..............................................................................................................L' azione diretta è figlia della ragione e della ribellione

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lunedì 31 luglio 2017

Gli Arditi del Popolo

Questo movimento, sorto nel 1920 per iniziativa di elementi eterogenei, si sviluppò rapidamente assumendo caratteristiche marcatamente antifasciste ed antiborghesi, e fu caratterizzato da un marcato decentramento autonomo delle organizzazioni locali. Gli Arditi del Popolo assunsero quindi colorazioni politiche talvolta differenti da un posto all’altro, ma sempre li accomunò la coscienza della necessità di organizzare il popolo per resistere violentemente alla violenza delle camicie nere. Gli anarchici aderirono entusiasticamente alle formazioni degli Arditi e spesso ne furono i promotori individualmente o collettivamente; per citarne qualcuno basti pensare che in maggioranza anarchici furono i difensori di Sarzana e che a Parma, fra le famose barricate erette per resistere agli assalti delle squadracce di Balbo e Farinacci, ve n’era una tenuta dagli anarchici.
Completamente diverso fu l’atteggiamento sia dei socialisti sia dei comunisti (questi ultimi costituitisi in partito nel gennaio 1921). Nonostante la vasta e spontanea adesione di molti loro militanti agli Arditi del Popolo, entrambe le burocrazie partitiche presero le distanze e cercarono di sabotare lo sviluppo di quel movimento. Gli organi centrali del neonato P.C. d’Italia, giunsero al punto di imporre ai propri iscritti di evitare qualsiasi contatto con gli Arditi, contro i quali fi imbastita anche una campagna di stampa a base di falsità e di calunnie. Intervistato circa due anni fa alla televisione il comunista Umberto Terracini ha cercato ancora di giustificare quella scelta politica. E ancora oggi, come allora i nostri compagni, vediamo proprio in quella scelta un esempio tipico della volontà comunista di subordinare la lotta antifascista alla coincidenza con le proprie mire di egemonia sul movimento operaio. È evidente che questa critica alla politica dei vertici dei partiti di sinistra di fronte alle violenze fasciste non coinvolge i militanti di base, che – anche su posizioni molto differenti  - dettero il loro contributo di lotta e di sangue alla lotta contro il fascismo.
Il disfattismo social-riformista ed il settarismo comunista resero impossibile una opposizione armata generalizzata e perciò efficace al fascismo ed i singoli episodi di resistenza popolare non poterono unificarsi in una strategia vincente.

sabato 29 luglio 2017

Autopsia di un anarchico

L’analisi delle escoriazioni cutanee e delle lacerazioni dell’epidermide intorno al collo rivela che le fibre del lenzuolo che serravano la gola del Massari erano formate da un tessuto composto di cieca meschinità umana. L’azione dello strangolamento risultava applicata con tutto il potere che una società gerarchica interessata solo al profitto e alla sua autoriproduzione conformizzata può esercitare su di un singolo individuo non conformato, reso inerme e rinchiuso in una gabbia.
L’analisi del sangue e dei liquidi intestinali mostra che il Massari aveva assunto la sua ultima razione di soprusi e di ingiustizie carcerarie quotidiane poche ore prima del decesso. Il tessuto molle intestinale seppur minato da anni di sottomissione forzata e di false prove costruite a suo carico mostra ad un’analisi non superficiale uno spirito indomito, libero dai dogmi e dalle paure impostegli da un sistema intollerante e corrotto.
Il cuore del Massari ha cessato di battere nel momento in cui gli obiettivi dei mass media distorcevano definitivamente il contenuto di mafia, tangenti e massoneria di cui è formato l’affare del Treno ad Alta Velocità.
Il liquido seminale eiaculato in seguito all’asfissia da strangolamento e di cui gli indumenti intimi, i pantaloni e la maglia del Massari sono stati macchiati, conteneva nel DNA i codici genetici della rivolta aperta contro ogni sistema di sfruttamento.
Gli spermatozoi schizzati fuori meccanicamente rabbiosamente in un ultimo slancio di vita portavano in sé i semi ancora inespressi della libertà malgrado tutto destinata ad infrangersi contro lo spettacolo delle vetrine scintillanti che nascondono la miseria di un mondo in rovina…

