..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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venerdì 30 aprile 2021

1 maggio 1886: la rivolta di Haymarket

Il biennio 1885/86 fu caratterizzato, soprattutto negli Stati Uniti, da un'intensa mobilitazione operaia che si poneva come obiettivo la conquista della giornata lavorativa di otto ore.

I sindacati americani decisero allora di indire per il primo Maggio '86 uno sciopero generale, che nella sola città di Chicago riunì oltre 50.000 lavoratori. In un clima di tensione, e di numerose provocazioni poliziesche, si susseguirono cortei, comizi ed iniziative varie anche nei giorni successivi alla grande manifestazione. Il 3 di maggio i lavoratori in sciopero di Chicago si ritrovarono all'ingresso della fabbrica di macchine agricole McCormick. La polizia, chiamata a reprimere l'assembramento sparò sui manifestanti uccidendone quattro e ferendone diverse centinaia. Per protestare contro la brutalità delle forze dell'ordine, gli anarchici e i socialisti locali organizzarono una manifestazione da tenersi nell'Haymarket Square, la piazza che normalmente ospitava il mercato delle macchine agricole.

Il giorno successivo circa 2000 persone si radunarono per manifestare pacificamente, ma mentre i leader sindacalisti, Spies, Parsons e Fielden, parlavano alla folla, in un clima carico di tensione, ma fondamentalmente pacifico e tranquillo, i capitani di polizia Bonfield e Ward, a capo di 180 agenti con i manganelli levati, ordinarono di disperdere il presidio. Dopo un momento di silenzio, nel buio della notte si sentì il rumore di passi in fuga. Poi ci fu un lampo e un'esplosione terribile. Qualcuno aveva gettato una bomba. Il poliziotto Mathias J. Degan rimase ucciso.

A quel punto le forze dell'ordine si sentirono legittimate a sparare sulla folla. Sette poliziotti rimasero uccisi da fuoco amico, insieme a 4 manifestanti, mentre decine di persone rimasero ferite, molti delle quali ebbero paura di ricevere cure ospedaliere, temendo l'arresto.

Il giorno dopo, furono arrestati otto leader anarchici e socialisti, accusati di omicidio; si trattava di Albert Parsons, americano, di George Fielden, immigrato inglese, di Oscar Neebe, nato in America da genitori tedeschi, e di cinque immigrati dalla Germania: Adolph Fischer, August Spies, Louis Lingg, Michael Schwab e George Engel. Tre degli imputati erano stati oratori al comizio di Haymarket – di cui tutti ricordavano i toni moderati; altri due non c'erano nemmeno andati, gli ultimi tre avevano lasciato la manifestazione prima dello scoppio della bomba.

«I sospetti furono picchiati e sottoposti al terzo grado», scrive Harvey Wish, «persone che non conoscevano il significato di socialismo e anarchismo furono torturate dalla polizia» e «qualche volta corrotte perché testimoniassero per l'accusa».«Fate prima le perquisizioni e poi consultate la legge», disse Julius S. Grinnell, procuratore dello Stato a Chicago, incaricato dell'istruttoria dei casi. John Swinton dichiarò che i lavoratori di New York vivevano «sotto il regno del terrore. Giudici e polizia, corrotti e servi dei monopoli, rastrellavano indiscriminatamente i cittadini e li conducevano in prigione».

In realtà Parsons, convinto quasi all'istante che la bomba era stata lanciata da un agente prezzolato e che egli sarebbe stato uno degli accusati predestinati, riuscì a fuggire nella confusione che seguì alla strage, ma dopo pochi giorni, pur sapendo, come confermò in seguito il governatore dell'Illinois, John P. Altgeld, che si sarebbe trovato di fronte una giuria prevenuta, testimoni falsi e giudici decisi a condannare al capestro, decise comunque di consegnarsi, comparendo improvvisamente in tribunale il primo giorno del processo.

«Mi uccideranno - disse Parsons a chi gli chiese spiegazioni per il suo gesto - ma non potevo restarmene in libertà sapendo che i miei compagni erano stati arrestati e sarebbero stati giustiziati per fatti di cui essi sono colpevoli al pari di me ...» .

Il processo cominciò a luglio; malgrado gli sforzi degli avvocati della difesa, l'accusa, appoggiata dal giudice, portò la discussione su un livello puramente ideologico: fu un processo all'anarchismo, al socialismo e al movimento operaio.

In tribunale non fu portata alcuna prova del collegamento tra gli imputati e il lancio della bomba, ma venne affermato che la persona che aveva lanciato l'ordigno sarebbe stata incitata a farlo dagli imputati, i quali di conseguenza erano da considerarsi responsabili.

Il 19 Agosto, la giuria decise per la condanna a 15 anni di carcere per Neebe, sebbene nessun elemento accusatorio fosse stato trovato nei suoi confronti, e per la morte degli altri sette imputati. La notte prima dell'esecuzione, Lingg si suicidò nella cella inghiottendo una bomba fatta a sigaro. L'11 novembre, Parsons, Engel, Fischer e Spies salirono al patibolo, mentre Samuel Fielden e Michael Schwab, in seguito alla domanda di clemenza, vennero graziati nel 1893.

Il 13 Novembre, 200.000 persone parteciparono ai funerali dei cinque martiri del movimento operaio.

Tre anni più tardi, a Parigi, nel corso del congresso fondativo della Seconda internazionale socialista, organizzazione che riuniva i partiti socialisti e i movimenti a tutela dei lavoratori di venti paesi nel mondo, si decise di proclamare, in ricordo del massacro dell'Haymarket square, il primo maggio come Festa internazionale dei lavoratori. Sindacati e partiti aderenti avrebbero dovuto proporre alle singole autorità nazionali una petizione che istituisse per legge la festività.

