..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 19 ottobre 2020

Palermo 19 ottobre 1944: la strage del pane

Il 1944 è un anno terribile per Italia, al Nord martoriata dai rastrellamenti nazisti, al Sud ferita dai recenti bombardamenti e senza pane, senza vestiti, con pochi mezzi di prima necessità.

Nel settentrione si compiono i gravi eccidi nazisti (il 12 agosto Sant’Anna di Stazzema), nel meridione avvengono stragi di inermi cittadini per “fuoco amico”.

A Palermo oggi sono pochi, se non addirittura nessuno, quelli che ricordano gli eventi del 19 ottobre del ’44, una luttuosa giornata sulla quale non esistono pubblicazioni ufficiali, testimonianze, fotografie, testi.

Comincia la mattina del 19 ottobre, giovedì: gli uffici comunali rimangono deserti, per l’astensione dal lavoro dei dipendenti.

Neppure i postelegrafonici e i ferrovieri si recano al lavoro.

È sciopero contro il carovita, come in tante altre parti del paese, è la rabbia di chi soffre gli stenti della ripresa, mentre i “baroni” ed i padroni del “mercato nero” mantengono i privilegi ed aumentano le loro ricchezze.

Gli scioperanti chiedono salari adeguati, ma soprattutto pane e pasta, da mangiare per tutti, e si uniscono i disoccupati, i muratori, i giovani e si fa il corteo al grido di “Pane! Pane!”, un corteo sempre più lungo, che a mezzogiorno parte dalla storica Piazza Pretoria, chiamata da sempre “Piazza della Vergogna” per la nudità delle statue che adornano la monumentale fontana al centro della piazza. 

Scende, il corteo, la breve scalinata che immette sulla via fatta costruire a fine ‘500 dal vicerè, duca di Maqueda, per ospitarvi i palazzi della nobiltà, e si dirige, snodandosi nello splendore barocco che scontra la miseria delle plebi affamate, verso il nobile edificio di Palazzo Comitini.

Lì, nello storico Palazzo ha sede la Prefettura, presidiata da una trentina fra poliziotti e carabinieri, ma il Prefetto non c’è e nemmeno l’Alto Commissario, così i manifestanti che chiedevano di essere ricevuti in delegazione dalle autorità cominciano a scalpitare suscitando i timori del vice-prefetto Giuseppe Pampillonia che invoca l’intervento dell’esercito ed ottiene l’invio di 50 soldati del 139° fanteria “Sabaudia” guidati dal sottotenente Calogero Lo Sardo.

I militari sono accolti con lancio di sassi e rispondono con lancio di bombe a mano e spari ad altezza d’uomo provocando 24 morti e 158 feriti, molti assai gravi, tanto che qualcuno ipotizza che le vittime potrebbero essere di più con decesso, per le conseguenze, dopo vari giorni, ipotesi che non si può escludere a causa del silenzio calato sugli eventi dallo stesso Governo che chiude affrettatamente il caso dandone una versione chiaramente falsa (si parla di “elementi estranei” che è provato non ci sono, “colpi di arma da fuoco”, ma gli unici bossoli rinvenuti appartengono all’esercito, “sedici morti”, ma se ne contano 24 subito), versione dalle quale tuttavia nessuno dei partiti antifascisti prende le distanze.

Il 24 febbraio del ’47 ventuno imputati vanno a processo, riconosciuti colpevoli quanto meno di “eccesso colposo nell’uso legittimo ( ! ) delle armi” e tuttavia nessuno va in galera “per sopraggiunta amnistia”.

giovedì 8 ottobre 2020

8 ottobre 1967: Hasta siempre Comandante

Quanto si sa degli ultimi giorni del Che, e della sua morte, sono passati alla storia attraverso il suo celebre diario in Bolivia.

Le informazioni che ci arrivano,riguardo alle ultime giornate di Guevara sono sicuramente drammatiche e finiscono il giorno prima della sua cattura.

È l`8 ottobre 1967 ed oramai da giorni la colonna dell'Esercito di Liberazione Nazionale Boliviano ,guidata dal Che, è circondata nella zona montuosa del quebrada del Yuro. Dopo una feroce battaglia con l'esercito Boliviano, supportato da una squadra di Rangers e dalla CIA, il Che viene catturato dopo essere stato ferito.

Tenuto prigioniero fino alla mattina dopo viene ucciso da diversi colpi di pistola dal soldato Mario Teràn, scelto a caso fra la truppa per fare da giustiziere.

Dopo l'esecuzione, il Che viene fotografato ancora con gli occhi aperti. Quelle foto della salma del guerrigliero più famoso del mondo, e divenuto ormai leggenda, fanno subito il giro del globo.

Ad aver comunicato la probabile posizione dei guerriglieri alle autorità Boliviane e' stato un contadino, ma a condurre l’operazione di cattura è l`agente della CIA Félix Rodríguez. Negli anni a venire quest’ultimo non mancherà mai occasione per vantarsi davanti ai giornalisti del proprio crimine.

La guerriglia in Bolivia e il tentativo di innescare un processo rivoluzionario in Bolivia da parte del Che, comunque supportato da tutto il governo rivoluzionario cubano, non fu un successo fin dal principio.

Infatti,da subito, i nuclei guerriglieri non trovarono l`appoggio della popolazione contadina, ne il supporto promesso dal Partito Comunista Boliviano. Solo alcuni dirigenti e membri di esso, trasgrediranno alle direttive del partito per unirsi alla guerriglia.

La figura di Che Guevara, forse anche a causa della sua tragica morte, è diventata ed è tuttora una parte importante dell’immaginario di rivolta e rivoluzione in Sud America ed in tutto il mondo.

I suoi scritti sulla guerra di guerriglia (tra cui anche il diario boliviano) sono delle pietre miliari per la tattica militare, ed ancora oggi sono fra i testi più importanti per capire il senso e i meccanismi della guerriglia come strumento politico.



giovedì 1 ottobre 2020

1 ottobre 1984: lo sciopero dei minatori britannici

Dopo l'elezione di Margaret Thatcher nel 1979 in tutto il Regno Unito si andò accentuando la politica liberista volta alla distruzione dello stato sociale e alla liberalizzazione delle aziende di proprietà dello stato.