I ribelli di capitan Nemo

(Volantino distribuito durante la manifestazione nazionale per la morte di Edoardo Massari a Torino il 04/04/1998)

giovedì 27 luglio 2017

Le radici e il muro

“Giacché, la rivolta proclamata dall'anarchismo contro tutto ciò ch'è convenzionale ipocrisia ed artificiosa menzogna, in origine non è che l 'istintiva reazione della natura contro tutto ciò che tende ad insidiare il suo libero e completo svolgimento. Ed è solo dal grido disperato della Natura vilipesa, oltraggiata, calunniata e mortificata, che l'anarchismo è sorto.
Egli è sorto precisamente là dove è sorto il primo dolore umano ed il desiderio primo di umana gioia!”
Renzo Novatore
Fin dalle sue origini il dominio circoscrive la terra e il vivente sottoposti al suo sfruttamento con recinti e mura che con il tempo sono diventati ampie muraglie e fortilizi.
Poi le ossessioni del comando e del controllo hanno aumentato questa mania divisoria frazionando gli spazi espropriati, circondando i popoli e gli individui con mattoni e fili spinati. Adesso il linea é spesso invisibile perché formato dalla onnipresente tecnologia che scruta parossisticamente la nostra esistenza.
A questo si unisce la vasta e ottusa “cultura” del consenso alimentata incessantemente dai pregiudizi e dai luoghi comuni. Mentalità autoritaria che erige con ritmo industriale prigioni dalle pareti invalicabili.
In questo contesto l'individuo viene sovente frantumato in tante alterità che lo trasformano in un malleabile burattino nelle mani del potere. Al di sopra di tutti (e di tutto) si staglia maestosa la fortezza aurea dove risiedono i grandi criminali del pianeta che danzano sorridenti sui corpi insanguinati delle loro innumerevoli vittime.
Nelle stanze sfarzose del Castello questi predoni e assassini, sovrani degli stati e del capitale, si illudono di vivere un'eterna infallibilità impertinente e cialtrona. Narcotizzati da questa aura autoreferenziale ignorano il respiro del vivente.
Non sentono la voce della terra che opprimono con ogni mezzo. Non vedono le infinite radici nel suolo, robuste fondamenta di piante che si protendono verso il cielo in uno slancio vitale esplosivo.
l signori del pianeta irridono l'energia indomita del seme che a nei luoghi più volte nasce impervi.
Un seme che si trasforma nel fiore solitario dalle sottili radici capaci infine di demolire le robuste mura del dominio.



martedì 25 luglio 2017

Trasformare il mondo

La rivoluzione cessa dall’istante in cui bisogna sacrificarsi per essa. Perdersi e feticizzarla. I momenti rivoluzionari sono le feste in cui la vita individuale celebra la sua unione con la società rigenerata. L’appello al sacrificio vi suona come una campana a morto.
Quando l’insorto comincia a credere di lottare per un bene superiore, il principio autoritario cessa di vacillare. L’umanità non ha mai mancato di ragioni per far rinunciare all’umano. A tal punto che esiste in alcuni un vero riflesso di sottomissione, una paura irragionevole della libertà, un masochismo onnipresente nella vita quotidiana. Con quale amara felicità si abbandona un desiderio, una passione, la parte essenziale di sé. Con quale passività, con quale inerzia si accetta di vivere per qualche cosa, di agire per qualche cosa, dove la parola cosa prevale con il suo peso morto dappertutto. Poiché non è facile essere sé, si abdica allegramente; al primo pretesto che capita, l’amore dei figli, della letteratura, dei carciofi. Il desiderio del rimedio si eclissa dietro la generalità astratta del male.
Trasformare il mondo e reinventare la vita è la parola d’ordine effettiva dei movimenti insurrezionali. La rivendicazione che nessun teorico crea perché è appunto essa a fondare la creazione poetica. La rivoluzione si fa tutti i giorni contro i rivoluzionari specializzati, una rivoluzione senza nome, come tutto ciò che emana dal vissuto, preparando, nella clandestinità quotidiana dei gesti e dei sogni, la sua coerenza esplosivaIl rifiuto del sacrificio è il rifiuto della contropartita. Non ce niente nell’universo delle cose monetabili o no che possa servire da equivalente all’essere umano. L’individuo è irriducibile; egli cambia, ma non si scambia. Un semplice colpo d’occhio sui movimenti di riforma sociale basta a convincerne: essi infatti non hanno mai rivendicato se non un risanamento dello scambio e del sacrificio, mettendo il loro punto d’onore a umanizzare l’inumano e a renderlo seducente. Ogni volta che lo schiavo rende sopportabile la sua schiavitù, egli vola in soccorso del suo padrone. Più i rapporti sordidi della reificazione incatenano gli uomini, più si inasprisce la tentazione umanitaria di mutilare egualitariamente.