La prima celebrazione della Festa dei lavoratori si tenne a Roma nel 1890. In quell'occasione la città venne occupata da poliziotti, carabinieri, corpi dell'esercito e squadroni di cavalleria. Circa 200 operai si riunirono a Testaccio ma vennero dispersi dalle forze dell'ordine. Lo stesso accadde ad altri assembramenti in Piazza Vittorio Emanuele e in Porta Trionfale. Fino al maggio 1898, anno in cui il generale Bava Beccaris represse nel sangue i «moti del pane» a Milano, la festa dei lavoratori fu vietata e repressa dalle autorità.

mercoledì 28 aprile 2021

150 anni fa … Decreto separazione tra Stato e Chiesa

REPUBBLICA FRANCESE

 

N° 59

LIBERTÀ - UGUAGLIANZA – FRATERNITÀ

N° 59

 

COMUNE DI PARIGI

 

LA COMUNE DI PARIGI,

 

Considerando che il primo dei principi della Repubblica francese è la libertà;

 

Considerando che la libertà di coscienza è la prima delle libertà;

 

Considerando che il bilancio dei culti è contrario a questo principio, poiché mette i cittadini contro la loro stessa fede;

 

Considerando, infatti, che il clero era complice dei crimini della monarchia contro la libertà.

 

DECRETA:

 

Articolo 1°. La Chiesa è separata dallo Stato.

 

Articolo 2. Il bilancio dei culti è soppresso.

 

Articolo 3. I beni detti di manomorta, appartenenti a congregazioni religiose, mobili e immobili, sono dichiarati proprietà nazionali.

 

Articolo 4: Un'indagine sarà fatta immediatamente su questi beni, per accertare la loro natura e metterli a disposizione della Nazione.

 

LA COMUNE DI PARIGI.

 

Parigi, 3 aprile 1871

STAMPERIA NAZIONALE – Aprile 1871

 


martedì 27 aprile 2021

Passione senza rivoluzione non è che la rovina del piacere

Lavoriamo, mangiamo, leggiamo, dormiamo, consumiamo, ci svaghiamo, assorbiamo cultura, siamo oggetto di cure e di premure e in tutti questi momenti sopravviviamo come piante di appartamento. Sopravviviamo contro tutto ciò che ci incita a vivere. Sopravviviamo per un sistema totalitario e disumano, una religione di cose e di immagini, che ci recupera sempre e ovunque per aumentare i profitti e le briciole di potere della classe burocratico-borghese. Né giovani né vecchi, nella spettralità sempre uguale della sopravvivenza, solo individui più o meno viventi. I nostri nemici sono tutti coloro che credono e fanno credere che un cambiamento globale è impossibile, sono i morti che ci governano e quelli che si lasciano governare. Non saremmo che delle protesi atte a far sopravvivere il sistema della merce se, a volte non ci risentissimo sospinti verso noi stessi, colti dal bruciante desiderio di vivere appassionatamente. Allora non più passioni vissute per procura, frustrazioni accettate, immagini pietrificate che congelano i nostri desideri. I momenti autenticamente vissuti e i piaceri senza riserve, unitamente al rifiuto di ciò che li intralcia e li falsifica, sono altrettanti attacchi portati al cuore del sistema mercantile; si tratta solo di dare loro maggiore coerenza per estenderli, moltiplicarli e rafforzarli.
Creando appassionatamente le condizioni favorevoli per il libero sviluppo delle passioni, vogliamo distruggere tutto ciò che ci distrugge. La rivoluzione è la passione che permette tutte le altre. Passione senza rivoluzione non è che la rovina del piacere.

lunedì 26 aprile 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 2)

  

La Comune nacque spontaneamente, favorita da cause concomitanti quali la guerra perduta, le sofferenze dell'assedio, la disoccupazione operaia, la rovina della piccola borghesia, l'indignazione contro un governo inetto e un'Assemblea Nazionale reazionaria. Inizialmente sostenuta da un movimento patriottico che sperava ancora in una guerra vittoriosa, dai piccoli commercianti, dai repubblicani timorosi di un ritorno della monarchia, il peso maggiore fu sostenuto dagli operai e dagli artigiani parigini, che si trovarono soli quando i repubblicani borghesi e i piccoli borghesi se ne staccarono, spaventati dal carattere proletario, rivoluzionario socialista e direi anche libertario del movimento. La necessità di difendersi dall'attacco militare di Versailles concesse poco tempo alle iniziative in campo sociale, ma sufficienti a dimostrare che la Comune e la bandiera rossa sventolante sull'Hôtel de Ville costituivano un pericolo mortale per il vecchio mondo fondato sull'asservimento e sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

Il primo decreto della Comune fu la soppressione dell'esercito permanente e la sua sostituzione col popolo armato; veniva, così, a cadere uno dei pilastri su cui si basava tradizionalmente l'autorità dello stato e il popolo in armi assicurava la continuità rivoluzionaria essendo solo esso garante di se stesso.

Nella proclamata Comune non esisteva un baricentro del potere. Le decisioni venivano prese in comune in riunioni cittadine, in «assemblee» come diremmo oggi.

