..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 29 luglio 2022

Gaetano Bresci 29 luglio 1900

Risolleviamo alto, al disopra delle prosaiche miserie de la vita, in questo periodo in cui la più flaccida rilassatezza comprime gli spiriti migliori, in cui il calcolo, l'ipocrisia, l'opportunismo, la vigliaccheria mascherata di prudenza, sono la nota predominante del giorno; risolleviamo alto perché il popolo veda, ammiri, imiti, emuli nel suo gagliardo esempio questo glorioso simbolo di ribellione: Gaetano Bresci.

Risolleviamolo in alto, in alto, là dove l'apoteosi tarda dei posteri collocò i ribelli del passato, l'innumere coorte dei cavalieri del sacrificio e de la morte, che vanno da Socrate a Spartaco, da Bruto a Bruno, da Orsini a Garibaldi.

Noi non attendiamo l'indomani della rivoluzione noi; quando fare l'apologia di Bresci diverrà novello calcolo gesuitico; non attendiamo, il giorno in cui i suoi denigratori di oggi o i loro continuatori psicologicamente rappresentanti lo stesso grado di viltà, eterneranno nel marmo e nel bronzo la sua memoria, per farsi perdonare dai contemporanei l'opera loro di despoti. No! noi lo diciamo oggi quando il dirlo è delitto, lo gridiamo forte perché l'armento codardo, e la borghesia logicamente assassina ci comprendano: noi riconosciamo in Gaetano Bresci una delle rare tempre eroicamente ribelli, il giustiziere generoso di un tiranno maledetto dalla bestemmia di migliaia di madri, da l'imprecazione di tutto un popolo dinnanzi al quale egli appare il maggior responsabile di tinte carneficine.

Se fossimo degl'imbecilli paciferi, se pretendessimo alla tolleranza della legge e non traboccassimo di ripugnanza per ogni pusillanimità e macchiavellismo, potremmo ripetere le lamentazioni di molti pudibondi sovversivi schiavi della superstizione o della viltà o almeno dovremmo permettere, tollerare, che la tomba del nostro assassinato a S. Stefano, fosse impunemente imbrattata della bava velenosa dei misoneisti e dei codardi.

Ma noi non lo vogliamo, non lo possiamo! E mentre tutte le sfumature della pusillanimità e della vigliaccheria umana concordano nel respingere ogni responsabilità e nel vituperare la memoria di chi seppe far getto della propria , vita, di chi trovò la ricompensa del proprio sacrifizio nella soddisfazione di liberare l'umanità di un uomo, che le circostanze, l'educazione, l'ambiente o la innata tendenza a delinquere avevano reso sanguinario mostro di un popolo: noi affermiamo altamente la nostra , solidarietà, e rivendichiamo a tanto eroismo, a tanta generosità la riconoscenza e l'ammirazione del popolo.

Bresci, ci dicono, fu una belva perché uccise un irresponsabile che non conosceva.

Ed è vero. Bresci, personalmente non conosceva Umberto. Ma egli sapeva che il re è l'avallente di tutte le cambiali della Stato; egli sapeva che Umberto era il simbolo più alto della borghesia, egli sapeva che di irresponsabilità non si parlò mai quando si accennò ad opere filantropiche e ad indirizzo politico dello Stato in senso che si gabellava per democratico. Egli sapeva che il re firma il decreto e può dichiarare ed evitare la guerra e gli stati d'assedio; sapeva inoltre che nel 1894 si rispose e si prestò ascolto al brontolio degli scarni carusi siciliani, solo quando si proclamò lo stato d'assedio, e ai ventricoli vuoti della povera affamata plebaglia, si distribuirono abbon-anti razioni di piombo regio.