sabato 22 luglio 2017

Né sudditi né cittadini

Le città al pari delle foreste, hanno antri in cui si nasconde tutto ciò che esse hanno di più cattivo e di più terribile. Solo che, nella città, ciò che si nasconde così è feroce, immondo e misero, cioè brutto; nelle foreste, ciò che si nasconde è feroce, selvaggio e grande, cioè bello.
(Victor Hugo)

La città e i loro presidi amministrativi, sono diventati i punti di snodo del potere più vicini alle comunità dove si promuovono esempi di democrazia partecipata, di auto-organizzazione dal basso dei cittadini; formule di convivenza civile spesso promosse dalle istituzioni stesse, talvolta tollerate o ricondotte nei giusti canali. Per saldare il legame fra cittadini e governanti si fa leva sulla partecipazione intesa come strumento per ottenere consenso. Tale strategia si concretizza a posteriori in dictat istituzionali spacciati come decisioni collettive. Ci si è resi conto, insomma, che se gli abitanti di una città o di un paese hanno l`impressione di essere parte attiva nella gestione della porzione di territorio in cui vivono, questi diventeranno molto più facilmente amici delle istituzioni e pronti a difendere il sistema e i valori che esse propugnano. Nelle città si realizza, quindi, un laboratorio giornaliero per indurre all'accettazione graduale del dominio, fino ad arrivare all'autoregolamentazione della propria sudditanza. Così come si vuole che ogni persona, segregata in un qualsiasi luogo della macchina concentrazionaria capitalista, partecipi alla gestione della propria carcerazione, si vuole che bravi cittadini partecipino alla propria sottomissione, collaborino alla propria schedatura, agevolino sperimentazioni di auto-governo, o forse sarebbe più corretto dire di auto-limitazione, introitando e perpetuando “dal basso” veri e propri dispositivi di collaborazione istituzionale. La città è insomma il luogo della pacificazione produttiva, dell’efficienza tecnologica asservita al controllo, del cittadino prevedibile, abitudinario, che protesta, però, con l”intento di contribuire al bene comune; è il campo di concentramento dove tenere buoni i "soliti contestatori", chiedendo loro un aiuto nel co-gestire la prigione. Di tale partecipazione, che è in sé accettazione di una data idea, quella di uno sviluppo teso alla spettacolarizzazione e al controllo, ne facciamo volentieri a meno. Nella ragione politica, come nella fede religiosa, predomina l'idea che l’uguaglianza sia data dall'identità, dalla comune adesione ad una visione del mondo. Mai viene considerata la possibilità opposta, ovvero che l'armonia generale dell’umanità possa nascere dalla divisione degli individui spinta all’infinito. E proprio nelle città, infatti, si ricompone quel realismo politico che consolida e fortifica, qui e ora, regimi democratici andati a male e forze antagoniste riciclatesi nella collaborazione istituzionale. Sia nelle prigioni che nelle città, però, non tutte le volontà sono state piegate, alcune continuano quotidianamente a svelare un nemico, sempre più vicino e a portata di mano, e si rifiuteranno ancora di sostituire al proprio sguardo l'occhio del suddito, del cittadino o del poliziotto.