I consiglieri municipali, eletti a suffragio universale, erano responsabili e revocabili in qualsiasi momento. Inutile dire che erano in maggioranza operai. Essi non avevano una funzione parlamentare, ma dovevano rappresentare un organismo di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Questo non significava distruggere le organizzazioni rappresentative, ma sostituire ad un organismo parlamentare borghese, in cui la libertà di lavoro e discussione finisce per tramutarsi in inganno, un organo di lavoro: cioè i parlamentari dovevano essere essi stessi a lavorare, applicare le loro disposizioni, verificarle e, quindi, essi in prima persona risponderne ai loro elettori, i quali potevano, in ogni momento destituirli. E per evitare il carrierismo e l'arrivismo, i Comunardi, oltre alla revoca; applicarono un metodo infallibile: per tutti i servizi e pei ogni professione si pagava soltanto lo stipendio che ricevevano gli altri operai. I benefici, le prerogative caratteristiche degli alti funzionari dello stato scomparirono insieme ad essi.

Anche la polizia, finì di essere un corpo separato dalla società, strumento del governo centrale e docilmente manovrabile dalle classi dominanti; venne spogliata da ogni attribuzione politica e trasformata in un organo responsabile e sempre revocabile dalla Comune.

La Comune voleva abolire la proprietà; voleva abolire ciò che fa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Essa voleva espropriare i padroni; voleva trasformare i mezzi di produzione, che sono (ancora oggi) essenzialmente mezzi di asservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero e associato.

La Comune aveva dichiarato che avrebbe trasformato le (ancora odierne) sanguisughe: notai, avvocati, uscieri e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati eletti dal popolo e davanti al popolo responsabili

La Comunesi preoccupò, anche, di spezzare la forza di repressione spirituale, il potere dei preti, togliendo ogni investitura ed espropriando tutte le chiese in quanto corpi possidenti (Karl Marx - La Guerra Civile in Francia)” I preti, così spogliati dalle loro proprietà; perdevano ogni forma di mantenimento a spese dello stato; la loro retribuzione, invece di essere estorta dagli agenti delle imposte, doveva dipendere solo dall’azione spontanea ispirata dai sentimenti religiosi dei parrocchiani, dovevano vivere, quindi, delle elemosine dei propri fedeli, come il loro Dio aveva predicato.

Tutti gli istituti di istruzione furono aperti al popolo gratuitamente e non più formalmente. L'ingerenza della Chiesa e dello Stato fu eliminata. I magistrati e i giudici furono elettivi, responsabili e revocabili come tutti gli altri funzionari.

La Comune di Parigi doveva essere il modello sulla base del quale si dovevano organizzare tutti i grandi (industriali) e piccoli centri (rurali) della Francia, passando dal vecchio governo centralizzato all'autogoverno.

Il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto, anche nelle province, all'autogoverno del popolo. In un abbozzo sommario di organizzazione nazionale, che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare, è detto chiaramente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccolo borgo. Le Comuni rurali di ogni distretto avrebbero dovuto amministrare i loro affari comuni mediante un'assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e queste assemblee distrettuali avrebbero dovuto loro volta mandare dei rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi, ogni delegato essendo revocabile in qualsiasi momento e legato al mandat impératif (istruzioni formali) dei suoi elettori.

La Comune portava con se, come conseguenza naturale, la libertà municipale locale, ma non più come contrappeso al potere dello Stato. Quindi per il solo fatto che esisteva la Comune, il potere dello Stato diventava superfluo.

L'esercito permanente avrebbe lasciato posto alla milizia popolare con un periodo di servizio estremamente breve, in maniera da evitare il formarsi di una nuova casta di militari e di un potere contrario agli interessi del popolo.

domenica 25 aprile 2021

Los Fastidios: Antifa - Hooligans!

 

Come on come on

Come on come on

Come on come on

Antifa - Hooligans!

In the streets

On the terraces

We are singing

And we scream

All our rage for the nazi scum

We are coming start to run

 

Come on come on

Come on come on

Come on come on

Antifa - Hooligans!

Nelle strade

Sulle terrazze

Stiamo cantando

E gridiamo

Tutta la nostra rabbia per la feccia nazista

Stiamo arrivando per iniziare a correre

 





sabato 24 aprile 2021

Giuseppe Ruzza, anarchico, antifascista, partigiano

Giuseppe Ruzza, nato ad Adria (Rovigo) il 6 maggio 1923, si avvicinò giovanissimo al movimento anarchico.

Nel 1940 costituisce nella sua città natale, insieme ad altri giovani, ugualmente insofferenti della situazione in cui erano costretti a vivere, il gruppo antifascista «Gioventù Italia Libera» che compie svariate scritte sui muri e diversi volantinaggi clandestini incitanti alla rivolta contro il fascismo e Mussolini.. “Fra il 1940 e il 1943, ricorda Giuseppe, stampammo a mano migliaia di volantini che lasciammo nelle strade della città e facemmo numerose scritte sui muri con legna bruciata (carbonella). Non fummo mai scoperti, nonostante la caccia spietata che ci fecero”.

Nel settembre 1943, viene arruolato nella RSI, ma rifiuta e sceglie di fare il partigiano in provincia di Udine. Catturato in data imprecisata e ristretto nel carcere «Paolotti» di Padova, Giuseppe viene successivamente trasferito provvisoriamente a Novara, ma con destinazione finale un campo di lavoro in Germania. Nel giugno 1944, con altri due, riesce a fuggire e, dopo tre giorni di viaggio, giunge a Borgosesia nel periodo in cui si stava preparando, da parte partigiana, l’occupazione dell’intera Valsesia

Unitosi alla Resistenza in Valsesia come partigiano (il suo nome di battaglia era «Ciò Digo», pseudonimo: Vincenzo Della Valle) prima nella 82° Brigata Garibaldi «Giuseppe Osella» poi nella 84° Brigata Garibaldi «Strisciante Musati», sempre sotto il comando di Cino Moscatelli, partecipa alla lotta contro le formazioni nazifasciste. In particolare nella primavera del 1945 tutte le formazioni partigiane della Valsesia attaccano contemporaneamente Varallo, Borgosesia, Romagnano e Fara. Giuseppe è presente a Romagnano di fronte ad un presidio della X MAS. Il combattimento inizia alle ore 5,00 del 15 marzo e termina alle 18,00 con la resa dei fascisti. È in questo periodo che conosce la sua compagna, Delfina Stefanuto, che svolgeva il compito di staffetta di collegamento tra le varie unità partigiane nella zona della Valsesia e in Val d’Ossola.