Egli non conosceva Umberto; ma sapeva che la sua mano aveva vergato per la mal dissimulata mania imperiale, la dichiarazione di guerra a Menelick, in conseguenza di che a mille a mille i figli del popolo caddero lungi da noi - coprendo di vergogna quella bandiera gloriosa sventolò su le contrade insanguinate di Sicilia. E sebben diviso dal mare egli udì la rampogna, il coro turgido di maledizione, le voci reclamanti vendetta di centinaia e migliaia di madri, sorelle e spose di poveri innocenti, trucemente, brigantescamente assassinati a Milano.

Ed egli, solo uomo in mezzo a tante pecore, VENNE, VIDE E COLPÌ!

Vilissimi codardi, che dalle gazzette vostre plaudiste ai macelli proletari, e che a Milano chiedevate nell'acquavite il miracolo della bestialità e del fratricidio, ringoiatevi le vostre sentenze sull'inviolabilità della vita umana che è un'atroce ironia.

Se la vita umana è sacra, congedate i vostri soldati, mandate ad opera meno sanguinaria e più produttiva i vostri gendarmi. distruggete i vostri cannoni, fondete le vostre spade, sfasciate le vostre torpediniere, abbattete i vostri ergastoli - dove agonizzano vittime e ribelli - bruciate i vostri codici, decidetevi a lavorare con noi, rinunziate ai privilegi tramandativi dalle violenze dei secoli passati, mettetevi su di un livello di sociale uguaglianza con noi; ed allora avrete il diritto, allora sarete logici reclamando da noi la rinunzia alla rivolta.

Ma voi ci sfruttate, ci taglieggiate, ci umiliate, ci prostituite le figlie, vi servite di noi come voi e noi ci serviamo delle specie animali inferiori nella scala zoologica, e siete logici, finché la viltà altrui ve lo permette; ma non chiedete a chi ha il coraggio di difendersi, di attaccarvi, la rinunzia in nome di una formula che voi tutti i giorni calpestate.

Noi ammettiamo che l'influenza dell'ambiente, dell'educazione e dell'eredità rendono in certo qual modo irresponsabile l'uomo delle proprie azioni, essendo la sua volontà determinata e non determinante; ma se questa è una ragione per tollerare le conseguenze della volontà, qualunque esse siano, perché torturate colla galera tanti esseri che l'antropologia criminale vi addita come vittime di speciali infermità fisiche, perché condannaste Bresci alla perpetua separazione dal mondo, alla segregazione in una tomba, facendolo, in mancanza della pena di morte, suicidare dai vostri sgherri?

Umberto I era innocente? Fosse anche stato assolutamente irresponsabile, avreste fatto credere il contrario, lo avreste smentito voi coi vostri incensamenti, colla vostra idolatria.

Ma egli non lo era. Certo non era il solo responsabile, ma Bresci da solo non poteva giustiziarvi tutti.

A questa imparzialità inevitabile rimedierà la rivoluzione che, implacabile come voi, distruggitrice come l'uragano, travolgente come la bufera, vi eliminerà fatalmente ed inesorabilmente dalla storia.

 non è stato che un fulmine precursore, la rivoluzione sarà la tormenta.

Bresci non ha potuto colpire che uno ed ha mirato la quercia; la rivoluzione colpirà tutti e non risparmierà gli arboscelli.

Codardi, quella sarà l'epopea che senza spegnere ogni ragione di lotta successiva la ridurrà tutta a questi termini: la lotta dell'uomo sulla natura.

Quel giorno Gaetano Bresci e tutti i martiri della libertà. saranno definitivamente vendicati c se FASTIGIO DI MARMO NON SEGNERÀ LA LORO FOSSA, avranno nella realizzazione dell'ideale L'IMPERITURA EPIGRAFE DEL LORO MONUMENTO.

Ed ora dormi, o Gaetano, nella fossa dell'angusto cimitero di Santo Stefano, così hanno voluto i tuoi carnefici, cui il solo tuo nome, il solo pensiero di tua esistenza faceva tremare.

Dormi!.. Dormire voi tutti, ribelli caduti COMUNQUE E DOVUNQUE per la libertà.