venerdì 21 luglio 2017

Il cemento armato

Le opere umane rispecchiano in larga misura, la cultura del tempo in cui sono realizzate.
Oggi ciò è oltremodo lampante pur limitandosi ad osservare, nello specifico, l'architettura e l'edilizia che ci circonda. che ci si ritrovi in pianura, in zone collinari o all'imbocco stesso di valli montane si è destinati ad imbattersi, sempre più spesso, in aree industriali-commerciali indistinguibili tanto si somigliano le une con le altre. Campagne, frutteti e pascoli vengono quotidianamente sostituiti da capannoni grigiastri prefabbricati che prendono forma nel giro di pochi giorni. Nel momento in cui l'area interessata viene circondata dall'onnipresente nastro arancione di plastica, le ruspe iniziano a circolare e cemento ferro e acciaio in poco tempo colonizzano un nuovo lembo di terra rendendolo improduttivo per i decenni a venire.
In tal modo, mentre le fabbriche delle metropoli, ormai dismesse ed inutilizzate da anni, si trasformano in club alla moda, il territorio extraurbano si popola di lugubri parallelepipedi in cemento armato in cui per lo più non si produce nulla: si espone, si sostituisce e si commercializza. Al tempo stesso, le periferie di piccole e medie città, nonché di molti paesi, vengono inesorabilmente incatenate da condomini ed infrastrutture costruiti con gli stessi tempi e la stessa logica delle aree commerciali. Verosimilmente, vista la qualità dei materiali e della tecnica costruttiva, subiscono anche la medesima sorte, diventando fatiscenti nel giro di pochi anni.
Coloro che non sono completamente assuefatti dalle nocività delle metropoli sapranno cogliere un ulteriore denominatore comune nell'urbanistica e nell'architettura del nostro tempo. una sensazione sempre più diffusa e soffocante di invivibilità legata alla natura degli edifici e alla loro disposizione. Tra pochi anni, probabilmente, faremo fatica a distinguere un quartiere residenziale da una zona industriale. Annullato ogni possibile spazio destinato alla socialità, queste nuove aree sono concepite per vendere, consumare e spostarsi nelle poche direzioni obbligate, insomma sconfinati quartieri dormitorio.

martedì 18 luglio 2017

L' ANARCHIA nel significato proprio e nel volgare

Permettete che io chiarisca con due parole non il significato volgare ma quello intimo, vero e proprio della parola Anarchia che é stata in questi giorni, insieme cogli anarchici del nostro quieto Vermont oggetto di tanti e cosi disparati giudizii, di tante discussioni non tutte serene.
Dai giornali idrofobi del capitalismo conservatore fino ai saccentelli presuntuosi della sociologia spicciola tutti hanno voluto dire la loro ed hanno sformato, hanno in cosi malo modo travisato il senso limpido della parola che io ritengo opportuno e necessario ricercarne pel lettori del Telegrani il significato, il concetto sincero affinché essi possano giudicare con spassionata imparzialità.
Anarchia é parola greca che suona non governo, abolizione dell'autorità dell'uomo sull'uomo, l'ordine fondato sulla completa libertà dell'individuo, lo stato del popolo che si governa da se stesso senza alcuna autorità.
I nemici dei lavoro e della giustizia, i parassiti la cui sapienza politica non ha che una meta: vivere senza lavorare hanno coniato e spendono dell'anarchia una definizione tutta loro propria: essa é confusione, disordine, caos!
Questa definizione sapientemente diffusa è divenuta ormai l'opinione di tutti i volghi a cui i nemici del lavoro presentano gli anarchici come delinquenti orribili, violenti, morbosi, degni della prigione e della corda.
Chi sono i violenti?
Lasciatemi cercare: Noi, gli anarchici, vogliamo abolizione dell'autorità perché l'autorità è violenza; noi vogliamo l'abolizione della proprietà privata perchè la proprietà privata é furto, la proprietà privata è violenza, e senz'alcun dubbio, il fattore più fecondo della criminalità. Noi crediamo nell'internazionalismo perché esso abolirà la guerra che è violenza. Noi aspiriamo all'abolizione delle classi perché nella differenza delle classi é l’ingiustizia che genera la violenza. In breve noi vogliamo creare una sola patria, il mondo; una sola famiglia, l'Umanità.
Non siamo dunque noi i violenti.
Chi sono dunque coloro che come violenti ci denunziano alla esecrazione del volgo?
Gli orditori subdoli della guerra, i delinquenti che. per la conquista d'un mercato su cui smaltire i rodotti strappati al dolore proletario dichiarano la guerra ad un'altra nazione inviando migliaia di vittime al macello, alla morte.
Sono costoro che chiaman noi i criminali ed i violenti!
Troppo tardi oramai. Il popolo che lavora sta rompendo il letargo in cui l'ha per tanti secoli prostrato il cloroformio dell'autorità; l'anarchia non è più lo spauracchio dei bambini. I capitalisti possono opporre all'ascensione delle masse la loro violenza brutale, ma invano: quel progresso non si arresterà; sulle volgari sofisticazioni trionfa e risplende l'alta e nobile aspirazione dell'anarchia.
Per questo mi tornò strana l'affermazione del mio ottimo amico Alex Robertson nel Telegram di sabato
scorso, in cui egli nega ogni simpatia all'anarchismo sapendo che le attuali condizioni economiche sono il prodotto logico dell'anarchia dell'industria.
Robertson pur non essendo una mente volgare alla parola anarchia dà il significato consueto del convenzionalismo volgare. Se anarchia volesse significare: ciascuno, perse ed al più forte il diritto, lo stato attuale dell'industria potrebbe dirsi anarchico e le antipatie di Robertson sarebbero giustificate.
Il male è che il significato d'anarchia è proprio l'antitesi assoluta di quanto racchiude l'interpretazione volgare della parola; nessuno meglio degli anarchici sa che la società presente è il connubio della frode e del delitto in forza di cui il capitale è despota, il lavoratore, schiavo.
Io penso che la liberazione dell'umanità dalla sua presente schiavitù non possa inaugurarsi che coll'abolizione di ogni autorità dell'uomo sul l'uomo, coll'abolizione della proprietà individuale e nella fede che la pace, l'amore, la fratellanza arridano all'umana famiglia sono anarchico comunista.
Angel Trueba.
Barre Vt , 5 Settembre 1903
(da Cronaca Sovversiva anno 1 n° 16 – sabato 19 settembre 1903 – Barre, Vermont)