Dopo la Liberazione, nascoste, assieme ad altri compagni, gran parte delle armi utilizzate nel corso della Resistenza, si stabilisce a Gattinara e prosegue la sua attività all’interno del movimento anarchico. Nel luglio del 1948, all’indomani dell’attentato contro Palmiro Togliatti, occupa, assieme ad un gruppo di anarchici della zona, la fabbrica «Ceramica Pozzi» di Gattinara, scontrandosi, armi alla mano, con un reparto di carabinieri. Per evitare l’arresto, fugge in Francia dove vi rimane per circa 40 giorni. Calmatesi le acque, rientra in Italia, dove lavora come sarto e, parallelamente, svolge una certa attività di contrabbando nelle zone di frontiera con la Svizzera, subendo alcune condanne da parte delle autorità giudiziarie. Nel gennaio 1957, è arrestato in relazione alla rapina alla banca di Villanova Monferrato e, in seguito, viene condannato ad alcuni anni di reclusione. Uscito di galera, comincia ad interessarsi ed occuparsi, assieme alla sua compagna Delfina, dei compagni imprigionati, impegnandosi in un’intensa attività di solidarietà e svolgendo una vasta azione di controinformazione. Nel marzo del 1969, viene arrestato con l’accusa di aver organizzato ed istigato un attentato, compiuto da un gruppo di giovani anarchici, contro la questura di Vercelli. A Gattinara, dà vita, assieme a Delfina e ad altri compagni, al circolo anarchico Scribante e, in seguito, al giornale L’Agitatore, che si occupa soprattutto della questione carceraria. Il 17 settembre 1983, Giuseppe e Delfina vengono arrestati con l’accusa di «partecipazione a banda armata» e di aver «organizzato una vasta rete di collegamenti con l’eversione», in particolare con «Prima Linea, Autonomia Operaia e Azione Rivoluzionaria». Il giornale La Stampa del 21 settembre 1983 affermava che il gruppo di persone che faceva riferimento al Circolo Scribante di Gattinara «[…] avrebbe tenuto i contatti con gli aderenti di questi movimenti in carcere (ad esclusione dei pentiti), aiutandoli materialmente e sostenendoli sul piano morale, fornendo notizie ed informazioni ai latitanti, cercando di avvicinare altre persone per convertirle alla loro idea. I carabinieri, che hanno perquisito le loro abitazioni, non hanno trovato armi, ma solo materiale documentario. Gli inquirenti definiscono l’attività dei due coniugi una “catena di solidarietà”, con aderenze in altre zone della penisola. Giuseppe Ruzza (già coinvolto in una vicenda di contrabbando) era conosciuto anche all’estero per la sua attività a favore del movimento anarchico. […]». Rimasti in carcere fino al processo, che si tenne a Torino il 24 ottobre 1984, Giuseppe venne assolto «per mancanza di prove», mentre Delfina fu condannata a tre anni e sei mesi di detenzione, con la concessione degli arresti domiciliari. Giuseppe Ruzza e Delfina Stefanuto hanno instancabilmente proseguito la propria attività all’interno del movimento anarchico fino alla fine della loro vita. Delfina si è spenta a Gattinara il 15 aprile 2002, mentre Giuseppe ci ha lasciati il 2 gennaio 2003.


Vi rimandiamo sul nostra canale YouTube per vedere una vecchia intervista fatta al compagno Giuseppe Ruzza che potete vedere cliccando sulla sua immagine, oppure su:                      https://youtu.be/BAMgSWGl5eo

Si avvicina il 25 aprile

Si avvicina il 25 aprile. Ma forse non c'è soltanto un 25 aprile, ma tanti 25 aprile. Semplificando, si potrebbe dire che c'è infatti quello di chi voleva in primo luogo garantire la continuità delle istituzioni statali, quello di chi sognava un'Italia schierata con Stalin e quello di coloro che di una cosa erano sicuri: che i ponti con quello che era stato dovevano essere tagliati di netto. Tra questi ultimi c'erano senza dubbio gli anarchici.