Quando il giorno verrà della riscossa,

Noi scenderem nei vostri antri oscuri

E strapperem l'ossa

Per batter su le casse dei tambuti

L'inno della riscossa.

 

Tratto da: Cronava Sovversiva, Lynn (Massachusetts), 24 luglio 1915 

martedì 26 luglio 2022

L’organizzazione rivoluzionaria

L’organizzazione rivoluzionaria prima di tutto non dovrà considerarsi né essere staccata dalle masse, per conquistare la loro fiducia e non perdere di vista la realtà in cui deve operare. A tale scopo l’organizzazione rivoluzionaria deve da una parte essere a perfetta conoscenza del livello di coscienza delle masse lavoratrici e della problematica da essa più sentita, attraverso i contatti individuali, uno studio generale e sondaggi; mentre, dall’altra, deve giungere, anche mediante un’autocritica severa, alla consapevolezza della propria reale situazione rispetto alle masse, dei suoi successi ed insuccessi, delle proprie prospettive di progressi, e ad uno sviluppo della propria teoria in modo da adattarsi alla potenzialità rivoluzionaria del momento, ed alla ricerca di contatti più vasti e fruttuosi con le masse. Una volta giunta ad un livello di conoscenza soddisfacente, l’organizzazione rivoluzionaria può cominciare ad operare nelle masse, rifiutando ovviamente ogni canale di lotta politica offerto dal sistema (parlamento, sindacati, ecc.) in quanto strumenti creati per la conservazione del sistema stesso e non per la sua distruzione, e facendo opera di convincimento perché le masse rifiutino ogni forma di rappresentanza delegata, ed offrendo alle masse strumenti organizzativi che aboliscano nella prassi qualsiasi forma di delega del potere.

L’organizzazione rivoluzionaria dovrà quindi, oltre che propagandare la sua ideologia (che forse sarà difficilmente assorbita) mettere in risalto le contraddizioni del sistema, ingigantire il malcontento delle masse, inserirsi nelle loro lotte, anche settoriali e riformistiche, portando un nuovo metodo e un nuovo punto di vista per risolverle; dovrà cioè cercare di partire dalle rivendicazioni settoriali (salari, cottimi, ecc.) per tentare di dimostrare che non è con lo scioperino e la riformina che si risolvono i problemi del lavoratori, ma è autogestendo la lotta, contestando il potere alla radice, è cioè, con la rivoluzione che si risolvono i problemi sociali.

Ciò significa elaborare una strategia a tutti i livelli per programmare la propria azione di eversione da offrirsi alle masse come strumento di lotta risultante da un’analisi del momento storico. Tentare di partire dalle rivendicazioni riformistiche per arrivare a dimostrare che l’unica esigenza vera e reale, l’unica soluzione capace di risolvere il disagio è l’autodeterminazione, l’autogestione.

 

(Tratto da: Documento del gruppo “La Comune” di Milano, 1968)

Essere anarchici

Gli ideali anarchici sono utopici, ma non più di quelli della democrazia e del comunismo o del capitalismo. Ti chiederai quindi, che cosa vuol dire essere anarchico?

Anarchismo non è sinonimo di “facciamo quello che ci pare”. L’anarchia è un modo di essere, una mentalità, un modo di vivere. È un concetto ed una visione differente della vita fatta di autonomia, rispetto, solidarietà, universalità, tolleranza…

Tutti i partiti e i movimenti, ad esclusione di quello anarchico, portano acqua al proprio mulino. Il futuro è nel pensiero anarchico, poiché sempre più persone non intendono vivere la propria vita all’interno di un mondo dove tutto è previsto, indirizzato, manipolato, falso.

Nessuna utopia, quindi, ma un’alternativa, una possibilità. Forse l’unica che ci rimane. 

Siamo tutti anarchici. 

mercoledì 20 luglio 2022

20 luglio 2001: Carlo fino all'ultimo è rimasto davanti

Per venerdì 20 luglio, il secondo giorno di mobilitazione contro il G8 a Genova, il corteo più grosso , è quello dei  "disobbedienti", con partenza allo stadio Carlini.