domenica 16 luglio 2017

Oltre il cancello

Nel deserto più sperduto si verifica la seconda metamorfosi; qui lo spirito diviene leone; vuole catturare la libertà ed essere signore del proprio deserto il grande drago è chiamato “Tu dovrai”, ma lo spirito del leone dice “Io voglio”.
Friedrich Nietzsche


Ci sono tanti modi per legare l'individuo all'obbedienza, alcuni molto evidenti, altri meno. Quelli più subdoli e meno riconoscibili si fondano sulla volontà collettiva e sul senso di comunità. Il più delle volte tali collettività e comunità altro non sono che il prodotto funzionale, lo strumento di rigenerazione delle gerarchie e delle catene di comando: il terreno fertile, insomma, in cui attecchiscono più facilmente le radici della sorveglianza. Anche la meccanica del dominio oggi si muove su due linee parallele. Da una parte cerca di incanalare la partecipazione entro percorsi vincolati, preventivamente sperimentati e che lascino intravedere ai cittadini potenzialità molto vaste nell'arco delle possibili decisioni; dall' altro sviluppa la più sistematica compressione, reclusione, rimozione di ogni elemento conflittuale in modo da rendere irriconoscibile il vero modello socioculturale in vigore. A tale proposito città e metropoli diventano i luoghi più adatti dove far convergere all`unisono due elementi cardine della macchina del dominio: il controllo territoriale e la negazione delle alterità. Più volte si è analizzato come la città efficiente sia il salvacondotto più comodo e a portata di mano per la salvaguardia dell’assoggettamento e del servilismo; più volte si è affermato che le nuove pratiche municipaliste o autogestionarie, aventi come obiettivo la partecipazione allargata alla riformulazione in chiave sostenibile di modelli economici ritenuti risolutivi, altro non generano che collaborazione al proprio sfruttamento e all'arricchimento altrui. In questo magma complesso, in cui non manca un`affermazione seppur simbolica del conflitto, si genera un dato nuovo. Se fino ad ora le meccaniche di dominio ci hanno fornito una rappresentazione dell'esistente ambigua, volutamente grigia e inefficace nell’individuazione dei collaboratori, degli affamatori, degli sfruttatori, oggi le cose sembrano cambiare. Aver stipulato nuove leggi repressive vincolate all'utilizzo della tecnologia in chiave securitaria, rende più facilmente riconoscibili coloro che dell'affare sicurezza si nutrono, non solo in modo da mendicare qua e là qualche voto, ma anche per appaltare, sviluppare e ridefinire un intero settore aziendale. In tale prospettiva, i sindaci risultano essere la sintesi più efficiente, la cinghia di trasmissione più veloce per far convergere e confluire in un unico territorio le volontà dei padroni e del capitale. L'agglomerato urbano tende a monopolizzare nella propria area di influenza le attività decisionali o direttive di ordine politico, economico, amministrativo e anche culturale, cosa che gli permette di organizzare un territorio dalla dimensione variabile, di impartire ordini, di lanciare iniziative, di autorizzare nuove attività. E' nelle metropoli, quindi, e nelle città che ruotano attorno ad essa che la distribuzione dei servizi si rigenera in modelli ritenuti accettabili dagli sfruttati. Il militarismo, ad esempio, si affaccia in esse con il volto protettivo del benefattore, i tornelli e le telecamere si moltiplicano e ingrossano la catena industriale dei servizi erogati. Resta un dato di fatto. Se da una parte la propaganda securitaria si autoalimenta e genera consenso; dall'altra i luoghi decisionali, le centrali di sfruttamento lavorativo, energetico, ambientale, sono a portata di mano per chi ha intenzione di liberarsi delle proprie catene. Il potere, insomma, non è più un qualcosa di irriconoscibile ed astratto, lontano ed inarrivabile. Il suo rigenerarsi lo ha reso diffusamente presente e visibile al di la dei fili di luce e dei cancelli. Il tratto essenzialmente umano della volontà può svolgere ancora un ruolo imprevedibile, creando giuste barriere solo tra sporchi lavori e gioie feroci.