Ma per gli anarchici il 25 aprile era iniziato più di vent'anni prima. L'anarchismo e il fascismo d'altronde sono sempre stati in pessimi rapporti. Da un lato l'aspirazione alla libertà, dall'altro un sistema di dominio che pretendeva di inquadrare l'individuo in tutto quello che i libertari hanno sempre combattuto: Dio, Patria e Famiglia. Non c'è da stupirsi dunque se gli anarchici sono sin 1921 tra gli entusiasti sostenitori degli Arditi del Popolo e si battono nelle loro file in tutta la penisola e sulle barricate di Parma del 1922. A questo proposito, si può affermare che l'unica componente proletaria che sostenne attivamente l'arditismo popolare fu proprio quella libertaria. Dopo la Marcia su Roma, migliaia di anarchici furono costretti ad andare in esilio, dove cercarono di rendere la vita impossibile ai rappresentanti del fascismo all'estero con ogni mezzo necessario- dai giornali alla propaganda, dalla creazione di reti di mutuo soccorso a veri propri attentati contro uomini e istituzioni del regime. Diversi furono inoltre i tentativi di eliminare Mussolini, come quelli di Gino Lucetti (1926), Michele Schirru (1931) e Angelo Sbardellotto (1932). Gli anarchici di lingua italiana, così come i loro compagni provenienti da tutto il mondo combatterono poi nel corso della rivoluzione spagnola. Nel settembre 1943, se alcuni rifiutarono di partecipare ad una guerra tra imperialismi, molti anarchici invece decisero di prendere parte alla lotta armata contro il nazifascismo. Di questo impegno sono prova le numerose formazioni che si vennero a creare come le brigate “Bruzzi-Malatesta”, i battaglioni “Lucetti” e Schirru”, solo per citarne alcune.

Fino ad arrivare al 25 aprile. Un 25 aprile “lungo”, dunque, più di vent'anni e non ristretto solo all'Italia. Ma la Liberazione sembra essere un processo tutt'altro che finito. Nuovi fascismi, nuove forme di dominio, sempre più diffuse e ambigue, segnano il nostro esistente. Per questo ha senso riandare alle parole dei/lle partigiane che lottarono in quei tormentati anni, riascoltare le loro voci e fare in modo che quelle non rimangano mero feticcio storico, ma lasciti, per continuare a cercare di costruire una società libera e solidale.




venerdì 23 aprile 2021

L’Anarchismo come soluzione

 

Il pensiero anarchico – in senso proprio, non metaforico – cioè il pensiero di quei «folli dell’anarchia», di quei «fanatici della libertà» che hanno turbato sonni ortodossi e ispirato sogni ribelli, quel pensiero anarchico che oggi viene riscoperto come «libertarismo debole» (nobilitazione di un banale liberalismo o riciclaggio di un sinistrese post-comunista) è pensiero ben più complesso e multiforme di quanto una critica quasi sempre superficiale e una semplicistica divulgazione farebbero credere. Una complessità che certo nasce dalla natura irriducibilmente non dogmatica di quel pensiero, ma anche dalla complessa varietà storica, geografica e sociale del movimento anarchico che è nato da quel pensiero e che quel pensiero ha, a sua volta, prodotto. L’anarchismo, infatti, è stato un grande movimento a valenza internazionale e ad ampio spettro sociale; un fenomeno storico di rilevanti proporzioni che necessita ancora di una riflessione storiografica adeguata. Dalla Russia agli Stati Uniti, dall’Italia al Giappone, dalla Spagna alla Svezia, dalla Francia alla Cina, dalla Corea all’Argentina, dalla Germania al Brasile il movimento anarchico si è espresso in organizzazioni culturali, sindacali, politiche, educative, economiche che hanno coinvolto o influenzato milioni di persone. È stato attivamente presente in alcuni momenti decisivi della storia europea e mondiale: nella Prima Internazionale, nella Comune di Parigi, nella Rivoluzione russa, nel movimento consiliare degli anni Venti, nel sindacalismo latino-americano, nella Rivoluzione spagnola…
L’anarchismo è il risultato del plurimo incrocio tra l’onda lunga della secolarizzazione illuministica, con il suo inesorabile e progressivo «disincanto del mondo», e i due effetti storici che ne hanno avallato e scandito la progressione: la Rivoluzione industriale e la Rivoluzione francese. Culmine culturale ineludibile di questo formidabile intreccio, tutto segnato da una dimensione continuativamente rivoluzionaria, nel significato più esteso del termine, l’anarchismo è dunque – e non potrebbe essere diversamente – l’estremo punto di tale processo. La negazione trasversale di ogni autorità divina e umana, la critica del principio di autorità a ogni livello delle sue determinazioni storiche date e a ogni livello delle sue determinazioni storiche possibili, la critica cioè dell’esistente e di ogni futuro informato dagli stessi principi, pongono l’anarchismo sulla labile frontiera che divide i lembi estremi dell’esercizio rivoluzionario della critica in tutte le sue forme dalla più problematica e ineffabile terra di nessuno del nichilismo.

L’anarchismo è invece la soluzione diversa dalla democrazia perché va molto più in là del socialismo, in quanto ritiene che la rivoluzione non sia tanto nelle cose (e se lo è, questo è un aspetto secondario) quanto nell’ordine della libertà come inizio di una nuova storia, come fondazione irreversibile del farsi della libertà come libertà assoluta. La rivoluzione è l’estrinsecazione di questo futuro e di questa nuova storia, la manifestazione visibile e reale della capacità umana di far coincidere, in un medesimo incrocio spazio-temporale, il senso e la potenzialità dell’azione emancipativa dell’uomo. La rivoluzione anarchica non conosce la distinzione tra tempo storico e tempo rivoluzionario: essa intende inverare il primo nel secondo, interrompendo chiliasticamente la logica del potere con l’eliminazione immediata e totale di ogni possibilità riproduttiva dell’autorità sotto qualsiasi forma.

giovedì 22 aprile 2021

150 anni fa … Riflessioni sulla Comune (parte 1)

 

I parigini avevano preso sul serio la montatura patriottica sciorinata da Naopeone III; l'idea della patria era divenuta per il popolo come una seconda religione, mentre per la borghesia rappresentava un affare. Il popolo era pronto a dare per la patria l'unico suo avere, la vita! Ma i borghesi non vollero dare per la patria né la vita, né la loro ricchezza! Parole come armistizio, capitolazione, pace … il popolo, che voleva vincere o morire, non poteva comprenderle! La borghesia invece volle salvarsi e si salvò, passando sulla mutilazione della Francia e sul cadavere del popolo massacrato dalle stesse sue armi fratricide a Parigi!