Le tute bianche, hanno l'obiettivo di raggiungere la zona rossa per assediarla pacificamente, non andrà così.

Il corteo, composto da almeno diecimila persone si muove intorno alle 2, con i manifestanti alla testa, vestiti di gomma piuma, caschi e bottiglie di plastica legate alla meglio intorno agli arti, che sorreggono scudi per proteggere il resto dei manifestanti.

Intanto la violenza  delle forze dell'ordine, incapaci di gestire la situazione e mandate evidentemente allo sbaraglio inizia a manifestarsi contro il sit-in delle associazioni presente in Piazza Manin, caricato e gasato dai lacrimogeni all'improvviso.

Stessa sorte tocca al corteo delle tute bianche quando in via Tolemaide un plotone di carabinieri, carica e riempie di lacrimogeni la testa del corteo che rimane imbottigliato senza via di fuga. A quel punto i manifestanti lasciano da parte le indicazioni dei vari Casarini,Caruso e company e reagiscono iniziando violenti scontri con i carabinieri e i reparti della Celere.

L'errore più grande però lo commette un gruppo di carabinieri che intorno alle 17.20 si sposta insieme a due jeep verso Piazza Alimonda per caricare i manifestanti ritrovandosi imbottigliato nella piazza. A quel punto i carabinieri provano ad arretrare ma le due camionette faticano ad invertire la marcia, tant'è che una delle due si incastra tra il muro ed un cassonetto. Da quel defender spunta fuori un braccio che punta una pistola ad altezza d'uomo. Un ragazzo, raccoglie un estintore nel tentativo di scagliarlo contro quella mano assassina, ma viene colpito in faccia da due colpi di pistola.

"ma Carlo fino all'ultimo è rimasto davanti fino ad alzarsi con un estintore in primo piano ci ha insegnato a vedere cos'è un essere umano".

Il ragazzo, è Carlo Giuliani, 23 anni residente a Genova. Quella mattina aveva in programma di andarsene al in spiaggia, ma il clima che si respirava in città gli fece cambiare idea e partecipare al corteo.

"E ora nella dignità mi specchio, nella dignità del fratello che era insieme a noi nel mucchio, lui ha lottato,quando ha avuto l' occasione non ha voltato gli occhi e questa è la lezione da insegnare nelle scuole, nei racconti che disegnano le sere cosa sparava in faccia quel carabiniere, io porto con me il nome di Carlo Giuliani, noi facciamo la storia mentre quelli fanno i piani"

La famiglia di Carlo e tutte le vittime dei pestaggi di Genova cercano ancora di avere giustizia a molti anni di distanza.

Mentre gli sbirri responsabili di ciò tutto ciò che è accaduto a Genova in quei giorni se la cavano con condanne fasulle e continue promozioni.

"... e non spegni il sole se gli spari addosso, non spegni il sole se gli spari addosso!"

sabato 16 luglio 2022

16 luglio 1877: the great railroad strike

Il 16 luglio 1877, negli Stati Uniti a Martinsburg iniziò “The Great Railroad Strike”, uno dei più grandi scioperi nella storia degli USA. Lo sciopero vide la sua alba all’annuncio da parte della compagnia ferroviaria Baltimore & Ohio di un taglio degli stipendi del 10%, il secondo nel giro di otto mesi.

La sera del 16 il fuochista, il macchinista e il meccanico di un treno che trasportava bovini abbandonarono il mezzo e nessuno dei lavoratori in loco si diede disponibile a sostituirli. Dopo aver staccato la locomotiva i ferrovieri di Martinsburg fecero arrivare la comunicazione che non sarebbero partiti altri treni fino a che i tagli non sarebbero stati ritirati.

Quasi immediatamente il sindaco prima e poi le forze di polizia tentarono di sboccare il nodo ferroviario, ma il primo tornò a casa mesto e ai secondi fu impedito l’arresto dei ferrovieri dall’intervento di una grande folla di cittadini che rispose alle minacce ridendo in faccia agli agenti.