venerdì 14 luglio 2017

Selvatica/mente

“La vita e fatta di selvatichezza. Più si è vivi, e più si è selvaggi. La presenza del selvatico, non ancora addomesticato, rigenera l'uomo. Colui che si è sempre spinto in avanti, senza mai riposarsi dalle proprie fatiche, crescendo velocemente e chiedendo sempre di più alla vita, avrebbe finito col ritrovarsi in un nuovo Paese o in una nuova landa selvaggia, circondato dalla materia prima della vita. Era come se si fosse arrampicato sulle propaggini degli alberi della foresta primordiale."
   Heanry David Thoreau (tratto da “Camminare”)

Nato all'ombra degl bosco, l'individuo selvatico cresce accarezzato dalla musica delle fronde degli alberi, dal canto allegro degli uccelli e dai versi primigeni degli altri abitanti della foresta. Il vento e la pioggia espandono ulteriormente la varietà sonora in questo spazio incontaminato.
La lontananza della civiltà, della forzata aggregazione umana, ha sviluppato in lui un forte istinto di libertà, una sensibilità e una intelligenza indomabili. L'unicità selvaggia ama profondamente la solitudine ma non ignora il vivente, anzi, collabora con esso e ne condivide il respiro.
Quando il dominio prosegue nella sua folle operazione distruttiva l'individuo selvatico lo combatte strenuamente (da solo o insieme ad altri irriducibili ). La cultura autoritaria fortificata dalla sofisticata tecnologia, cerca di piegare l'io ribelle condizionandolo attraverso la società, la famiglia, l'educazione, la religione, il lavoro e il sistema legislativo (su cui si fonda lo stato).
L'uomo delle selve è refrattario a tutto questo e gode la propria dimensione esistenziale respingendo con sdegno le nefaste influenze del potere e dei suoi servi. A volte però questo non è possibile e il conflitto con il dominio diviene aspro, per non soccombere (e non essere sottomesso) è costretto a rispondere colpo su colpo. Come sempre succede i padroni accusano il ribelle di essere un criminale e un terrorista; di conseguenza l'artiglio feroce della repressione si abbatte sull'indomito. Ma nulla può fare il potere (che si organizza continuamente per estendere il controllo e costruire nuove prigioni) perché il selvatico sopravvive sempre alle catene e alle torture; la sua creatività e la sua energia vitale prevalgono su tutto e su tutti.
Compagno della penombra il refrattario agisce nel silenzio e sorprende il dominio con azioni imprevedibili. Protetto dalle notti stellate come dalle nebbie delle montagne e delle vaste pianure, il ribelle accende improvvisamente la miccia della libertà. Così, inaspettatamente, si vedono brillare non una ma tante vivide scintille quanti sono i cuori e le mani che odiano le gabbie.

mercoledì 12 luglio 2017

Al di la'