Il popolo di Parigi si accorse ben tardi che i suoi nemici mortali non erano i prussiani, ma i versagliesi e tutto il suo eroismo, che disciplinato contro gli eserciti teutonici avrebbe portato la Francia alla vittoria, si infranse contro le vili falangi dei generali inoperosi e deboli contro i prussiani, ma tenaci ed energici fino alla più assurda brutalità contro i parigini in rivolta. Quando il popolo di Parigi si vide tradito dai dominatori prima dell'Impero, poi della repubblica borghese di Thiers, non ebbe più freni e come un torrente infuriato inondò, distrusse disperse quanti erano stati causa delle sue sventure, dando vita così ad uno dei momenti più alti, se non il più alto in assoluto della storia dell’umanità: la Comune di Parigi del 1871.

Sono passati da allora quasi 150 anni, ebbene, quale governo ha abolito, come appunto abolì la Comune, il lavoro notturno? Quale concede pensioni a vedove e orfani di guerra, indipendentemente dal fatto che il caduto fosse legalmente sposato o no? Dove si invitano gli operai a tenere corsi ai ragazzi a scuola?

Era il tempo in cui i figli dei poveri già a sei anni entravano in fabbrica per lavorare fino a 16 ore al giorno: e la Comune stabilì l'istruzione obbligatoria e gratuita per tutti. Era il tempo di elezioni (quando c'erano) ristrette a pochi, e la Comune le estese a tutti, dando inoltre al popolo la facoltà di revoca d'ogni carica elettiva. Era il tempo in cui si pensava che le donne, eccezion fatta per le puttane di lusso, mogli e amanti dei grandi personaggi, dovevano nella migliore delle ipotesi restarsene a casa a fare la calza, nella peggiore macerarsi in fabbrica quanto gli uomini con minor paga perché più «deboli». Ebbene, un corrispondente del «Times», parlando delle donne della Comune, commentò: «Se tutta la Francia fosse composta di queste donne, che grande nazione sarebbe». Le troviamo dappertutto: a scuola, negli ospedali, nei circoli politici, sulle barricate. “Vivere libere col fucile, o morire combattendo”, era il loro motto. Quante di esse sono cadute nella difesa della Comune? Il loro numero non è meno elevato di quello degli uomini. All'ufficiale di Versailles, che sta per spararle perché ha ucciso dei soldati, una popolana risponde: «Dio mi punisca per non averne ammazzati di più».

Il decreto sulle officine inattive presentato dal commissario Avrial il 16 aprile, quello che in seguito della «vile fuga» di alcuni proprietari di officine erano cessate molte attività necessarie alla vita della Comune con una grave minaccia alle risorse vitali degli operai, fu di una importanza inaudita, esso fu un passo effettivo verso la rivoluzione sociale, per la prima volta nella storia si requisirono le fabbriche abbandonate e furono affidate a cooperative di lavoratori che ne poterono curare la gestione, fu un esempio pratico di autogestione.

La Comune condonò alcune rate delle pigioni e prorogò di tre anni, senza interessi, il pagamento di tutte le cambiali; parecchi decreti, che andavano dall'apertura di uffici di collocamento comunali alla stipulazione di contratti collettivi, anticiparono la moderna legislazione del lavoro ma rimasero, per forza di cose (72 giorni furono pochi per realizzare tutto), allo stato di virtualità.

La Comune aveva abolito per prima cosa gli alti onorari, molti operai si seppero improvvisare impiegati e ricoprirono il nuovo incarico con grande zelo e competenza. Un operaio cesellatore in bronzo, Albert Frédéric Theisz, il 26 marzo, alla nascita della Comune, fu eletto al Consiglio della Comune e fece parte della Commissione Lavoro e Scambio, il 5 aprile divenne direttore delle poste, trovò un servizio quasi inesistente, disorganizzato, con i valori rubati. Riunì tutti i dipendenti rimasti, li arringò, e li convinse a passare alla Comune; in breve la levata delle lettere e la consegna fu ristabilita in tutta la città, si arrivò anche a far partire la corrispondenza per la provincia a mezzo di agenti abili e coraggiosi; nonostante ciò non esitò a ritornare a combattere con ardore sulle barricate durante la Settimana sanguinante. Sfuggì alla repressione versagliese rifugiandosi a Londra, dove lavorò come operaio e fece parte del Consiglio generale dell’Internazionale. Tornò a Parigi grazie all’amnistia del 1880, dove morì il 10 gennaio 1881. È sepolto al cimitero di Père Lachaise.

Lo steso avvenne alla zecca dove Zéphirin Rémy Camélinat, un operaio anarchico montatore in bronzo, cesellatore nelle decorazioni dell’Operà e amico di Proudhon, aderente alla Guardia Nazionale durante l’assedio di Parigi, il 3 aprile fu nominato direttore della Zecca e per mandare avanti la baracca fece coniare nuove monete da 5 franchi con l’argento dell’argenteria che si requisì. Anche lui si ributtò anima e cuore sulle barricate durante la Settimana sanguinante ed evitò la repressione versagliese rifugiandosi in Inghilterra, mentre la corte marziale lo condannava alla deportazione.