Su tutte le linee della Baltimore e Ohio i ferrovieri bloccarono i treni e ne impedirono la ripartenza. Lo sciopero però risparmio i treni passeggeri e la posta raccogliendo ancora più consenso popolare di quanto già non godesse.

Il governatore tentò di inviare la milizia locale a sedare la sollevazione, ma i soldati per lo più parte della comunità in lotta si rifiutarono.

Lo sciopero intanto si estese a moltissimi stati vicini, dal Maryland alla Pennsylvania, dall’Illinois al Missouri e coinvolse le compagnie ferroviarie delle relative regioni.

Presto le rivendicazioni si fecero più vaste e compresero nuovi pezzi di welfare e le otto ore per la giornata lavorativa, intanto sempre di più cresceva l’appoggio popolare alla rivolta che costò molti morti e moltissimi giorni di continui scontri.

Lo sciopero si concluse dopo 45 giorni con l’invio delle truppe federali e dei marines dal presidente Hayes che città per città, regione per regione sedarono lo sciopero in un bagno di sangue.

Questa incredibile esperienza nel suolo statunitense di autorganizzazione e lotta capace di tenere testa alla polizia, alle milizie locali e a volte anche alle truppe federali lascerà un enorme segno nella storia degli USA.

giovedì 14 luglio 2022

14 luglio 1896:nasce Benaventura Durruti

Buenaventura Durruti nasce nella città di Léon in Spagna il 14 luglio 1896. Il padre di Buenaventura è un ferroviere iscritto al sindacato dell'UGT, arrestato nel 1903 per aver partecipato ad uno sciopero sindacale. 

All'età di 21 anni Durruti partecipa allo sciopero generale proclamato dall'UGT (Union general de trabajadores), in cui, a seguito degli scontri con le forze di polizia spagnole, 70 persone vengono uccise, 500 ferite e oltre 2000 arrestate. A causa della partecipazione allo sciopero Durruti perde il lavoro. Renitente alla leva, si sposta in Francia per poi rientrare nel 1920 a Barcellona, dove inizia la sua militanza nel CNT. La polizia spagnola è però sulle sue tracce, e Durruti così è di nuovo costretto a lasciare il paese. Passa gli anni dal 1924 al 1926 fra Cuba, Messico, Cile e Argentina, e sempre nel 1926 viene arrestato a Parigi. Un anno dopo viene scarcerato con l'obbligo di lasciare la Spagna. Vi rientrerà solo nel 1931.

Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, Durruti promuove la creazione del Comitato centrale di Milizie antifasciste della Catalogna, e si mette a capo di alcune migliaia di rivoluzionari antifascisti, formando quella che verrà chiamata Colonna Durruti, capace di ottenere una serie di importanti successi sul piano militare contro le truppe del generale Franco.

Durante la guerra, Durruti cercò in ogni occasione di impedire che si eccedesse nelle violenze. Fece suo "segretario" e collaboratore Jesus Arnal Pena, un prete cattolico che alcuni miliziani intendevano fucilare proprio in quanto prete, anche se nulla aveva a che fare con i fascisti; si rifiutò di colpire indiscriminatamente le popolazioni civili, e impedì ogni volta che gli fu possibile il compimento di "azioni" improvvisate e/o spontanee che avrebbero solo gettato discredito e disaffezione verso la causa rivoluzionaria, come quando a bordo di un aereo in perlustrazione sulla città di Huesca, si oppose al lancio di bombe a mano sui fedeli che stavano uscendo dalla messa. Il non lasciare libero sfogo agli istinti e al desiderio di vendetta dei suoi miliziani, non fu un elemento secondario o esclusivamente "caratteriale" di Durruti, bensì una fra le caratteristiche che già in vita gli valsero il rispetto e l'ammirazione di tutti i sinceri rivoluzionari.