La strategia delineata fu quella di intraprendere un vasto programma di chiusura di unità produttive in taluni settori, come la siderurgia, le ferrovie e il carbone, di privatizzare e intaccare il monopolio statale nei settori in espansione come le telecomunicazioni, e di stabilire un sistema misto pubblico-privato nella sanità, tra ospedali, municipalità e ditte private.

Uno dei primi obbiettivi del governo, dopo i lavoratori pubblici e i ferrovieri, fu l'industria del carbone, una delle più grosse d'Europa, e nel quale esisteva probabilmente il più combattivo e compatto sindacato inglese il National Union of Mineworkers.

A seguito della decisione dell'Ufficio Nazionale del Carbone di avviare un piano di ristrutturazione del settore che avrebbe portato alla chiusura di venti pozzi e al conseguente licenziamento di decine di migliaia di lavoratori,il 12 marzo 1984, iniziò lo sciopero.

Entro la fine di marzo la produzione di carbone nel Regno Unito fu quasi totalmente ferma.

Un ruolo determinante in questa lotta lo giocarono i picchetti volanti, ai quali parteciparono molti giovani lavoratori che per la prima volta si trovano coinvolti in un conflitto sociale su scala nazionale.

Protagoniste durante tutta la durata dello sciopero furono le donne che non accettarono più il loro ruolo di subordinazione che le vedeva ad organizzare le attività di sostegno agli scioperanti ma anzi furono sempre in prima linea nelle assemblee, nei picchetti, nei cortei e negli scontri con la polizia.

Per fermare i picchetti il governo inviò circa diecimila poliziotti nei bacini carboniferi che si scatenarono in cariche feroci sui lavoratori. Una delle principali operazioni della polizia fu quella di intercettare i picchettatori per impedire che arrivino alle miniere.

L'azione dello stato non si limitò alla repressione poliziesca: multe e confische di beni colpirono le organizzazioni sindacali che organizzarono o appoggiarono i picchetti in altre regioni, addirittura il NUM ricevette una multa di 200 mila sterline per aver organizzato i picchetti e quando il sindacato si rifiutò di pagarla tutti i suoi fondi vennero sequestrati dal tribunale di Londra. 

Contemporaneamente ai minatori scesero in sciopero i ferrovieri e i portuali per evitare che il carbone venisse importato dall'estero e per dimostrare il loro sostegno ai minatori. Così facendo riuscirono a portare all'esaurimento la maggior parte delle scorte di carbone e a costringere allo stop la produzione in altri settori chiave dell'economia britannica, come le acciaierie. 

La reazione del Governo fu durissima: vennero intensificati i processi, le cariche ai cortei dei lavoratori e per disperdere i picchetti, si iniziò ad intaccare gli stessi diritti sindacali con alcuni tribunali che dichiaravano illegali gli scioperi.

Il 1 ottobre 1984 il segretario del NUM viene citato in giudizio per aver difeso la pratica dei picchetti e aver contraddetto pubblicamente un tribunale che aveva dichiarato illegale lo sciopero nello Yorkshire.

I parlamentari laburisti si dissociarono dalle pratiche messe in campo dai lavoratori in lotta arrivando fino a condannare lo sciopero che stava proseguendo da mesi; di fatto associandosi alla campagna diffamatoria messa in campo dal governo e dai giornali borghesi contro l'intera categoria.

Questa campagna unita alla dura repressione (due lavoratori uccisi dalla polizia; 710 licenziati, circa 10.000 delegati e militanti di base arrestati e in attesa di processo) e all'azione legale da parte del governo contro il NUM portò una strettissima maggioranza del congresso del sindacato a decretare la fine dello sciopero il 3 marzo 1985 che comunque, soprattutto in Scozia e nel Kent, durò ancora diversi giorni.

mercoledì 30 settembre 2020

Spagna ’36 di Carlo Rosselli

"Al termine di un immenso viale lussuoso e deserto, addossata alle colline che fanno da corona al Tibidabo, ecco Pedralbes, la grande caserma di fanteria di Barcellona. Da Pedralbes partì, il 19 luglio, la rivolta. Ma i soldati non ubbidirono e gli ufficiali sopravvissuti furono trasportati sull’Uruguay, prigione navigante. Oggi Predalbes è il centro di formazione delle milizie popolari, delle colonne anarchiche Ascaso, Aguiluchos, Rojo y Negro. Durruti è già partito. Sperava di entrare a Saragozza prima che la resistenza si organizzasse. Invece i primi reparti, attaccati sulla strada dall’aviazione, dovettero fermarsi. Non ha nulla della caserma, Predalbes, benché sia una caserma modello. È un immenso castello rococò, diviso in vari edifici e torrioni, che fa pensare a uno scenario di cartone e stucco.

Sarebbe orrendo, se non si adagiasse su questi colli, immerso nel sole allucinante e nell’azzurro mediterraneo.

Il terrazzo ed il portico d’ingresso brulicano di gioventù. Per chi sale a Predalbes coi ricordi di una grigia caserma piemontese, è il capogiro, il carnevale, tale è il tumulto di gente che va e viene, senza meta apparente.

Comunione non solo morale ma fisica. Si vive, ci si tocca, ci si urta, ci si sposta in gruppo. La vita del singolo resta inghiottita dalla moltitudine. Ma che vita. Anche lo scalone che a destra porta al comando rigurgita di umanità. Abiti civili, tute marroni, grigie, bleu; guerrieri col fucile, pistolone, pugnale; uomini fatti, ragazzi, miliziane, col fazzoletto rosso e nero al collo, e bandiera della FAI e CNT".