La quotidianità circoscrive il nostro campo visivo, l'aleggiare dei nostri pensieri e il pulsare dei nostri sensi. Il fluire selvaggio dell'io viene incanalato nell'alveo cementificato della società divenuta organismo putrescente affetto dalla patologia autoconsumistica. Nel gorgo della produzione e della distruzione il presente diviene la prigione perfetta della prevedibilità del vivere. Così l'umana genìa non abbisogna di alacri carcerieri perché preferisce rimanere all'interno del “rassicurante” recinto della mistificazione storica. Anche l'incedere del tempo è regolato da ritmi artificiali, programmati dalle logiche del capitale. In questo circuito produttivistico, l'istintivo desiderio di libertà illanguidisce miseramente.
Nella giostra dell'automatismo si spegne la fiamma dell'intelletto, si contraggono i marosi dell'immaginazione, si smorza la sete della conoscenza. Nel deperimento di queste facoltà il dominio si rafforza sempre di più e perfeziona il controllo sull'umanità. Al contempo la rassegnazione, il disorientamento e l'ignoranza alimentano il millenario servilismo volontario.
Invece possedere e sviluppare la capacità di pensare ad un'altra esistenza è l'imprescindibile premessa per varcare ogni barriera, ogni forma di muro. La forza dell'immaginazione che coincide spesso con il desiderio profondo di emancipazione ci aiuta a oltrepassare ogni argine, ad andare al di là del confine che la multiformità del potere ci impone. L'atto del valicare fa sì che il possibile si realizzi nell'oggi e che il sogno si modelli nella materia pulsante del presente. Lo slancio che ci proietta nell'oltre è fondamentalmente l'energia inarrestabile della creatività, la sostanza esplosiva più efficace e imprevedibile, in grado di annientare il dominio ed espandersi all'infinito nella libertà.

domenica 9 luglio 2017

Liberare l'oggi

“Nego la società per il trionfo dell'io. Nego la stabilità di ogni regola, di ogni costume, di ogni morale, per l'affermazione di ogni istinto volitivo, di ogni libera sentimentalità, di ogni passione e di ogni fantasia. Irrido ad ogni dovere ad ogni diritto per cantare il libero arbitrio. Schernisco l’avvenire per soffrire e godere nel presente il mio bene e il mio male”.
Renzo Novatore
(Nichilismo, Anno I, n. 4, 21 maggio 1920)



Nel corso del tempo il pensiero e la realizzazione della libertà sono stati spesso rimossi o rinviati ad un ipotetico e generico futuro. Il presente viene concepito come una dimensione transitoria protesa al domani e quindi inadeguata per una immediata e radicale emancipazione. La cultura dell'attesa di un benessere e di una liberazione futuri è tipica del dominio, delle religioni e delle ideologie autoritarie. L'oggi è concepito soltanto come un punto di partenza per un miglioramento venturo, l'individuo deve necessariamente sacrificarsi e allenarsi nel presente per ottenere la paradisiaca ricompensa nel domani. Nella quotidianità una serie innumerevole di catene ostacola l’appropriazione della vita da parte dell'io, il carceriere non è solo lo Stato ma anche una parte cospicua della società. L'oppressione dell'oggi viene vissuta come provvisoria condizione illuminata dalle suadenti promesse di un imminente riscatto collettivo. Da sempre oceani di parole si sono riversati dalle alte sfere dei governi (e dei vari messia della politica, della religione e della cultura) sulle teste degli sfruttati ipnotizzando le loro coscienze e mistificando la realtà. Il ribelle non si lascia espropriare il presente, non crede nelle parole dei signori del pianeta e dei loro giullari prezzolati. Fin dalla nascita l'anarchico si sente estraneo alla società e comprende chiaramente le imposizioni del dominio. Le ore o i momenti di gioiosa spensieratezza, di gioco spontaneo con l'altro, di irrefrenabile creatività, di sogno, di riposo, sono posti sotto il controllo degli adulti (spesso esecutori più o meno consapevoli del potere). Ben presto il bambino (e il ragazzo) si renderanno conto quali saranno i modelli culturali autoritari che dovranno seguire. Il percorso educativo, attraverso la scuola di Stato (o privata) si adopera alla formazione del “buon cittadino" (e del “buon lavoratore”) adatti a far funzionare con solerzia il sistema statale-economico e sociale. Così l'uomo diventa un anello della produzione capitalistica e della riproduzione umana. La “cultura” della rassegnazione e della rinuncia deve essere ben assimilata dall'io, il vaccino autoritario deve preservarlo dai “cattivi impulsi” e dai pensieri sovversivi. Il torpore perenne diventa la dimensione atemporale dove l'individuo sopravvive nell'illusione dell'appagamento, ignaro di essere un giocattolo nelle mani del dominio. La potenza della tecnologia insieme alle varie sostanze artificiali dello stordimento “paradisiaco" neutralizzano 1'energia vitale dell'io, spengono la fiamma del pensiero e soffocano la deflagrazione dell`azione. Si comprende come gran parte dell'umanità “vive” in uno stato larvale. La scintilla liberatrice nasce nel presente e solo in questo provoca l'incendio che distrugge il potere. Al refrattario piace godere del gioco illimitato del pensiero e dei sensi, del caos creativo che si beffa dell'esistente, della morte, dell'autorità, delle favole inquietanti delle religioni e della morale. L'energia vitale dell'io appropriandosi del presente rivolta la piramide gerarchica e nella gioia dell'atto distruttivo si consuma nell'ebbrezza smisurata della propria e dell'altrui libertà.