Il 20 novembre 1936, a Madrid, scendendo dall'automobile su cui si trovava, Durruti viene colpito a morte da un proiettile, secondo la versione ufficiale del CNT sparato da un cecchino fascista. Visto il diametro del foro provocato dal proiettile, sorse il sospetto che il colpo fosse stato esploso da molto vicino, facendo sorgere numerose interpretazioni. Qualcuno disse che a sparare furono gli stalinisti, qualcuno che fu un colpo accidentale partito dall'arma di Durruti stesso, qualcuno addirittura che fu ucciso da qualche suo compagno. Qualunque sia la versione corretta, la notizia fu uno shock per tutta la Spagna antifascista. I funerali si tennero a Barcellona il 22 novembre 1936, e vi parteciparono almeno un milione di persone.

Nel suo elogio funebre, lo storico dell'arte e membro della Colonna Durruti Carl Einstein scrisse:

"Durruti, uomo sommamente concreto, non parlava mai di sé, della sua persona. Aveva escluso dalla grammatica il preistorico vocabolo "io". Nella Colonna Durruti si conosce solo la sintassi collettiva. I compagni insegneranno ai letterati a rinnovare la grammatica in senso collettivo. Durruti aveva compreso profondamente la potenza del lavoro anonimo. Anonimato e comunismo sono la stessa cosa. Il compagno Durruti ha operato ad una distanza stellare da ogni vanità delle vedettes di sinistra. Viveva con i compagni, lottava come compagnero. Così ha brillato come un esempio entusiasmante. Noi non avevamo nessun generale, ma la passione della lotta, la profonda dedizione verso la maggior causa, la rivoluzione, scorrevano dai suoi benevoli occhi nei nostri e i nostri cuori erano una cosa sola col suo che per noi continua a battersi sui monti. Sempre sentiremo la sua voce. Adelante, adelante. Durruti non era un generale, era il nostro compagno".

lunedì 11 luglio 2022

11 Luglio 1968: Fondato American Indian Movement

Niente ha cambiato il volto degli indigeni e della loro cultura come l'American Indian Movement, fondato l'11 luglio 1968 a Minneapolis, Minnesota. Tre indiani Ojibwa e diplomati della "Indian Finishing School" - il penitenziario statale del Minnesota - erano Clyde Bellecourt, Dennis Banks e George Mitchell furono le prime figure di spicco. Altri importanti primi membri includevano Eddie Benton Banai, Vernon Bellecourt e più tardi Russell Means. John Trudell è stato portavoce dei media nazionali.

Gli inizi dell'AIM in Minnesota sono stati radicati negli sforzi per combattere la brutalità della polizia a Minneapolis, ma si è rapidamente espansa e si è impegnata a unire tutte le persone indigene per elevare le loro comunità e promuovere l'orgoglio e la sovranità culturale.

Tra il 20 novembre 1969 e l'11 giugno 1971 ebbe luogo l'occupazione di Alcatraz. Su quell'isola prigione, 89 indiani d'America e sostenitori, guidati da Richard Oakes, LaNada Means e altri hanno preso il controllo. Scelsero il nome Indians of All Tribes (IOAT) e John Trudell ne fu il portavoce. Secondo l'IOAT, in base al Trattato di Fort Laramie (1868) tra gli Stati Uniti e i Lakota, tutte le terre federali ritirate, abbandonate o fuori uso dovevano essere restituite ai nativi che un tempo le occupavano. Dal momento che il penitenziario di Alcatraz era stato chiuso il 21 marzo 1963 e l'isola era stata dichiarata proprietà federale in eccedenza nel 1964, un certo numero di attivisti del Potere Rosso rivendicava l'isola come terra indiana.

L'occupazione ha avuto un effetto breve ma in qualche modo diretto sulle politiche federali indiane e ha stabilito un precedente per l'attivismo indiano. Oakes è stato colpito a morte nel 1972 e l'AIM è stato preso di mira dal governo federale e dall'FBI nelle operazioni COINTELPRO.