(Tratto dal diario di Carlo Rosselli in data 12 agosto 1936)

 

Carlo Rosselli, classe 1899, rampollo di una facoltosa famiglia ebraica, era scappato dal confino di Lipari nel luglio del ’29; giunto a Parigi aveva fondato il movimento Giustizia e Libertà.

sabato 26 settembre 2020

Oggi è un buon giorno per morire

 

Ho sognato il cielo coperto da nuvole scure di cavallette sciamanti ovunque. Giravano impazzite sul nostro campo e poi, improvvisamente, cadevano senza vita sulla terra, ai nostri piedi. E il cielo ritornava pulito.

Toro Seduto sogna e racconta le sue visioni. E’ un’arte che ha appreso da piccolo e, per la precisione e la qualità del racconto, lo distingue da ogni altro Lakota Sioux. Cavallo Pazzo lo ascolta preoccupato. Gli hanno raccontato che migliaia di soldati blù stanno dirigendosi verso il loro campo. Messo in piedi nei pressi del torrente Little Big Horn, nel cuore delle Black Hills: il centro culturale, spirituale, strategico della nazione Sioux. Sono arrivati anche gli Cheyenne e gli Arapaho. Quelli, almeno, sopravvissuti alle varie stragi perpetrate dalle forze armate degli Stati Uniti. Come a Sand Creek, con donne e bambini fatti, letteralmente, a pezzi dai volontari di John Chivington. O nei pressi del fiume Washita, dove il 7° cavalleria ha caricato, all’alba, fra le tende delle famiglie che dormivano; mentre i guerrieri erano lontani, a caccia di bisonti. Una carica per massacrare, guidata da Custer e dalla musica della banda reggimentale che suonava “Garry Owen”. Cavallo Pazzo ascolta preoccupato e allerta tutto il campo. Le donne e gli uomini dormiranno armati e, i più, veglieranno nella tiepida notte di prima estate.

Di nuovo Custer e il suo 7° reggimento di assassini stanno arrivando per distruggerli. Hanno l’ordine di fare piazza pulita di ogni “selvaggio”. Il governo americano vuole l’oro delle Colline Nere. Il capitalismo imperiale ha fame di risorse per incrementare i profitti; di nuove ricchezze da strappare alla terra, a ogni costo. La disciplina del progresso che sta imponendo al mondo, lo pretende senza tregua. Il suo carburante proviene dallo sfruttamento di ogni risorsa e dal controllo totale delle vite. Dormono e vegliano, le donne e gli uomini Lakota, Cheyenne, Arapaho.

Aspettano l’alba e l’arrivo degli sciami di cavallette. Il sole si alza, finalmente, sul campo a due passi dal torrente che porta acqua fresca. Niente, però, succede e i sorrisi distendono i volti, fra i giochi dei bambini.

Si gioca e si parla e si ama, nel campo delle donne e degli uomini, ma tutti restano vigili e armati. La prima carica si scatena alle 3 del pomeriggio del 26 giugno 1876 e, subito, si risponde e si contrattacca. Tutti a cavallo, addosso agli assassini venuti per massacrare. Questa volta, però, non ci sono solo vecchi, donne e bambini come a Sand Creek e a Washita; ma i migliori combattenti delle grandi pianure.

Dopo un paio d’ore di scontri cruenti, fino al più selvaggio corpo a corpo, Custer e la maggior parte del suo reggimento giacciano, senza vita, al suolo.Cavallo Pazzo e Toro Seduto hanno guidato la resistenza e urlato oggi è un buon giorno per morire. Sono vivi e le cavallette morte ai loro piedi.

Sanno che non potranno vincere, alla fine; ma, hanno insegnato, per sempre, al loro popolo e a ogni altro essere umano, cosa fare per affermare il diritto di vivere in dignità.

Cavallo Pazzo sarà assassinato, a colpi di baionetta, il 5 settembre 1877 a Fort Robinson (Nebraska – USA).

Toro Seduto cadrà colpito dai poliziotti Lakota, venduti ai padroni Yankees, dopo un’ultima disperata ribellione, a STANDING ROCK, il 15 settembre 1890.

A STANDING ROCK, i Lakota Soux stanno, ancora, resistendo per impedire la costruzione, deturpante e inquinante i corsi d’acqua, dell’oleodotto della compagnia Energy Transfer Partners; il cui tracciato prevede l’attraversamento dei fiumi Missouri e Mississippi, così come parte del Lago Oahe, vicino alla Riserva dei Sioux.

La protesta è stata lanciata, in primavera, da un’anziana Sioux di Standing Rock e dai suoi nipotini; decisi a bivaccare nel percorso dell’oleodotto a difesa della terra e del loro popolo. Durante l’estate, il movimento è cresciuto sino a contare migliaia di persone proveniente da ogni dove degli Stati Uniti. La repressione è stata, fin da subito, durissima, con botte e arresti indiscriminati (oltre 200). Si risponde con improvvisi blocchi stradali e manifestazioni senza tregua. I Lakota e tutte/i le/i solidali con loro, non indietreggiano. La lotta per il diritto alla vita e la liberazione della Terra continua.

Il nostro cuore batte al loro fianco.



mercoledì 23 settembre 2020

Jean Baudrillard e la scena integrale del potere

Il potere ha ormai preso le sembianze di una scena integrale alla quale nessuno può assistere senza partecipare. Lo spettatore è anzi il figurante di uno show per cui non si staccano biglietti né si prenota la poltrona, essendo spettacolo la forma attuale del mondo. Sia che prevalga in noi il rifiuto della politica oppure la lotta e l’indignazione civile, gravitiamo intorno allo stesso nodo: l’esibizione sfrenata del potere come messa-in-scena. Ma se ciò è avvenuto, forse qualcosa era già attivo in noi all’alba della spettacolarizzazione della politica; forse v’è un fatto antecedente che riguarda la natura medesima degli spettatori. Il problema attuale della classe politica consiste nel fatto che non si tratta più di governare, ma di mantenere l’allucinazione del potere e ciò esige dei talenti del tutto particolari. Produrre il potere come illusione è come manovrare capitali circolanti, come danzare davanti a uno specchio. E se accade che non c’è più il potere, la ragione è nel fatto che tutta la società è passata alla servitù volontaria. Ma ciò è avvenuto in una strana maniera: non più come volontà di essere servi, bensì come ciascuno divenuto servo della propria volontà. In una somma di volere, di potere, di sapere, d’agire, di riuscire, ognuno si è piegato a tutto questo, e il colpo sul potere è perfettamente riuscito: ognuno di noi è divenuto un sistema asservito, auto-asservito, poiché ha investito tutta la sua libertà nella volontà folle di trarre il massimo dallo sfruttamento di se stesso.

