Il potere ha ormai preso le
sembianze di una scena integrale alla quale nessuno può assistere senza partecipare.
Lo spettatore è anzi il figurante di uno show per cui non si staccano biglietti
né si prenota la poltrona, essendo spettacolo la forma attuale del mondo. Sia che
prevalga in noi il rifiuto della politica oppure la lotta e l’indignazione civile,
gravitiamo intorno allo stesso nodo: l’esibizione sfrenata del potere come messa-in-scena.
Ma se ciò è avvenuto, forse qualcosa era già attivo in noi all’alba della spettacolarizzazione
della politica; forse v’è un fatto antecedente che riguarda la natura medesima degli
spettatori. Il problema attuale della classe politica consiste nel fatto che non
si tratta più di governare, ma di mantenere l’allucinazione del potere e ciò esige
dei talenti del tutto particolari. Produrre il potere come illusione è come manovrare
capitali circolanti, come danzare davanti a uno specchio. E se accade che non c’è
più il potere, la ragione è nel fatto che tutta la società è passata alla servitù
volontaria. Ma ciò è avvenuto in una strana maniera: non più come volontà di essere
servi, bensì come ciascuno divenuto servo della propria volontà. In una somma di
volere, di potere, di sapere, d’agire, di riuscire, ognuno si è piegato a tutto
questo, e il colpo sul potere è perfettamente riuscito: ognuno di noi è divenuto
un sistema asservito, auto-asservito, poiché ha investito tutta la sua libertà nella
volontà folle di trarre il massimo dallo sfruttamento di se stesso.
Nella distesa della modernità
costellata di individui servi-potenti l’assassinio ininterrotto del potere insiste
sul sorpasso della sua dimensione verticale e ascetica; è questo uno degli effetti
collaterali della fine delle gerarchie politiche e della trascendenza teologica.
La spettacolarizzazione della politica ne è il frutto maturo, necessario per convocare
la rappresentazione iterata del potere nel vuoto della propria manifestazione. Se
di questo si tratta, allora il potere è ormai una funzione rappresentativa “vuota”,
una casella che solo il servo volontario più ambizioso può coprire e modellare a
suo piacimento: «A partire dal momento in cui il potere non è più l’ipostasi, la
trasfigurazione della servitù, e che questa è integralmente diffusa nella società,
allora non gli resta che crepare come una funzione inutile».
Così l’uomo politico più brillante,
il supremo maestro della servitù volontaria, ci supera per auto-agonismo; questi
ci porta con sé nello schianto eclatante del potere i cui bagliori sono oggi il
nostro unico “spettacolo”.