François Jourde, impiegato in uno studio notarile ed eletto il 26 marzo al Consiglio della Comune del 5° arrondissement, il 29 dello stesso mese assunse la funzione di commissario delle finanze, riuscì a presentare un bilancio talmente preciso, oltre che attivo, da costituire un vero gioiello d’amministrazione ed un’eccezione in materia di bilanci pubblici; nella relazione al bilancio lo stato delle finanze della Comune era giudicato florido. In questo lavoro venne assistito da Eugène Varlin: rilegatore, anarchico proudhoniano, morto il 28 maggio quando ogni resistenza era ormai cessata, fu riconosciuto da un prete in rue Lafayette e segnalato ai soldati di Versailles che prima lo linciarono e poi lo fucilarono. Gli scrupoli legalitari di Jourde impedirono di confiscare i fondi della Banca di Francia, indebolendo l’azione della Comune contro il governo di Thiers. Fu lui l’autore del decreto che accordava una pensione alle donne, sposate o meno, delle guardie nazionali cadute in combattimento. Arrestato dal governo di Versailles il 30 maggio, fu condannato il 2 settembre alla deportazione nella Nuova Caledonia dove giunse nel novembre del 1872. Nella colonia penale di Nouméa lavorò come contabile e fondò l’«Union», società di mutuo soccorso ai deportati. Evase il 21 marzo del 1874, raggiunse l’Inghilterra, partecipò ad una sottoscrizione per i Comunardi vittime della repressione. Tornò da Londra in Francia con l’amnistia del 1880, senza più occuparsi di politica.

martedì 20 aprile 2021

La prossima rivoluzione

La prossima rivoluzione sarà una rivoluzione democratica e razionale, questa l'idea centrale del pensiero di Murray Bookchin. Partendo dalla lunga storia di militante anarchico ed ecologista Bookchin elabora una nuova idea politica e sociale che si adatta perfettamente alle sfide del XXI secolo. Ecologia sociale, comunalismo, municipalismo libertario, confederalismo sono i termini che Bookchin utilizza di volta in volta per spiegare le proprie idee e come realizzarle.

L'utopia realizzabile sviluppa il progetto di un nuovo modello sociale e politico per costruire un mondo razionale, egualitario e libertario, organizzato - a livello locale - in comuni e municipi autogestiti, la cui vita politica ed economica si fonda sulla democrazia diretta e le assemblee popolari. Infatti l'organizzazione politica e sociale che ha delineato è teorizzato nel corso di alcuni decenni di intensa produzione intellettuale e letteraria, progetta una democrazia decentrata e assembleare in cui la partecipazione diretta al governo locale rappresenta la base per lo sviluppo di una società caratterizzata da una organizzazione politica più libera, efficiente e complessa. Un modello che è stato realizzato in parte già realizzato nel Rojava, la zona autonoma del nord della Siria, abitate in maggioranza della popolazione curde che hanno liberato questo territorio prima dallo Stato Siriano e poi dall'Isis. Nel Rojava il progetto comunalista e confederalista democratico che prende vita da l'idea di Bookchin si è sviluppato da oltre 10 anni, realizzando una società caratterizzata da piccoli nuclei sociali composti da alcune centinaia di persone che condividono l'organizzazione politica, economica e sociale di un municipio o di una comune. Nonostante lo stato di guerra che caratterizza ancora il Rojava una parte dei membri di questi municipi (uomini e donne senza distinzione) lavorano regolarmente all'interno della comunità, in alcuni casi vere e proprie comuni, mentre altri sono impiegati insulti e militari e produttive esterne, con cui municipi mantengono i rapporti di interdipendenza.

Tutte le decisioni che riguardano il municipio o la comune vengono discusse all'interno delle assemblee popolari, in cui tutti hanno uguale diritto di voto e di parola. Nel caso dell'impossibilità di un accordo complessivo, le decisioni vengono prese a maggioranza,e la minoranza è tenuta ad accettare quanto approvato.

Le comunità fanno parte di una rete o confederazione di comuni e municipi che costruiscono aggregazioni più vaste da un punto di vista sia geografico che economico.

Le comuni e i municipi possono confederarsi tra di loro per governare in modo di condiviso aree urbane o rurali, ma possono anche gestire attività produttive e culturali come fabbriche, scuole, istituti di ricerca e produzione scientifica e tecnologica.

Alla base di tale progetto politico c'è l'idea, profondamente anarchica, che il genere umano sia in grado di autogovernarsi una società razionale e non autoritaria.

domenica 18 aprile 2021

150 anni fa … L’opera della Comune (parte 6)

 Il ruolo femminile: l'Unione delle donne

 

Le donne di Parigi cominciarono a svolgere un'attività importante già all'inizio della guerra con la Prussia, quando molti uomini furono impegnati al fronte e si crearono i comitati di quartiere e i club. Le donne parteciparono alle azioni più significative che precedettero la vittoria della Comune, quali quelle del 31 ottobre 1870, del 22 gennaio e del 18 marzo, quando furono le prime ad opporsi al colpo di mano tentato dai versagliesi a Montmartre.

Con la Comune venne ripreso il tema dell'emancipazione femminile: la sua messa in pratica passò attraverso il lavoro e così il 12 maggio 1871 venne inaugurata la prima scuola professionale femminile di arte industriale, mentre la scrittrice Marguerite Tinayre venne nominata ispettrice generale delle scuole parigine. Altre iniziative prese dalla Comune che riguardavano, direttamente o indirettamente, le donne, furono la proibizione dell'esercizio della prostituzione, l'organizzazione degli asili, l'abolizione, decretata il 17 maggio, della distinzione tra figli legittimi e illegittimi, la concessione di un'indennità alle mogli, o conviventi, delle guardie nazionali.