Nella distesa della modernità costellata di individui servi-potenti l’assassinio ininterrotto del potere insiste sul sorpasso della sua dimensione verticale e ascetica; è questo uno degli effetti collaterali della fine delle gerarchie politiche e della trascendenza teologica. La spettacolarizzazione della politica ne è il frutto maturo, necessario per convocare la rappresentazione iterata del potere nel vuoto della propria manifestazione. Se di questo si tratta, allora il potere è ormai una funzione rappresentativa “vuota”, una casella che solo il servo volontario più ambizioso può coprire e modellare a suo piacimento: «A partire dal momento in cui il potere non è più l’ipostasi, la trasfigurazione della servitù, e che questa è integralmente diffusa nella società, allora non gli resta che crepare come una funzione inutile».

Così l’uomo politico più brillante, il supremo maestro della servitù volontaria, ci supera per auto-agonismo; questi ci porta con sé nello schianto eclatante del potere i cui bagliori sono oggi il nostro unico “spettacolo”.


sabato 19 settembre 2020

Umanesimo di Camillo Berneri

Umanesimo, va intesa in modo più largo del significato, che le è generalmente attribuito, di ritorno, filosofico e letterario, all'antico. Umanesimo è parola che riassume lo spirito del Rinascimento e significa, ancora e sopratutto, il culto dell'Uomo preso come base di ogni concezione estetica, etica e sociologica. L'umanesimo è, sostanzialmente, definito nella celebre formula di Terenzio “Homo sum: humani nihil a me alienum puto”, ossia «Sono uomo, e penso che niente di quel che è umano mi sia estraneo». Soltanto chi veda in ogni uomo l'uomo, soltanto costui è umanista. L'industriale cupido che nell'operaio non vede che l'operaio, l'economista che nel produttore non vede che il produttore, il politico che nel cittadino non vede che l'elettore: ecco dei tipi umani che sono lontani da una concezione umanista della vita sociale. Egualmente lontani da quella concezione sono quei rivoluzionari che sul piano classista riproducono le generalizzazioni arbitrarie che nel campo nazionalista hanno nome xenofobia.

Il rivoluzionario umanista è consapevole della funzione evolutiva del proletariato, è con il proletariato perché questa classe è oppressa, sfruttata e avvilita, ma non cade nell'ingenuità populista di attribuire al proletariato tutte le virtù e alla borghesia tutti i vizi, e la stessa borghesia egli comprende nel suo sogno di umana emancipazione. Pëtr Kropotkin diceva: «Lavorando ad abolire la divisione fra padroni e schiavi, noi lavoriamo alla felicità degli uni e degli altri, alla felicità dell'umanità». L'emancipazione sociale strappa il bambino povero alla strada e strappa il bambino benestante alla sua vita di fiore di serra, strappa il giovane proletario all'abbrutimento del lavoro eccessivo e strappa il giovane signore alle oziose mollezze e alle noie corruttrici, strappa la donna del popolo alla precoce vecchiaia e alla conigliesca fecondità e strappa la dama alle fantasticherie ossessionanti che nell'ozio hanno il loro vivaio e sboccano nell'adulterio o nel suicidio. Ogni classe ha una propria patologia perché ogni ambiente sociale ha propri germi corruttori. Vittima delle mancate cure materne è il paria precocemente caduto nella delinquenza, e vittima dell'untuoso servilismo e dei comodi eccessivi è il figlio di papà che si crede tutto lecito: dalla seduzione della sartina allo chèque falso. Il ladruncolo e il bancarottiere, la prostituta e la signora strangolata dal danseur mondain non sono che aspetti di un unico male, non sono che diverse dissonanze di un'unica disarmonia sociale.

L'umanesimo si è affermato nell'anarchismo come preoccupazione individualista di garantire lo sviluppo delle personalità e come comprensione, nel sogno di emancipazione sociale, di tutte le classi, di tutti i ceti, ossia di tutta l'umanità. Tutti gli uomini hanno bisogno di essere redenti da altri e da se stessi. Il proletariato è stato, è e sarà più che mai il fattore storico di questa universale emancipazione. Ma lo sarà tanto più quanto meno sarà fuorviato dalla demagogia che lo indora e ne diffida, che lo dice Dio per trattarlo da pecora, che gli pone sul capo una corona di cartapesta e lo lusinga perfidiosamente per conservare, o per conquistare, su di lui il dominio.

Il problema sociale, da classista, si farà problema umano. Allora la libertà sarà in marcia e la giustizia sarà già concretata nelle sue principali categorie. La rivoluzione sociale, classista nella sua genesi, è umanista nei suoi processi evolutivi. Chi non capisce questa verità è un idiota. Chi la nega è un aspirante dittatore.


martedì 15 settembre 2020

Essere squatter nel 1600

Il più antico esempio conosciuto nel mondo di azione anarchica politicamente consapevole risale ai fatti dell’aprile 1649, quando Gerrard Winstanley e una quarantina di altri coloni hanno costituito una comunità agricola proto-anarchica sulla terra comune e incolta a St George’s Hill, nel Surrey (dove adesso c’è una struttura abitativa privata molto esclusiva). Erano i cosiddetti Diggers (Dissodatori), il più radicale dei gruppi rivoluzionari emersi all’epoca delle guerre civili inglesi verso la metà del diciassettesimo secolo, la loro intenzione dichiarata era «lavorare nella giustizia e porre le fondamenta per fare della terra un tesoro comune per tutti». Il film Winstanley, girato nel 1975 da Kevin Brownlow e Andrew Mollo, ha ricreato meticolosamente gli avvenimenti di St George’s Hill e, pur senza parteggiare apertamente a favore dello spirito anarchico che ispirava il movimento, mette in evidenza le connessioni con il comunismo libertario presenti nei pamphlet di Winstanley e nell’azione diretta dei Diggers.

