, dal momento che fin dalle origini dello stato di natura ogni uomo è ostile agli altri uomini, per poter vivere in sicurezza e in armonia la società ha necessità di trovare chi la comanda, capace d’imporre con la forza quell’ordine indispensabile al vivere comune, che per una diffusa convinzione altrimenti verrebbe meno. Il compito degli anarchici allora è quello di proporsi e di agire per dimostrare e convincere che le motivazioni storicamente determinatesi, della volontà di dio e della necessità del comando dall’alto, altro non sono che semplici credenze umane, imposte e legittimate nel tempo dalla volontà dei potenti di turno. Non solo sono eludibili, ma perfettamente sostituibili con una visione fondata su principi di libertà, su una conduzione delle cose collettive non governata dall’alto, sulla possibilità di organizzarsi senza gerarchie di comando e con forme di gestione orizzontale. Possiamo benissimo non essere governati, ma autogovernarci, sostituendo il potere della forza d’imposizione con la reciprocità, la solidarietà e un’effettiva partecipazione alle decisioni, che non avranno perciò più la necessità di essere imposte con la forza e la legittimità giuridica di corpi armati addetti alla sicurezza ed all’ordine pubblico, cioè da esecutori della volontà di istituzioni autoritarie.