Un’associazione chiamata «Unione delle donne» era stata fondata durante l'assedio di Parigi, strutturata nei comitati di quartiere e con un comitato centrale.

Poco dopo l'attacco condotto dalle forze di Versailles a Neully, l'11 aprile apparve sul Journal Officiel un «Appello alle cittadine di Parigi», redatto l'8 aprile e firmato «Un gruppo di cittadine», nel quale, preso atto che la guerra con le forze di Versailles era iniziata e che bisognava «vincere o morire», si tracciavano le linee di un programma rivolto espressamente alle donne: «Niente doveri senza diritti, niente diritti senza doveri. Vogliamo il lavoro, ma per conservarne il prodotto. Non più sfruttatori né padroni. Lavoro e benessere per tutti. Autogoverno del popolo [...]». S'invitavano infine le cittadine parigine a riunirsi quella sera al Grand Café de la Nation in rue du Temple 79.

Qui fu fondata l'Union des Femmes pour la Défense de Paris et les soins aux blessés - Unione delle donne per la difesa di Parigi e le cure ai feriti. Quest'associazione assorbì una precedente Unione delle donne, e aprì proprie sezioni nei diversi rioni di Parigi.

Nello statuto, le aderenti, che si distinguevano nell'abito indossando una sciarpa e un bracciale rosso, si impegnavano a riunirsi tutti i giorni e di presentare un rapporto scritto degli avvenimenti della giornata. Si prevedeva anche l'uso delle armi in caso di necessità, l'acquisto di petrolio (da qui l'appellativo di petroleuses dato a molte Comunarde), il rifornimento per i combattenti delle barricate e l'assistenza ai feriti. Molte furono le donne che combatterono in prima fila sulle barricate.

Ma l'Unione e in generale le donne di Parigi si occuparono soprattutto dei problemi sociali e politici: il 3 maggio una petizione, firmata da 85 operaie e indirizzata alla commissione lavoro della Comune, chiese di lavorare in ottemperanza della circolare della stessa commissione, datata 10 aprile, che prevedeva l'apertura in ogni arrondissement di una fabbrica espressamente adibita al lavoro femminile.

Il 21 maggio, quando l'esercito di Versailles entrò a Parigi e tutti furono impegnati nei combattimenti: “parecchie donne combattevano in trincea, alcune vestite anche con la divisa della Guardia Nazionale. Non si contavano le vivandiere. Si sa di una diecina uccise in battaglia”. Un giornalista del Vengeur, assistendo il 24 maggio ai combattimenti della «Settimana sanguinante», scriveva di aver già visto “tre rivoluzioni, ma per la prima volta vedo donne e bambini combattere. Sembra che questa rivoluzione sia proprio la loro e lottando, esse lottano per il proprio avvenire”. Infatti, anche ragazzi dai 12 ai 15 anni combatterono sulle barricate: ne saranno arrestati 651 e inviati per lo più in case di correzione.

Le Comunarde furono molto impegnate nelle lotte per le conquiste sociali e per l'emancipazione femminile. Esse rivendicavano la piena uguaglianza dei sessi: «Qualsiasi diseguaglianza e qualsiasi antagonismo tra i sessi costituisce una delle basi del potere delle classi dominanti [...] Uguaglianza dei salari, diritto al divorzio per le donne, diritto all'istruzione laica ed alla formazione professionale per le ragazze». Molte di loro furono arrestate, processate e detenute nelle prigioni francesi. Un documento racconta le condizioni di vita di una Comunarda francese detenuta in carcere, l'insegnante Celeste Hardouin: denunciata in modo anonimo, fu fermata il 7 luglio 1871 e liberata il 17 ottobre dello stesso anno, dopo il pagamento di una cauzione. La sua «colpa» fu quella di avere assistito due volte alle riunioni del club della rivoluzione sociale nella chiesa Saint-Michel del Batignolles.

Le donne del popolo videro nella Comune la loro alleata naturale, la rivendicatrice dei loro diritti, combatterono con essa e per essa eroicamente. Basti citare Louise Michel, di cui gli stessi, che non ne approvavano le idee e i sentimenti, ammirarono pur tuttavia il carattere, la fermezza, l’abnegazione e la forza magnanima di sacrificio.

Ecco una proclamazione della Michel:

– Cittadine – dicevano le rivoluzionarie federate della Comune, indirizzandosi alle donne di Parigi – sopporteremo noi più a lungo che la miseria e l’ignoranza facciano dei nostri figli dei nemici, che padre contro figlio, fratello contro fratello, vengano ad uccidersi fra loro sotto i nostri occhi pel capriccio dei nostri oppressori?

Cittadine, noi vogliamo essere libere!

Che le madri, che le donne, le quali, si dicono «che m’importa del trionfo della nostra causa se debbo perdere coloro che amo?» si persuadano finalmente che il solo modo di salvare coloro che hanno cari – il marito, in cui vedono il loro sostegno – il figlio, in cui mettono la loro speranza – è quello di prendere una parte attiva al combattimento impegnato per far cessare finalmente una lotta fratricida, che ricomincerà in un prossimo avvenire, se il popolo non trionfa.

Guai alle madri, se una volta ancora il popolo soccombesse! Questa disfatta sarebbe pagata dai loro piccoli figli!

Cittadine, tutte risolute, tutte unite, vegliamo alla sicurezza della nostra causa!

E se gl’infami, che fucilano i prigionieri ed assassinano i nostri capi, mitraglieranno una folla di donne inermi, tanto meglio!

L’orrore e l’indignazione della Francia e del mondo compieranno ciò che noi abbiamo incominciato!