Winstanley, dopo un tentativo fallito di succedere a suo padre come mercante di tessuti, diventava un bracciante e un pensatore radicale, e i suoi scritti rivelano le intenzioni sovversive dei Diggers a St. George’s Hill. Erano solo degli squatter senza terra, eppure mentre ripulivano e concimavano il terreno comune, piantando ortaggi, intendevano coscientemente stabilire la possibilità di vivere in un modo diverso, alternativo. In quello stesso anno Winstanley manifestava questa consapevolezza della sfida che avevano accettato. La libertà, scriveva, «è la forza umana che rovescerà il mondo, quindi non è motivo di meraviglia che abbia dei nemici». Nel Trae Levellers’ Standard sosteneva che l’intrinseca capacità del popolo di ragionare e organizzare la propria vita rende inutile un controllo esterno e il bisogno di «correre in giro appresso a ogni maestro o padrone a esso estraneo». La sottomissione a un’autorità imposta è dannosa oltre che non necessaria, perché «il potere di comandare e insegnare ostacola lo spirito di pace e libertà, dapprima all’interno dei nostri cuori, riempiendoli della servile paura degli altri, e poi all’esterno di essi, sottomettendo i corpi così che siano imprigionati, puniti e oppressi dal potere esterno di un altro». La comunità di St. George’s Hill si era costituita per mostrare come il popolo, per vivere, non avesse necessità del governo di uno Stato con il suo potere di coercizione, sperando di attrarre altri aderenti e crescere in numero e influenza. Insieme allo Stato e al suo apparato, era anche rifiutata l’idea corruttrice della proprietà privata. Che ogni uomo possa dire il suo volere, [perché] fintanto che i Governanti decideranno loro sulla Terra, trattenendo per sé questa particolare proprietà del Mio e del Tuo, mai la gente comune avrà la sua libertà, né mai la Terra sarà libera da guai, oppressioni e recriminazioni.

sabato 29 agosto 2020

Ottantanove migranti salvati: è la prima missione della Louise Michel

Dopo il «debutto» davanti alle coste della Libia, la scorsa settimana, due giorni fa la Louise Michel ha effettuato il suo primo salvataggio di migranti: 89 che erano su un barcone in difficoltà in avaria al largo di Zwara, tra cui 14 donne 4 bambini, e sta cercando un porto sicuro dove attraccare per sbarcare le persone a terra.. La nave si trova adesso al largo della Tunisia e attende un «pos», un porto sicuro in cui sbarcare i migranti. Il giorno prima, l’equipaggio della Louise Michel aveva fatto sapere di avere assistito a un’operazione della Guardia costiera libica con cui migranti a bordo di un gommone di colore nero erano stati riportati indietro: «Siamo stati testimoni di un "pull back", condanniamo fortemente questa violazione della Convenzione di Ginevra per i rifugiati e del diritto di navigazione», hanno twittato dalla nave. Proprio ieri l’Oim Libia ha denunciato che almeno 230 persone sono state riportate indietro dalla Guardia costiera libica nelle ultime 24 ore.

Fino a poche ore prima del salvataggio della Louise Michel nella stessa area di intervento c’era anche la Sea Watch 4, la nuova nave dell’omonima Ong tedesca, che ha a bordo 201 migranti recuperati in mare nei giorni scorsi, in tre diverse operazioni di salvataggio. La prima, avvenuta una settimana fa, su segnalazione e con l’assistenza della stessa Louise Michel che aveva individuato una barca con 7 persone a bordo, assistite fino all’arrivo della nave di Sea Watch. Nei giorni successivi, la Louise Michel ha effettuato un secondo intervento di assistenza a un’altra imbarcazione di migranti, anche questi presi poi a bordo dalla Sea Watch 4 che è anch’essa in attesa di un «Pos» e naviga tra Malta e la Sicilia.

Ecco gli ultimi tre twitt della Louise Michel:

@MVLouiseMichel 11h

Alert! #LouiseMichel assisted another 130 people - among them many women & children - and nobody is helping! We are reaching a State of Emergency. We need immediate assistance, @guardiacostiera & @Armed_Forces_MT. We are safeguarding 219 people with a crew of 10. Act #EU, now!

@MVLouiseMichel 3h

#LouiseMichel is unable to move, she is no longer the master of her manoeuver, due to her overcrowded deck and a liferaft deployed at her side, but above all due to Europe ignoring our emergency calls for immediate assistance. The responsible authorities remain unresponsive.

 

@MVLouiseMichel 44m

We repeat, #LouiseMichel is unable to safely move and nobody is coming to our aid. The people rescued have experienced extreme trauma, it's time for them to be brought to a #PlaceOfSafety. We need immediate assistance.


29 agosto 1946: i partigiani di Santa Libera

È il 29 agosto del 1946 e ad Asti un gruppo di una cinquantina di persone sta rientrando in città tra gli applausi calorosi della gente: sono i ribelli di Santa Libera, un gruppo di ex partigiani che qualche giorno prima è tornato ad imbracciare le armi e si è installato sulla vetta di una collina che domina il piccolo comune di Santa Libera (in provincia di Cuneo) per protestare contro alcuni provvedimenti che le autorità hanno messo in atto sia sul piano locale che su quello nazionale.

La scintilla della rivolta si accende quando ad Asti giunge la notizia che Carlo Lavagnino, comandante della polizia locale ed ex comandante delle formazioni garibaldine, è stato sollevato dal suo incarico per essere sostituito da un ex ufficiale fascista.