L'esposizione nazionale di AIM è cresciuta nel 1972 durante il loro Trail of Broken Treaties. I membri iniziarono a San Francisco e finirono a Washington, DC proprio il 3 novembre, proprio mentre Richard Nixon stava per essere rieletto. La processione di quattro miglia è arrivata la mattina presto e ha presentato all'amministrazione Nixon una proposta di 20 punti per migliorare le relazioni tra Stati Uniti e Indiani.

Il primo dei 20 punti degli indiani richiedeva il ripristino dei loro poteri costituzionali di stipulazione di trattati, rimossi da una disposizione nell'Indian Appropriations Act del 1871. I successivi sette riguardavano il riconoscimento della sovranità delle nazioni indiane e la riconvalida dei trattati, compreso il Trattato di Fort Laramie. La richiesta fondamentale al centro di tutto questo era che gli indiani fossero trattati secondo i "nostri trattati".

Altri punti riguardavano questioni come la legge sulla riforma agraria e il ripristino di una base fondiaria che avrebbe permesso agli indiani che lo desideravano di tornare a uno stile di vita tradizionale. Dal punto di vista del governo degli Stati Uniti, riconoscere o negoziare rivendicazioni di trattati in tutto il paese potrebbe richiedere la restituzione di vasti tratti dell'America ai veri proprietari, un'idea davvero molto pericolosa!

venerdì 8 luglio 2022

La fine della gerarchia

Al periodo preistorico della raccolta del cibo succede il periodo della caccia nel corso del quale si formano i clan cercando di aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Una tale epoca vede costituirsi e delimitarsi delle riserve e dei terreni di caccia sfruttati a profitto del gruppo e dai quali gli stranieri restano esclusi, interdizione tanto più assoluta in quanto su di essa poggia la salvezza di tutto il clan. In modo che la libertà ottenuta grazie ad una collocazione più confortevole nell’ambiente naturale, e il tempo stesso con una protezione più efficace contro i suoi rigori, genera a sua volta la propria negazione al di fuori dei limiti fissati dal clan e costringe il gruppo a limitare la sua attività lecita organizzando i rapporti con i gruppi esclusi che costituiscono una minaccia costante. Fin dalla sua apparizione, la sopravvivenza economica socialmente costituita postula l’esistenza di limiti, di restrizioni, di diritti contraddittori. Bisogna ricordarlo come si ripete l’abc, fino ad oggi il divenire storico non ha cessato di definirsi e di definire in funzione del movimento di appropriazione privativa, dell’assunzione da parte di una classe, di un gruppo, di una casta o di un individuo, di un potere generale di sopravvivenza economico – sociale la cui forma resta complessa, a partire dalla proprietà di una terra, di un territorio, di una fabbrica, di capitali, fino all’esercizio puro del potere sugli uomini (gerarchia). Al di là dell’opposizione contro i regimi che pongono il loro paradiso in un welfare – state cibernetico, appare la necessità di estendere la lotta contro uno stato di cose fondamentale e inizialmente naturale, nel cui movimento il capitalismo non gioca che un ruolo episodico, e che non scomparirà senza che scompaiano le ultime tracce del potere gerarchizzato, o i “cinghialetti dell’umanità”, ben inteso.