venerdì 7 luglio 2017

Sono egoista

Sono anarchica perché sono egoista, Mi fa male vedere altri che soffrono. Non lo sopporto. Non ho mai fatto male a un uomo tutta la vita e non credo che potrei farlo. Così, poiché altri soffrono, soffro anch’io. Sono anarchica e dedico la mia vita alla causa, perché solo con l’anarchia si potrà mettere fine a tutte le sofferenze, al bisogno e all’infelicità.
Tutto quello che va male, i crimini, le malattie, tutto è provocato dal sistema in cui viviamo. Dove non c’è denaro e quindi non ci sono capitalisti, la gente non sarebbe costretta a lavorare troppo, non patirebbe la fame, non abiterebbe in abitazioni malsane, tutte cose che fanno invecchiare anzitempo, che provocano malattie, che inducono a delinquere. Per risparmiare un dollaro i capitalisti costruiscono ferrovie scadenti e quando arriva il treno molte persone finiscono uccise. Che cosa vale la loro vita, se il loro sacrificio ha fatto risparmiare denaro? Ma quelle morti significano miseria, bisogno e delinquenza per tante e tante famiglie. Seguendo i principi anarchici noi costruiamo ferrovie migliori; prendiamo la tranvia di Broadway per esempio invece di far passare poche vetture a una velocità spaventosa, per evitare maggiori spese, dovremmo utilizzarne molte a bassa velocità e così non ci sarebbero incidenti. (La linea tranviaria di Broadway fu luogo di frequenti incidenti, soprattutto sulla 33ª e sulla 53ª strada e nel tratto lungo la 14ª, soprannominato curva dell’uomo morto).
Nel nostro ordine di cose, ciascuno uomo farà il lavoro che gli piace e avrà quanto il suo vicino, così non ci potrebbero essere persone infelici e scoraggiate.
L’Anarchia insegna quindi l’unità della vita; non solo nella natura, ma nell’uomo. Non esiste alcun contrasto tra gli istinti individuali e sociali, non più di quanto esista un conflitto tra il cuore e i polmoni: il primo è il contenitore di una preziosa linfa vitale, il secondo il custode dell’elemento necessario a mantenere l’essenza pura e forte. L’individuo è il cuore della società, conservando l’essenza della vita sociale; la società è il polmone che distribuisce l’elemento necessario a mantenere l’essenza vitale (cioè l’individuo) pura e forte.

Emma Goldman

lunedì 3 luglio 2017

La rivoluzione bisogna farla e non aspettarla

In una parola, l'innamorato della vita vuol goderla pienamente. Non potrei definire ciò che è la felicità: però anche il refrattario che non si adatta all’ambiente prova soddisfazioni. Mi si dirà che questa lotta (per migliorare il domani) è piena di ostacoli, che i cardi della via sono molti. Però, se vi piacciono ardentemente delle rose fragranti, rosse come il sangue che vi scorre generoso per le vene, e per coglierle, onde offrire all’essere più amato, dovete attraversare una palude od una spinosa boscaglia, sono sicuro che supererete questi ostacoli e, giungendo alla meta, infangati, insanguinati, e sgualciti, spunterà un sorriso trionfale, d’immensa soddisfazione, su le vostre labbra.
Non concepisco che vi siano individui i quali vivono la vita in modo burocratico. Ristagnano, vegetano e muoiono.
Io opino che la Rivoluzione bisogna farla e non aspettarla. Ecco perché qualunque atto contro lo Stato e contro gli altri puntelli dell’attuale regime è necessario quindi plausibile.
Il senso della vita in tutta la sua pienezza, nell’ambiente in cui viviamo, forma questa corrente d’azione che fa tremare l’ordine costituito.

(Severino Di Giovanni 1901 - 1931)