La scelta dei ribelli di Santa Libera non si spiega però solo con questo episodio, che di fatto è la goccia che fa traboccare il vaso, ma va inserita nel più ampio quadro dell’Italia nell’agosto del ’46: a più di un anno dalla Liberazione, infatti, il governo non ha ancora preso alcun tipo di provvedimento per il riconoscimento dei diritti dei partigiani e delle famiglie dei caduti mentre, per contro, ha sollecitato l’emanazione di un’amnistia per i reati fascisti, redatta dall’allora Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti ed approvata a fine Giugno.

Il testo dell’amnistia, che nelle intenzioni del Ministro doveva costituire “un atto di clemenza per alleviare le condizioni anche di coloro che avendo violato la legge penale comune ne subiscono o devono subirne le conseguenze, e per arrecare un conforto sensibile a un numero ingente di loro familiari derelitti e angosciati”, è da subito oggetto di interpretazioni molto ampie che conducono di fatto alla rimessa in libertà di migliaia di fascisti, da squadristi ad alti dirigenti della RSI, che vengono presto reintegrati ed assegnati a nuovi incarichi.

Tutto ciò non può che apparire inaccettabile a quanti hanno combattuto durante la Resistenza e vedono ora repubblichini ed aguzzini fascisti tornare a piede libero in tutta Italia.

Di qui la scelta eclatante dei ribelli di Santa Libera, che nella notte del 20 agosto si mettono in marcia sotto la guida di Armando Valpreda, combattente nella Brigata Rosselli tra il ’43 e il ’45, e si installano nel rudere di una vecchia torre sulla cima di una collina.

Il gruppo era già organizzato clandestinamente da alcuni mesi, con l’intento di agire sul piano locale per fare giustizia contro le presenza fasciste che ancora inquinavano il territorio, perciò la partenza per Santa Libera non è che l’occasione per mettere al lavoro le forze del nucleo.

Già il giorno successivo i ribelli rendono note le proprie rivendicazioni: reinserimento dei partigiani, dei reduci e degli ex-internati nel mondo del lavoro, erogazione di pensioni alle famiglie dei caduti e riconoscimento del periodo resistenziale ai fini del servizio militare, risarcimento alle vittime delle rappresaglie nazi-fasciste, abrogazione dell'amnistia, soppressione del partito dell'"Uomo qualunque" e messa fuorilegge dei fascisti.

Intanto la notizia dell’insurrezione non tarda a diffondersi e a suscitare grosse preoccupazioni fra le autorità: il ministero dell’Interno si affretta ad inviare grossi contingenti militari che presidiano l’area con posti di blocco, battaglioni di fanteria e mitragliatrici pesanti.

Il timore (fondato) del governo è che, sull’esempio dei ribelli di Santa Libera, l’insurrezione dilaghi ben presto nel resto d’Italia e, in effetti, situazioni simili si registrano in breve in molte altre località dell’Italia settentrionale, dalla Val Felice, ai dintorni di Pinerolo e di Lanzo, a La Spezia e soprattutto nell’Oltrepò pavese.

Mentre le forze schierate sul territorio lanciano un ultimatum ai ribelli, decidendo di adottare una linea dura, il governo, preoccupato che la situazione possa degenerare in uno scontro a fuoco diretto tra i partigiani e i contingenti militari, decide di aprire una trattativa.

Il Vicepresidente del Consiglio Pietro Nenni, riconoscendo la fondatezza delle richieste partigiane, si dice disponibile ad incontrare una delegazione degli insorti; la sua posizione non rispecchia però quella di gran parte della DC e in primis di De Gasperi, che mal digerisce una sfida così frontale allo Stato e definisce l’insurrezione astigiana “un deplorevole episodio che ha turbato la norma di disciplina e di ordine necessari al paese come non mai".

L’incontro con Nenni si tiene il 24 agosto e in quell’occasione il Vicepresidente assicura che è già pronto un decreto (che verrà effettivamente approvato il 28 dello stesso mese) che prende in considerazione le rivendicazioni normative a favore di partigiani, reduci e familiari dei caduti.

Pur essendo queste delle questioni che stavano molto a cuore agli insorti, resteranno tuttavia fuori dal decreto tutte le rivendicazioni di stampo politico avanzate dai ribelli, in primo luogo l’abolizione dell’amnistia.

Questo nodo non risolto spingerà quindi alcuni gruppi, in più parti d’Italia, a rimanere ancora per alcune settimane sulle montagne, ritenendo insoddisfacente l’intervento normativo del governo.

I ribelli rientrano comunque ad Asti da vincitori, consapevoli di essere riusciti a mettere in scacco il governo e di aver dimostrato che lo spirito della Resistenza non si è affatto spento ma è intatto e anima ancora tutti coloro che non sono disposti ad accettare alcuna riabilitazione dei fascisti.

giovedì 27 agosto 2020

A/traverso percorsi della ricomposizione

A/traverso si riconosce nell’area dell’autonomia.

Ma l’area non va identificata con il suo quadro organizzato, che non rappresenta invece altro che la punta emersa di in iceberg esteso nei comportamenti sociali di strati insubordinati, che, al di sotto della scena ufficiale della politica producono nuove possibilità per il movimento.

Attuale compito organizzativo del quadro dell’autonomia non è la centralizzazione, ma la ricomposizione trasversale. Il soggetto rivoluzionario si ricostruisce oggi in una fase lunga di ricostruzione capitalistica e di modificazione della figura di classe, di ridefinizione del movimento attorno all’area dell’autonomia.

Autonomia come bisogno di separ/AZIONE dei diversi strati sociali con la loro specificità (le donne, i giovani, gli omosessuali, gli assenteisti, i clandestini) rispetto alla complessità della classe. Separ/AZIONE delle singole istanze di trasformazione dell’esistenza nei piccoli gruppi in moltiplicazione.

Ricomporre trasversalmente (direzione operaia) significa tradurre i movimenti separatisti in movimento di separ/AZIONE.