martedì 5 luglio 2022

Lo Stato il Capitale e la Rivoluzione

La dottrina dello Stato di Bakunin è ciò che differenzia, fin dalla loro formazione, le due correnti del socialismo ottocentesco e novecentesco. Lo Stato, per definizione di ambedue le fazioni, rappresenta quell'insieme di organi polizieschi, militari, finanziari ed ecclesiastici che permettono alla classe dominante (la borghesia) di rimanere in possesso dei suoi privilegi. La differenza si presenta però nell'utilizzo dello Stato durante il periodo rivoluzionario. Per i marxisti, infatti, si sarebbe dovuta presentare una situazione in cui lo Stato sarebbe stato arma in mano al proletariato per eliminare la controrivoluzione. Solo allora, con la dissoluzione dell'apparato statale si sarebbe passati all'assenza di classi. La posizione di Bakunin (e, con lui, di tutti gli anarchici) è che lo Stato, strumento prettamente in mano alla borghesia, non può essere usato che contro il proletariato: dato che l'intera classe sfruttata non può amministrare l'infrastruttura statale, ci vorrà una classe burocratica che lo amministri. Bakunin temeva l'inevitabile formazione di una "burocrazia rossa", padrona dello Stato e nuova dominatrice. L'ugualianza e quindi la libertà, secondo il pensatore Russo, non possono esistere nella società marxista. Lo Stato va quindi abbattuto in fase rivoluzionaria. Se lo Stato è l'aspetto politico dello sfruttamento della borghesia, il Capitale ne è quello economico. Qui le differenze del marxismo sono inesistenti (basti pensare che il primo libro de Il Capitale fu tradotto in Russo proprio da Bakunin). La differenza tra la concezione marxiana e quella bakuniana del Capitale, è che per Bakunin questo non è elemento fondante dello sfruttamento. Anche se non esplicitato, nella sua opera non viene fatto riferimento alcuno alla concezione materialistica della storia (che prevede l'aspetto economico della società come basilare per l'analisi della stessa). Un aspetto importante del pensiero di Bakunin è l'azione rivoluzionaria. Bakunin ha perseguito per tutta la vita questo scopo e, in alcune parti della sua opera, sono rintracciabili le linee guida della concezione rivoluzionaria del pensatore russo. In primo luogo la rivoluzione deve essere essenzialmente popolare: il senso di questa affermazione va ricercato ancora nel contrasto con Marx. I comunisti credevano in un'avanguardia che dovesse guidare le masse popolari attraverso il cammino rivoluzionario. Bakunin invece prevedeva una società segreta che avrebbe dovuto solamente sobillare la rivolta, la quale poi si sarebbe auto-organizzata dal basso. Altra differenza con il marxismo è l'identificazione del soggetto rivoluzionario. Se Marx vedeva nel proletariato industriale spina dorsale della rivoluzione (mettendolo in contrapposizione con una classe agricola reazionaria), Bakunin credeva nell'unione tra il ceto contadino e il proletariato l'unica possibilità rivoluzionaria. Marx, in alcuni suoi scritti, non nega la possibilità che il trionfo del proletariato possa giungere senza spargimenti di sangue. Bakunin è invece categorico su questo punto: la rivoluzione, essendo spontanea e popolare, non può essere altro che violenta.

sabato 2 luglio 2022

Jean-Jacques Liabeuf l'ammazza-sbirri

 

Jean-Jacques Liabeuf (1886-1910) era calzolaio con alcuni piccoli precedenti per furto contro il quale la polizia di Parigi si accanì con particolare attenzione.

Dopo diversi brevi soggiorni in galera e dopo il servizio militare in Africa, Liabeuf si innamorò di una prostituta il cui magnaccia era però un informatore di polizia. Sicché, ancora una volta, il povero Liabeuf fu arrestato e sbattuto in galera, questa volta con l’accusa per lui infamante di essere il protettore della sua amata.

Uscito di prigione nel gennaio del 1910, incazzato come una iena, il calzolaio decise di vendicarsi dei poliziotti, tali Maugras e Vors, che avevano voluto incastrarlo. Armato di tutto punto si mise alla loro caccia ma fu intercettato da un’altra pattuglia. Nello scontro che ne seguì Liabeuf uccise un poliziotto e ne ferì un altro, prima di essere a sua volta ferito e quindi arrestato.

Jean-Jacques Liabeuf fu ghigliottinato il 2 luglio 1910 ma la sua esecuzione si trasformò in una grande manifestazione in suo sostegno, con durissimi scontri tra polizia e circa 10.000 persone che erano intervenute per impedirla.