Separazione dei bisogni operai dalla riorganizzazione sociale capitalistica.

Occorre cominciare a pensare al comunismo in modo non più escatologico, come una cosa del futuro, ma come una realtà contemporanea, separata (estranea ed ostile rispetto alla società capitalistica, rispetto al suo funzionamento) ma capace di sospingerla in avanti e trasformarla, come motore dello sviluppo, come potere operaio in atto la forma dell’esistenza in movimento.

Pensare al comunismo come la forma della trasformazione, del desiderio in liberazione. Come il movimento reale che abolisce concretamente, (nel presente) lo stato di cose presente.

 

(A/traverso quaderno uno, supplemento a Rosso, ottobre 1975)

lunedì 24 agosto 2020

24 agosto 1917: l'insurrezione di Torino contro la guerra

A Torino l'opposizione alla Grande Guerra è vivissima sin dall'inizio, dal 1914: la presenza in città della grande industria ne hanno fatto in pochi mesi la prima città industriale italiana, gli operai sono diventati centinaia di migliaia, ma il guadagno reale continua a scendere, e inoltre i generi di prima necessità continuano ad essere irreperibili. Da qui cresce e si diffonde un forte malcontento, che sfocia già nel 1915 a grandi scioperi e manifestazioni di piazza, che portano in piazza decine di migliaia di operai.

Il 1917 è l'anno peggiore, tre anni di guerra hanno portato le condizioni di vita del proletariato urbano al limite, alle quali si aggiunge, tra marzo e agosto, una costante penuria di pane. Scendono in agitazione e in sciopero in questi mesi decine di fabbriche torinesi, dalle metallurgiche alle automobilistiche, e alle rivendicazioni economiche si intreccia la propaganda per la pace e, poiché proprio in questo periodo giungono gli echi della rivoluzione russa del febbraio, sempre più spesso la parola d'ordine diventa di "fare come in Russia".

Il 21 agosto la situazione precipita, e si contano almeno 80 fornai chiusi: gruppi di donne manifestano davanti alla Prefettura e al Municipio, mentre il giorno successivo iniziano le battaglie in strada.

Nel quartiere Vanchiglia la folla attacca la caserma delle guardie, che sparano ferendo tre dimostranti, gli scontri si allargano a macchia d'olio in tutta la città, mentre sempre più operai scendono in sciopero.

Il 23 lo sciopero è spontaneo e chiaramente preinsurrezionale in tutta la città, i negozi vengono saccheggiati, in tutti i quartieri vengono erette barricate, gli scontri a fuoco si moltiplicano, i roghi cominciano ad essere appiccati in punti nevralgici della città. È in questa giornata che si contano i primi due morti della rivolta, uccisi dalle guardie in Piazza Statuto.

Il 24 è la giornata culminante dell'insurrezione. Nella mattinata tutti i quartieri operai periferici sono in mano al popolo insorto (verranno definiti la "cintura rossa"), mentre il centro città è presidiato dall'esercito; gli operai spingono tutt'intorno al centro, cercando di convincere i soldati tramite manifesti, volantini e donne infiltrate, o perlomeno di disarmarli, con un susseguirsi di piccoli combattimenti. I risultati di questo tentativo di fraternizzazione con i soldati sono del tutto deludenti, in quanto tra le forze armate è mancato, e manca, un lavoro di propaganda e un centro ideologico ed organizzativo.

Gli sconti spontanei sono ormai dilagati in tutta la città, ma gli insorti, male o per niente armati, si scontrano con la forza pubblica che utilizza mitragliatrici e tank. A sud della città un dimostrante e un soldato restano uccisi in barriera Nizza, mentre la battaglia continua in San Paolo.

Ma è a nord che la lotta è più dura: sulla Dora ed in Corso Vercelli l'esercito riesce infine ad espugnare le barricate erette dai rivoltosi, mentre in Corso Novara i dimostranti hanno la meglio, occupano il commissariato di Corso Mosca, superano Porta Palazzo e si dirigono verso il centro.

Le parole del cronista di "Stato Operaio" danno un'idea di ciò che accade: "La folla sente che può vincere e lotta con furore, con eroismo: semina le strade di morti e di feriti. Ma la riscossa della forza pubblica è terribile. Entrano in campo le automobili blindate e si scagliano a corsa folle per le vie gremite, scaricando le mitragliatrici all'impazzata sulla gente che fugge, su coloro che resistono, nelle finestre delle case, nelle porte, nei negozi alla cieca. I morti non si contano e l'attacco dei rivoltosi è respinto ancora una volta. In questo momento la folla si spezzetta nel dedalo delle vie che stanno tra il centro e Corso Regina Margherita e lungo questo corso. Cento combattimenti individuali e di piccoli gruppi hanno luogo e gli operai e le donne operaie dimostrano cento volte il loro coraggio, il loro eroismo".

Nel pomeriggio gli scontri continuano e un gruppo di donne disarmate cera di frenare l'avanzata dei carri armati in Corso Regina: i tank continuano ad avanzare, mentre le donne vi si lanciano sopra, aggrappandosi alle mitragliatrici e cercando di convincere i soldati a buttare le armi. I carri armati sono costretti ad arrestarsi.

Solo verso sera, con carri armati e mitragliatrici, le truppe riescono a fermare gli scontri nelle zone più agguerrite.

Il bilancio al termine di questa giornata è pesante: ventuno morti tra i manifestanti, tre tra le forze di polizia, un centinaio di feriti e millecinquecento arresti.

Sabato 25 agosto si notano i primi segni del rifluire del moto operaio, gli scontri si susseguono ancora in tutta la città ma i manifestanti non tentano più di arrivare al centro, si limitano a difendere i propri quartieri; la domenica l'insurrezione è praticamente battuta,anche se lo sciopero continua compatto.

"Stato Operaio" scriverà dell'insurrezione di Torino, dieci anni dopo: "Le donne operaie e gli operai che insorsero nell'agosto a Torino che presero le armi, combatterono e caddero come eroi, non soltanto erano contro la guerra, ma volevano che la guerra terminasse con la disfatta dell'esercito della borghesia italiana e con una vittoria di classe del proletariato".

domenica 23 agosto 2020

La Louise Michel salva migranti

È arrivata nel Canale di Sicilia e sta pattugliando l'area davanti alle coste libiche.

Si chiama Louise Michel. È una motovedetta, ma non ha insegne militari ... e come avrebbe potuto averle con quel nome. È dipinta da Banksy la Louise Michel che salva i migranti nel Mediterraneo. I colori scelti sono il rosa e il bianco, con una serigrafia delle ciambelle di salvataggio a forma di cuore, e poi la scritta, sulle fiancate, “Rescue” e un nome, quello a cui è stata dedicata: Louise Michel, l’anarchica, rivoluzionaria, poetessa e insegnante francese che ha vissuto nell’800 e che è stata protagonista della Comune del 1871 e della lotta contro la Francia di Napoleone III.

L’ha voluta appunto così, l'artista e writer inglese, considerato uno dei maggiori esponenti della street art, la cui vera identità rimane ancora sconosciuta. A quanto confermano fonti francesi, Banksy, insieme ad un gruppo di attivisti europei, avrebbe partecipato all’operazione, rimettendo a nuovo una nave della Guardia costiera francese, riconfigurata per operazioni civili.

Era febbraio quando, nel porto di Camaret, in Bretagna, è ormeggiata una vecchia barca pronta a cambiare non solo nome e colore ma anche missione (umanitaria). Ed è lì che Banksy si presenta dicendo: «Lasciatemi vuoto il cantiere per un paio di giorni, resto solo io con i miei collaboratori». Così ha cominciato a rendere unica quella nave dipingendola di rosa e bianco e aggiungendo la scritta “rescue” (soccorso) sulle fiancate e il nome con cui è stata battezzata, quello di Louise Michel.

Nome migliore, per una imbarcazione utilizzata per missioni umanitarie, non poteva essere scelto; ecco, di seguito, un aneddoto su Louise scritto da Pietro Gori:

 

[[…] Parecchi anni or sono, a Parigi si costituì un Comitato di soccorso in pro' dei profughi russi – in seguito ad uno dei periodici deliri acuti della reazione autocratica – e del comitato facevano parte le personalità culminanti della scienza, dell'arte, della politica. Ne erano presidente Victor Hugo e cassiera Luisa Michel.

Ebbene: alla casa di lei era un continuo pellegrinaggio di sollecitatori, che si qualificavano profughi russi, per quanto essi non avessero oltrepassato i boulevards di Montmartre, e le buvettes del quartiere Latino.

E nessuno tornava indietro, per quanto poco russo egli fosse, con le mani vuote.

Victor Hugo, che grandemente amava e stimava la Michel, credette opportuno esortarla a qualche cautela nella erogazione dei soccorsi, onde i veri proscritti russi non ne fossero defraudati da codesti russi... d'occasione.

Luisa, dopo avere ascoltato con deferenza l'autore dei Miserabili, gli chiese con quel suo fervore traboccante di ingenua pietà:

«Posso io domandare alla miseria che invoca aiuto, la carta di nazionalità?»

Il poeta sorrise, e la sua fronte radiosa si chinò perplessa. Da quel giorno però non si parlò più di controllare la nazionalità degli indigenti – anche a costo che qualche mariuolo sfruttasse il fondo raccolto per la Russia fuggiasca e martire.

 

Adesso la motovedetta solca il Mediterraneo Centrale, un’opera d’arte galleggiante che con i suoi quasi 30 nodi di velocità massima arriverà con il motore avanti tutta sui barconi in difficoltà, dando filo da torcere alla cosiddetta guardia costiera libica per soccorrere migranti in fuga dalla Libia.

Ieri la nave, nella quale sono coinvolti attivisti internazionali, ha iniziato la sua missione umanitaria e ha già fatto il suo primo salvataggio. Nel tardo pomeriggio la "Louise Michel" ha avvistato un barchino in vetroresina con sette persone a bordo. In realtà non ha potuto prenderli a bordo ma, dopo aver chiesto aiuto alle autorità competenti, che non hanno risposto, si è rivolta alla Sea Watch 4 che ha subito provveduto al salvataggio, prendendoli in carico.

Il rapporto tra la Louise Michel e la Sea Watch sarebbe stretto, visto che nella nuova umanitaria ci sarebbero alcuni soccorritori che prima hanno collaborato con la Ong tedesca.

Un’operazione, quella della Louise Michel, che sarebbe dovuta rimanere ancora segreta: la sua prima missione è stata a circa 30 km dalla costa tra Tripoli e Al-Zawiya. E, invece, la notizia è trapelata subito.

Nei prossimi giorni si apprestano ad arrivare nell’area anche Mare Jonio, della missione italiana Mediterranea, e il veliero Astral di Open Arms.

Nelle settimane scorse una delle volontarie aveva spiegato alla stampa d’Oltralpe che si tratta di “una piccola squadra internazionale di circa dieci marinai, professionisti del settore marittimo e del soccorso”. La motovedetta “è stata recentemente acquistata a Saint-Malo da un mecenate che per ora vuole rimanere anonimo ma che vuole creare un team di soccorritori professionali”. Tuttavia “non siamo associati a nessuna Ong o organizzazione. Siamo solo una buona squadra pronta ad uscire e ad aiutare in mare".

Non si sa ancora esattamente chi la finanzi: è certo che usi fondi privati, che non dipenda da organizzazioni internazionali e che ha acquistato la nave da «un mecenate che vuole restare anonimo». Forse Banksy stesso? Chissà. Basta guardare le sue opere per capire quanto l’artista sia, da sempre, sensibile al tema dell’immigrazione.

Adesso, la nostra compagna Louise Michel non verrà solo ricordata negli ambienti dell’anarchismo, ma il suo spirito rivoluzionario verrà riconosciuto dal mondo intero.